Israele considera l’impiego di mercenari statunitensi a Gaza

mercenari statunitensi a Gaza

Andrea Umbrello

Direttore Editoriale di Ultima Voce


Ormai ridotta a macerie, Israele sta cercando di affidare la protezione degli aiuti a mercenari statunitensi a Gaza. In un momento in cui la sofferenza della popolazione palestinese è palpabile, questa possibile decisione non fa altro che intensificare il controllo straniero su un territorio già privato di diritti. La sicurezza degli aiuti dovrebbe essere una questione di umanità, ma qui sembra essere solo un altro passo verso la militarizzazione e l’escalation della sofferenza di chi già vive sotto occupazione.


Israele sta valutando l’implementazione di un programma pilota che sostituirebbe l’esercito con società di sicurezza private per gestire le operazioni umanitarie nel nord della Striscia di Gaza. L’obiettivo dichiarato è garantire la protezione dei convogli di cibo e medicine destinati ai palestinesi, un compito che finora ha visto coinvolti i soldati israeliani, spesso esposti a gravi rischi.

Tra le società candidate per questa operazione figurano nomi noti, come Constellis, successore della famigerata Blackwater, implicata in scandali di guerra in Iraq, e Orbis, una piccola azienda statunitense diretta da ex generali del Pentagono. La loro presenza solleva interrogativi etici e politici, in un contesto già segnato da profonde tensioni e accuse di violazioni dei diritti umani.

La situazione sul campo: tra bande e necessità umanitarie

Il nord della Striscia di Gaza è devastato da bombardamenti, penurie e un disastro umanitario di proporzioni bibliche. Gli aiuti internazionali sono spesso intercettati da bande locali o da gruppi armati, tra cui Hamas, secondo le fonti israeliane che non hanno ancora fornito prove a riguardo. Israele ha giustificato la proposta di esternalizzare la sicurezza dei convogli umanitari con la necessità di evitare che queste risorse vitali cadano nelle mani sbagliate.

Nel frattempo, il ministero degli Interni di Gaza ha creato una forza di polizia locale per contrastare il fenomeno dei saccheggi. Tuttavia, le Nazioni Unite hanno denunciato che alcune bande operano con il tacito consenso, se non addirittura con la protezione attiva, delle forze israeliane, sollevando dubbi sulla reale volontà di Israele di garantire un flusso sicuro di aiuti.

Società private: chi sono i protagonisti

La presenza di società private come Constellis e Orbis non è nuova nei teatri di guerra, ma la loro entrata nella gestione della crisi di Gaza rappresenta un ulteriore passo verso la privatizzazione della guerra. A queste si aggiunge la Global Delivery Company (GDC), definita “l’Uber per le zone di guerra”.

Guidata da Mordechai Kahane, uomo d’affari israeliano e figura controversa per il suo coinvolgimento con i servizi di intelligence israeliani durante la guerra in Siria, GDC si propone di creare “bolle umanitarie” per gestire le operazioni di sicurezza in aree altamente pericolose. La sua attività solleva dubbi sul confine tra operazioni umanitarie e interessi geopolitici.

Un progetto dai costi miliardari

Secondo fonti vicine al governo israeliano, i contratti per queste operazioni potrebbero raggiungere i miliardi di shekel ogni anno. Questa cifra astronomica ha spinto Tel Aviv a cercare un finanziamento esterno, che potrebbe arrivare dagli Stati Uniti o da organizzazioni umanitarie internazionali. Tuttavia, tale mossa ha incontrato ostacoli legali significativi.

Il gabinetto di sicurezza israeliano non ha ancora approvato il programma, in quanto il coinvolgimento di società private in un territorio occupato potrebbe violare il diritto internazionale. Per aggirare il problema, Israele sta valutando l’ipotesi di far finanziare il progetto da organizzazioni umanitarie o paesi stranieri, una scelta che ha già attirato forti critiche da parte delle organizzazioni per i diritti umani.

La crisi di arruolamento spinge verso i mercenari

Uno dei motivi dietro il ricorso alle società di sicurezza private è la crescente crisi di arruolamento nelle forze armate israeliane. Per far fronte a questa difficoltà, Tel Aviv ha iniziato a esplorare soluzioni esterne. Tra queste, spicca una contestata collaborazione con la German-Israeli Association, che ha portato al reclutamento di rifugiati provenienti da paesi devastati dalla guerra, come Afghanistan, Libia e Siria.

Questi individui, spesso in condizioni di estrema vulnerabilità, vengono reclutati con la promessa di stipendi elevati (tra 4.000 e 5.000 euro al mese) e una cittadinanza tedesca accelerata. Questo approccio è stato criticato da molte organizzazioni per i diritti umani, che lo considerano una forma di sfruttamento mascherata da opportunità.

Implicazioni legali ed etiche

L’utilizzo di società di sicurezza private in un territorio occupato solleva questioni legali complesse. Il diritto internazionale prevede obblighi precisi per le potenze occupanti, tra cui la protezione dei civili e la gestione diretta delle operazioni umanitarie. Esternalizzare queste responsabilità potrebbe costituire una violazione delle norme stabilite dalla Convenzione di Ginevra.

Inoltre, l’uso di rifugiati come mercenari pone ulteriori dilemmi morali. Questi individui, già traumatizzati dai conflitti nei loro paesi d’origine, vengono coinvolti in operazioni militari che potrebbero esacerbare le loro condizioni psicologiche e sociali.

Un futuro nebuloso

Mentre Israele cerca di superare le difficoltà legate alla gestione della crisi umanitaria e alla sicurezza a Gaza, il ricorso a società di sicurezza private e mercenari stranieri rischia di esacerbare ulteriori tensioni. Questo modello, basato sulla privatizzazione della guerra e sullo sfruttamento di individui vulnerabili, rappresenta una soluzione pericolosa che potrebbe avere implicazioni di lunga durata sul conflitto israelo-palestinese e sul rispetto dei diritti umani nella regione.

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