L’Unità di intelligence militare israeliana 9900 ha una particolarità: è composta da giovani nello spettro autistico. Le loro “straordinarie capacità visive e analitiche” sono una risorsa per i militari.
Ma è una risorsa anche per le reclute?
Israele recluta giovani autistici per far parte di una squadra d’intelligence d’élite conosciuta come “Unità 9900“.
Il lavoro svolto da questi militari riguarda principalmente la geografia del territorio, ossia la mappatura, l’interpretazione delle foto aeree e satellitari e la ricerca spaziale. Per queste mansioni, Israele ha scelto di sfruttare le capacità visive e analitiche di giovani individui diagnosticati nello spettro autistico.
Per alcuni di loro, si tratta una straordinaria opportunità per sentirsi indipendenti e realizzati. Per altri, è una delle poche strade percorribili nel mondo del lavoro.
Israele recluta giovani autistici: chi, e come, è ammesso
Il programma “Ro’im Rachok“, (tradotto “Looking Forward“) è un progetto sviluppato nel 2013 per “addestrare adulti autistici in posizioni richieste dalle Forze di Difesa Israeliane e dal mercato civile“. La proposta si rivolge a “giovani adulti che vogliono fare volontariato nelle Forze Armate o integrarsi nel mercato del lavoro in posizioni in cui hanno vantaggi comparativi“.
L’idea nasce da due veterani del Mossad, che si resero conto che alcuni individui nello spettro autistico potevano essere insolitamente abili nel passare ore ad analizzare le fotografie di ricognizione aerea e a cogliere piccoli dettagli. Un lavoro scrupoloso e altamente specializzato, che richiede concentrazione e costante attenzione ai dettagli, per osservare ogni millimetro della posizione. Ma, oltre a rappresentare un’opportunità per l’esercito, questo programma può risultare vantaggioso anche per le reclute.
Infatti, il servizio militare è obbligatorio in Israele, e rappresenta un passaggio fondamentale – sia simbolico che professionale – della vita di un uomo. Generalmente, i disabili (e, quindi, anche gli autistici) sono esentati dal servizio. Ma grazie al programma “Roim Rachok” i ragazzi autistici hanno l’opportunità di sentirsi alla pari dei loro coetanei. (Il programma è aperto anche alle ragazze autistiche, ma finora solo una ha aderito).
Per entrare nell’Unità 9900, comunque, bisogna soddisfare alcuni criteri:
- Età compresa tra i 18 e i 25 anni
- Diagnosi nello spettro autistico
- Essere in grado di comunicare senza bisogno di supporto
- Saper leggere e scrivere in ebraico
- Essere in grado di rispettare le scadenze
Dopo di che, i candidati devono passare una rigorosa selezione, svolgendo test e colloqui.
L’obiettivo è quello di garantire che siano efficienti nei compiti assegnati, che possano convivere con la rigida struttura militare, e che non costituiscano un rischio per se stessi o per gli altri.
In seguito, i candidati selezionati iniziano un periodo di sei mesi di prova.
I primi tre mesi si svolgono all’interno della Facoltà Accademica di Ono, alle porte di Tel Aviv, dove – oltre ad apprendere le competenze di base – le reclute sono supportate da un team di terapisti che ne valutano la capacità di sopportare le rigidità della vita militare.
Negli ultimi tre mesi, infine, i giovani lavorano come civili, per acquisire esperienza.
Autistici nell’esercito: “molto efficienti, si divertono anche”
Il programma attraverso cui Israele recluta giovani autistici si è rivelato conveniente e, negli anni, ha richiamato decine e decine di militari.
Tanto che, ad oggi, il programma si è esteso a mansioni del settore controllo qualità: classificazione delle informazioni, la raccolta di informazioni da fonti Internet aperte, manutenzione di sistemi elettronici, ottici e d’arma, controllo qualità dei software in fase di sviluppo.
Richmal Maybank, consulente per l’inserimento lavorativo presso la National Autistic Society nel Regno Unito, giudica positivamente il modo in cui Israele recluta giovani autistici.
Molte persone con autismo sono brave a svolgere compiti a fuoco singolo, dove non solo sono molto efficienti, ma si divertono anche.
Sono persone molto oneste, non vedono alcun motivo per mentire, quindi sono molto affidabili e leali. Non solo con i loro colleghi, ma con il lavoro stesso, il che è molto utile se si pensa al lavoro confidenziale e cose del genere.
