Israele boicotta Haaretz: un colpo alla democrazia e alla libertà di stampa

Israele boicotta Haaretz

Andrea Umbrello

Direttore Editoriale di Ultima Voce


Israele boicotta Haaretz, storico quotidiano di opposizione, noto per il suo rigore giornalistico e per essere una delle poche voci indipendenti capaci di analizzare criticamente le azioni del governo. La decisione, che prevede il divieto di pubblicità statale e l’invito a tutti i dipendenti pubblici e agli enti finanziati dal governo a non collaborare con la testata, stringe una morsa sulla libertà di espressione, limitando sempre più lo spazio per il dibattito e il pensiero critico.


La decisione: colpire una voce scomoda

Il ministro delle Comunicazioni, Shlomo Karhi, ha annunciato che la proposta di boicottaggio è stata approvata all’unanimità dai membri del governo. Secondo Karhi, questa misura è giustificata per via del presunto “incitamento contro lo Stato” portato avanti da Haaretz, accusato di promuovere una narrativa disfattista e ostile in un periodo di conflitto.

Nella dichiarazione ufficiale, Karhi ha affermato:

“Non possiamo permettere che uno strumento mediatico finanziato dallo Stato sostenga i suoi nemici e chieda sanzioni contro di esso.”

Sebbene il ministro abbia ribadito che il governo sostiene la libertà di stampa, ha precisato che questa non include l’obbligo di finanziare un media critico.

Haaretz, fondato nel 1918 e pubblicato anche in inglese, ha sempre avuto un ruolo centrale nel panorama mediatico israeliano e internazionale. La sua reputazione si è costruita sulla capacità di denunciare le storture del potere, comprese le azioni controverse delle forze armate e del governo di Benjamin Netanyahu. Negli ultimi anni, però, il quotidiano è diventato il bersaglio privilegiato di una coalizione governativa sempre più orientata a destra.

Un’atmosfera soffocante e di repressione crescente

Il boicottaggio di Haaretz si inserisce in un quadro più ampio di repressione della libertà di stampa in Israele. Già nel maggio scorso, il governo aveva chiuso gli uffici locali di Al Jazeera, accusandola di rappresentare una minaccia alla sicurezza nazionale. Simili provvedimenti non sono nuovi nel Paese, dove le autorità hanno spesso cercato di limitare l’accesso dei media indipendenti ai territori occupati e di controllare la narrativa interna.

Secondo un recente rapporto, sarebbero quasi 200 i giornalisti uccisi a Gaza dall’inizio dei bombardamenti israeliani. Questo dato sconvolgente ci ricorda non solo il costo umano inestimabile di un conflitto prolungato, ma anche la difficoltà crescente per i giornalisti di documentare gli orrori che si consumano nei territori palestinesi. I reporter, che dovrebbero essere i nostri occhi e la nostra voce, sono sempre più spesso bersagli di un sistema che mira a manipolare l’informazione e a soffocare ogni forma di dissenso. Silenziare i giornalisti significa negare al mondo il diritto di conoscere la verità e di chiedere giustizia per le vittime di questa ingiusta guerra.

La discesa negli abissi illiberali

Israele, spesso definito dai suoi sostenitori “l’unica democrazia del Medio Oriente”, mostra segni evidenti di un’involuzione autoritaria. La coalizione di governo guidata da Netanyahu, considerata la più a destra nella storia del Paese, ha adottato una serie di misure che restringono progressivamente i diritti civili e la libertà di espressione. Il boicottaggio di Haaretz è solo l’ultimo episodio di una strategia più ampia per eliminare il dissenso interno.

Il quotidiano, infatti, non è soltanto una voce critica nei confronti del governo, ma rappresenta anche un punto di riferimento per chi, in Israele e all’estero, cerca una visione alternativa sulle politiche dello Stato. Haaretz ha pubblicato indagini su presunti crimini di guerra, abusi delle forze armate e scandali di corruzione. Inoltre, si è schierato apertamente a favore di un cessate il fuoco con Hamas per favorire la liberazione degli ostaggi ancora detenuti a Gaza.

L’attacco a Haaretz, dunque, non è casuale. Silenziare una testata così prestigiosa equivale a ridurre ulteriormente lo spazio di critica e a consolidare il controllo del governo sull’informazione.

Potere militare e debolezza morale

Israele è uno Stato forte, economicamente e militarmente. Con il sostegno economico e tecnologico degli Stati Uniti, il Paese ha sconfitto tutti i suoi nemici e consolidato il controllo su territori considerati strategici. Tuttavia, questa forza non sembra sufficiente a risolvere le sue contraddizioni interne. Piuttosto, il Paese sta affrontando un lento processo di erosione dei principi democratici che lo avevano reso un modello per molti.

Il boicottaggio di Haaretz è un segnale allarmante di questa crisi. Mentre Israele si afferma come potenza regionale, rischia di perdere la sua anima democratica, cedendo alle tentazioni di un autoritarismo sempre più evidente.

Haaretz non si arrende

Nonostante l’attacco, Haaretz ha ribadito il proprio impegno a restare una voce indipendente. In una dichiarazione ufficiale, il quotidiano ha accusato Netanyahu di seguire l’esempio di leader autoritari come Putin, Erdoğan e Orbán, e ha promesso di continuare a svolgere il proprio ruolo di cane da guardia del potere.

“La democrazia israeliana”, si legge nella nota, “non sarà distrutta senza che noi facciamo sentire la nostra voce”. Questo spirito di resistenza è emblematico di una società civile che, pur sotto pressione, non si arrende all’autoritarismo.

Quale futuro per Israele?

Conquistati i territori, sconfitto ogni nemico e consolidato il potere interno, Israele potrebbe trovarsi a combattere una nuova battaglia: quella contro se stesso. Il rischio di implodere sotto il peso delle sue stesse contraddizioni è reale. La forza militare non basta a mascherare una debolezza morale che emerge chiaramente nelle azioni contro la stampa e i diritti civili.

In questo scenario, il caso Haaretz rappresenta più di un attacco alla libertà di stampa. È un simbolo della direzione intrapresa da Israele, che, anziché rafforzare la sua democrazia, sembra avviato verso un autoritarismo sempre più marcato. E forse, come suggeriscono alcuni osservatori, la vera battaglia di Israele sarà quella per ritrovare la propria anima democratica.

Exit mobile version