Le indagini dell’ONU del 2021 avviate in seguito allo scoppio degli scontri di Al Aqsa, condannavano il sistema d’apartheid israeliano e definivano Israele “nazione in stato di occupazione belligerante”, poiché esercitando un controllo arbitrario sulle infrastrutture civili israeliane viene meno agli obblighi di potenza occupante stabiliti dalla Quarta Convenzione di Ginevra e viola il diritto alla sovranità della Palestina previsto dagli accordi di Oslo del 1993.
Già nel 1967, dopo la guerra dei sei giorni, le Nazioni Unite intervennero attraverso varie risoluzioni condannando sulla base del diritto internazionale l’occupazione della Cisgiordania da parte dello Stato d’Israele. Con la risoluzione 446 del 1979 l’ONU negò la validità giuridica degli insediamenti israeliani in Cisgiordania, considerandoli peraltro un grave ostacolo per il raggiungimento della pace tra le parti in causa.
Le indagini dell’ONU del 2021, avviate contestualmente allo scoppio degli scontri di Al Aqsa, misero in evidenza le violazioni in tutti i territori palestinesi occupati da Israele.
Le indagini in questione vennero accolte con favore da Palestina, Egitto (il quale confina con la striscia di Gaza attraverso il Valico di Rafah) e regno di Giordania. Israele invece non si mostrò disponibile alla cooperazione, un anno prima infatti, il ministro degli esteri israeliano aveva preso le distanze dalla risoluzione S-30/1 che mirava all’applicazione della Convenzione di Ginevra al fine di garantire protezione ai civili nei territori palestinesi.
Queste le dichiarazioni del ministro degli esteri israeliano:
“Israele non può e non desidera collaborare. Qualsiasi indagine che non condanni il lancio di oltre 4.300 razzi da parte di un’organizzazione terroristica contro i civili israeliani, o che non menzioni l’organizzazione terroristica Hamas, non è altro che un fallimento morale e una macchia sulla comunità internazionale e sulle Nazioni Unite”.
La definizione di “nazione in stato di occupazione belligerante” nelle indagini dell’ONU del 2021
Contestualmente alle indagini dell’ONU del 2021, l’Alto commissario per i diritti umani Michelle Bachelet, oltre a denunciare i crimini di guerra compiuti da Israele nel corso dei raid su Gaza, sottolineò che le ostilità tra le due parti in causa, Israele e Hamas, si erano accese a causa di diversi fattori, crescita dell’ultra-nazionalismo israeliano, sfratto di famiglie palestinesi nel quartiere di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme Est, violenta repressione dei palestinesi durante il Ramadan.
Il report della Commissione oltre ad includere nella definizione dei territori occupati non solo Gaza e Gerusalemme est ma anche le alture del Golan al confine con la Siria, ribadiva che l’occupazione in tempo di guerra può essere solo una situazione temporanea che non priva comunque il territorio occupato del diritto alla sovranità.
Israele dunque, definita nelle indagini dell’ONU del 2021 come una “nazione in stato di occupazione belligerante” dal 1967, tanto nei territori della Cisgiordania quanto nella striscia di Gaza, sarebbe venuta meno agli obblighi di potenza occupante stabiliti dalla Quarta Convenzione di Ginevra, poiché esercita arbitrariamente il controllo sullo spazio aereo, le acque territoriali, i passaggi di confine e le infrastrutture civili palestinesi.
Il fallimento degli Accordi di Oslo del 1993
Gli Accordi di Oslo del 1993 prevedevano la suddivisione della Cisgiordania in tre aree.
La prima area (area A) comprendente le città di Ramallah, Gerico, Betlemme, Gaza, è posta solo formalmente sotto il controllo politico e militare palestinese (l’Autorità nazionale palestinese in Cisgiordania e Hamas a Gaza), Israele infatti continua a controllare le infrastrutture civili, lo spazio aereo, le acque territoriali e i passaggi di confine, limitando fortemente la libertà di movimento dei palestinesi e soffocando il loro diritto ad un’esistenza degna.
In particolare, Gaza dal 2007, ovvero dall’ascesa al potere di Hamas, subisce da parte di Israele un embargo che ha reso impossibile anche l’approvvigionamento di viveri di prima necessità in quanto considerati potenzialmente pericolosi.
La seconda area (area B) è costituita interamente da villaggi agricoli palestinesi ma è controllata militarmente da Israele nonostante si applichino le leggi civili palestinesi. I villaggi palestinesi mancano dei servizi di base e dei collegamenti alla rete idrica a differenza degli insediamenti illegali israeliani che possono disporre di acqua ed elettricità senza limitazioni.