Inoltre, hanno un’ottima memoria per lavorare e analizzare informazioni specifiche
Proprio per questo, divisioni militari nel Regno Unito, negli Stati Uniti e a Singapore, ma anche industrie civili in Israele, hanno mostrato interesse a sviluppare il modello Ro’im Rachok.
Ma bisogna considerare, come spiega ancora Maybank, che ci sono anche diverse difficoltà che gli autistici possono incontrare lavorando nell’esercito.
Qualsiasi cambiamento dovrebbe essere anticipato e non fatto all’improvviso. In caso contrario, sono alterati.
Se ti dico: ‘Cosa farai mercoledì’ e tu non lo sai, puoi metterti nel caso, immaginare cosa farai e rispondere: ‘Penso che…’. Le persone autistiche non hanno questa capacità di immaginare potenziali scenari, quindi l’ignoto o l’incerto scatenano molta ansia
In più, la loro routine lavorativa è talvolta interrotta da comportamenti associati all’autismo.
Ripetere parole, suoni o movimenti, oppure agitare le mani quando sono eccitati o storditi, per loro è un importante metodo di gestione dello stress e regolazione delle emozioni.
Un altro problema riscontrato è quello della difficoltà nel recepire istruzioni non pianificate precisamente. Ma questo aspetto, d’altro canto, può adattarsi bene alla vita militare.
Hanno bisogno di istruzioni chiare e dirette. Gli eufemismi o le sfumature di cortesia non funzionano con loro.
Molti hanno problemi a rispettare le scadenze perché l’istruzione è stata pianificata male. Se dite loro: “Sarebbe bello avere questo per questo o quel giorno” o “Puoi avere questo per questo o quel giorno” e loro non possono, non lo avranno. Devi dire loro: ‘Ho bisogno di questo rapporto nella mia e-mail in formato pdf venerdì”
Infine, gli autistici potrebbe avere problemi con il concetto di gerarchia, e con il rispetto delle varie posizioni.
Non lo percepiscono. Non vedono alcuna differenza tra capi e colleghi e a volte hanno problemi, ad esempio, a porre domande personali al capo o a usare il linguaggio che usano con i loro colleghi maschi rispetto alle donne. Non fanno distinzioni
Israele recluta giovani autistici: i “maledetti 21 anni”
Ephraim (nome di fantasia) ha 21 anni, è autistico, ed è un caporale dell’Unità 9900.
Per otto ore al giorno, siede davanti a più schermi di computer, setacciando ogni millimetro della stessa posizione da varie angolazioni.
Un lavoro apparentemente noioso e faticoso, ma che Ephraim giudica “rilassante, come un hobby“.
Al 21esimo anno d’età, tutti i programmi finanziati dal governo per gli israeliani autistici, come i trasporti sovvenzionati e i servizi di vita assistita, vengono interrotti. In molti si trovano quindi senza prospettive per il futuro, scontrandosi con uno stigma sociale ancora molto forte.
Proprio per questo, nelle famiglie, si parla di “maledetti 21 anni” o “bloody 21“.
Ti chiedi costantemente cosa accadrà tra cinque, 10, 20, 30 anni.
Sei costantemente alla ricerca di soluzioni e alla ricerca di modi per farli progredire e garantire il loro futuro. Perché alla fine, la loro durata di vita è normale e quando non ci saremo noi, loro ci saranno ancora, e qualcuno deve prendersi cura di loro
In questo senso, il programma Ro’im Rachok è utile. I giovani come Ephraim possono fare domanda per rimanere permanentemente come militari, oppure – avendo esperienza nel settore dell’intelligence – spostarsi verso lavori in ambito tecnologico.
Un genitore con un bambino con bisogni speciali, anche se sa che quest’ultimo non può esserlo, vuole che sia come i suoi coetanei. Sposarsi. Avere figli. E sì, servire nell’esercito. Questo è molto importante
Una delle sfide più dolorose per una famiglia è chiedersi se i figli autistici saranno mai in grado di vivere in modo indipendente e mantenersi, soprattutto di fronte “all’orizzonte ristretto e tetro“ che li aspetta. A questi dubbi, Israele risponde con il reclutamento nell’esercito.
C’è chi dichiara di essersi arruolato “per far felici i genitori“, chi per mettersi al servizio della Patria e chi, semplicemente, per “vivere fuori dall’armadio“, sentirsi apprezzato e accettato nella propria diversità.
Giulia Calvani