La politica di armi e violenza del ministro Ben Gvir: approvate più di 100.000 licenze per armi dal 7 ottobre

Israele ha approvato 100.000 licenze per armi

Andrea Umbrello

Direttore Editoriale di Ultima Voce


Israele ha approvato 100.000 licenze per armi dal 7 ottobre scorso. Un numero che fa tremare i polsi e che genera un acceso dibattito sulla sicurezza nazionale. Il ministro Itamar Ben Gvir annuncia la decisione con una soddisfazione che non può certo risultare contagiosa. Più armi per difendersi o per alimentare la spirale di violenza? Una cosa è certa: la direzione della politica di sicurezza nazionale è stata tracciata. E non è una direzione che rassicura. L’esperienza insegna che più armi in circolazione equivalgono a più morti e feriti.


All’interno del complesso scenario del conflitto israelo-palestinese, si torna spesso a parlare di una figura il cui approccio alla sicurezza nazionale è stato ampiamente contestato e giudicato disumano: Itamar Ben Gvir, ministro israeliano per la Sicurezza Nazionale. Le sue dichiarazioni e azioni hanno più volte suscitato forti critiche, non solo a livello nazionale ma anche a livello internazionale, per la loro mancanza di compassione e la loro inclinazione verso politiche che sembrano ignorare le implicazioni umane dei conflitti. Il ministro israelino si è reso spesso portavoce di una retorica che sembra trascurare il valore delle vite umane e alimenta un clima di tensione e violenza anziché promuovere la pace e la sicurezza.

Questa settimana abbiamo raggiunto una pietra miliare presso il Ministero della Sicurezza Nazionale: il 100.000esimo cittadino ha ricevuto la sua licenza di porto d’armi.

– Itamar Ben Gvir –

La recente dichiarazione di Ben Gvir riguardante l’approvazione di 100.000 licenze per armi è emblematica del suo approccio imprudente e pericoloso alla sicurezza nazionale. Nonostante il suo orgoglio nel proclamare un aumento della disponibilità di armi come un segno di maggiore sicurezza, tale atteggiamento bellicoso suscita legittime preoccupazioni. Inoltre, oltre ogni ragionevole dubbio, la concessione di licenze illegali, come denunciato dai media locali, alimenta un clima di sospetto attorno all’operato del ministro. Le accuse di favoritismo verso l’ex spia israeliana Jonathan Pollard, a cui sarebbe stato illegittimamente concesso un porto d’armi, non fanno che rafforzare l’impressione di un sistema opaco e incline a distorsioni.

Dove la legge si piega al favoritismo, la giustizia diventa una lontana utopia, e l’inquietante disinvoltura con cui le procedure standard sono state ignorate per privilegiare un individuo dal passato discutibile solleva seri dubbi sull’integrità del ministro. La sua capacità di esercitare la propria autorità in modo imparziale e responsabile appare compromessa, lasciando spazio a interrogativi inquietanti sulla sua condotta.

Le azioni di Ben Gvir riflettono una politica di escalation anziché di mitigazione del conflitto. La scia di episodi violenti che costellano il passato del ministro israeliano, culminati nell’ostentazione della sua pistola in contesti di tensione etnica e religiosa, dipinge un ritratto inquietante di un uomo incline alla rabbia e all’uso spropositato della forza.

Il richiamo del capo della sicurezza della Knesset, avvenuto dopo che Ben Gvir aveva estratto la pistola durante un diverbio con dei parcheggiatori arabi a Tel Aviv, non sembra aver sortito l’effetto desiderato. L’incidente di Gerusalemme Est, dove il ministro ha nuovamente brandito l’arma in un clima di tensione interreligiosa, dimostra la sua incapacità di gestire situazioni delicate e il suo pericoloso disprezzo per la sicurezza altrui.

Israele ha approvato 100.000 licenze per armi, un trend che ha indotto numerose donne e organizzazioni femministe ad esprimere preoccupazioni riguardo alla criminalità e alla violenza domestica, alimentate dall’aumento di armi in circolazione, il ministro ha risposto in modo superficiale e insensibile. Egli si è limitato a ribadire la sua posizione di favore verso la diffusione di armi, affermando che il suo ministero sta lavorando per garantire che le armi finiscano solo “nelle mani giuste“. Ha inoltre strumentalizzato il tragico evento del 7 ottobre, sostenendo che le donne sarebbero state salvate e non sarebbero state stuprate se avessero avuto più armi a loro disposizione.

Quelle di Ben Gvir, come spesso accade, sono risposte superficiali che non tengono conto delle complesse cause della criminalità e della violenza domestica. Sono risposte inadeguate e offensive che dimostrano una preoccupante mancanza di comprensione del problema e una pericolosa superficialità. Il ministro ignora il fatto che le donne sono spesso le prime vittime della violenza armata, sia in casa che fuori. Inoltre, l’idea che più armi equivalgano a più sicurezza è un mito pericoloso e smentito dai dati.

Dove le armi fioriscono, la speranza muore. La loro proliferazione incontrollata, con il preoccupante aumento di richieste di licenze e la distribuzione di armi pesanti negli insediamenti israeliani illegali, rappresenta una grave minaccia per la pace e la sicurezza. Lungi dal promuovere una soluzione pacifica al conflitto, questa tendenza rischia di alimentare un circolo vizioso di violenza e repressione. Israele ha approvato 100.000 licenze per armi alimentando un’escalation che non può che esacerbare le tensioni e rendere più difficile il dialogo e la riconciliazione.

Le proposte di Ben Gvir in materia di sicurezza e stabilità regionale destano notevoli perplessità. Il suo indirizzo improntato alla belligeranza potrebbero aggravare i conflitti esistenti invece di appianarli. L’enfasi sull’uso della forza come strumento di risoluzione dei conflitti appare controproducente e rischia di alimentare la spirale di violenza che coinvolge sempre più israeliani armati fino ai denti, convinti che pistole e fucili siano la soluzione a tutto, quando in realtà il silenzio delle armi sarebbe solo il primo passo verso la pace.

Exit mobile version