La gestione dell’acqua da parte di Israele avviene in modo totalmente discriminatorio.
Per capirci, se i coloni negli insediamenti illegali possono permettersi lussuose piscine, nei villaggi palestinesi spesso l’acqua arriva solo una volta alla settimana.
Area A e area B sono definite “isole” in quanto risultano separate da infrastrutture e insediamenti illegali israeliani dalla terza area.
La terza area (Area C) comprende la porzione di territorio più vasta e prospera ed è posta interamente sotto il controllo d’Israele.
Gerusalemme est è anch’essa sotto occupazione israeliana dal 1967, nel 1980 Israele l’ha proclamata sua capitale nonché “città unificata”, nonostante il mancato riconoscimento internazionale (unica eccezione Trump nel 2017). Quasi la metà dei residenti di Gerusalemme est sono israeliani e occupano insediamenti illegali e abitazioni requisite ai palestinesi.
Gli Accordi di Oslo del 1993 si fondavano sul reciproco riconoscimento dello stato di Israele e l’Autorità nazionale palestinese e miravano al raggiungimento di una pace stabile garantendo l’autonomia della Palestina e il suo diritto alla sovranità. Gli accordi in questione avevano altresì l’intento di favorire una graduale riassegnazione di tutte e tre le aree ai palestinesi.
Gli intenti dichiarati negli accordi di Oslo del 1993 non sono mai stati realizzati.
Nel report, redatto nell’ambito delle indagini dell’ONU del 2021, si legge:
“l’esistenza di insediamenti israeliani e la delimitazione del territorio ad uso esclusivo di Israele hanno portato alla graduale frammentazione della Cisgiordania, a cambiamenti demografici e allo sfruttamento illegale delle risorse naturali, limitando al contempo l’accesso dei palestinesi e negando le possibilità di sviluppo della Palestina”.
In sostanza, si pone l’attenzione sulla gestione dei territori palestinesi da parte di Israele, in particolar modo per quanto concerne l’assegnazione di terreni in Cisgiordania ad uso esclusivo dei coloni israeliani, già dal 1967.
In pratica, Israele attribuendo ad alcune aree la definizione di “terre statali”, cioè d’interesse storico, archeologico o militare, le riservò interamente ai cittadini israeliani, estromettendo del tutto i palestinesi.
Le raccomandazioni dell’ONU del 2017
Già nel 2017 il Segretario generale dell’ONU Gutierres aveva espresso preoccupazione per i trasferimenti forzati dei cosiddetti Dkaika, pastori e beduini palestinesi, pianificati da Israele nei villaggi di Massafar Yatta, inoltre le ONG israeliane Peace now e Ir Amin avevano denunciato lo sfratto di circa 55 famiglie palestinesi nel 2015-2016 nella Città Vecchia di Gerusalemme est.
Sui palestinesi in Cisgiordania gravano pesanti restrizioni per quanto riguarda la circolazione di merci e persone, imposte da Israele con la motivazione della salvaguardia della sicurezza nazionale. Misure restrittive, facenti parte dello stato di occupazione belligerante, come posti di blocco e limitazioni d’accesso a terreni agricoli, risorse naturali, servizi essenziali, quali l’istruzione pubblica e l’assistenza medica relegano i palestinesi a condizioni di grave povertà ed emarginazione sociale, per citare lo stesso esempio dell’ONU, se i coloni israeliani hanno accesso quotidianamente a circa 320 litri d’acqua al giorno, i palestinesi residenti nelle prime due aree hanno diritto a 75-100 litri d’acqua al giorno, mentre quelli residenti nella terza area meno di 50 litri.
Nel 2017-2018 le raccomandazioni degli stati membri dell’ONU riguardavano la cessazione dello stato di occupazione belligerante dei territori palestinesi, nonché della pratica degli sgomberi forzati e della detenzione amministrativa, soprattutto di minorenni, l’eliminazione delle restrizioni della libertà di movimento che ostacolano il ricongiungimento familiare tra gli abitanti di Gerusalemme est e quelli di altre aree della Cisgiordania, la fine del blocco sociale ed economico su Gaza per consentire ai palestinesi l’accesso a risorse e beni essenziali, lo smantellamento del sistema di leggi atte a favorire pratiche di discriminazione e ghettizzazione della popolazione palestinese.
In sostanza, si condannava il sistema di oppressione e apartheid, colonna portante dello stato di occupazione belligerante, messo in atto da stato Israele che trova la massima esemplificazione nel muro che separa i palestinesi della Cisgiordania da Gerusalemme est e da Israele.
Jenny Favazzo