Le relazioni tra Iran e Stati Uniti sono storicamente difficili. L’amministrazione Trump ha cercato di aumentare l’isolamento iraniano fin dal 2018, anno del ritiro statunitense dall’accordo sul nucleare, fino ai recenti Accordi di Abramo, che vedono la normalizzazione dei rapport tra Israele ed Emirati Arabi Uniti.
Per ora, i piani della Casa Bianca riguardo l’isolamento iraniano non sembrano aver portato ai risultati sperati.
UN Security Council members urged both Iran and the United States to return to the 2015 Joint Comprehensive Plan of Action, or Iran nuclear deal, that Pres. Trump pulled out of in 2018.
— NowThis (@nowthisnews) September 21, 2020
L’origine delle tensioni: la rivoluzione degli ayatollah
L’inizio della crisi dei rapporti tra Iran e Stati Uniti risale al 1979, anno della rivoluzione iraniana. Dopo l’ascesa al potere dell’Ayatollah Khomeini, il nuovo regime iraniano temeva che gli Stati Uniti tramassero un ritorno dello Scià, ex monarca del Paese. Per questo motivo, il 4 novembre 1979, un gruppo di studenti assaltò l’ambasciata statunitense prendendo in ostaggio 52 dipendenti. Dopo 14 mesi di trattative fallite, l’intervento del governo algerino permetteva la liberazione degli ostaggi.
Il 14 luglio 2015, gli Stati Uniti guidati dall’allora presidente Barack Obama, i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la Germania e l’Iran firmavano il Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA). L’accordo sul nucleare iraniano si basava sull’idea che l’Iran avrebbe ridotto la sua capacità di arricchire l’uranio, mentre gli altri Paesi firmatari si impegnavano a rimuovere le sanzioni imposte nel 2002. Per garantire il suo impegno, l’Iran doveva anche accettare ispezioni regolari alle sue centrali nucleari.
Dopo solo tre anni dalla firma dell’accordo sul nucleare, gli Stati Uniti si ritiravano. Il presidente Trump riteneva che le regole dell’accordo non fossero abbastanza dure da punire un Paese sostenitore del terrorismo.
Il 31 dicembre 2019, l’Iran attaccava l’ambasciata statunitense in Iraq. L’attacco, probabilmente orchestrato dal generale Qassem Soleimani, ha scatenato la risposta statunitense. Il 3 gennaio 2020 il presidente Trump ordinava l’omicidio di Soleimani. La morte di Soleimani è stata un duro colpo per l’Iran. Il generale, infatti, rappresentava una delle figure più influenti del panorama geopolitico mediorientale, ritenuto un martire dalla tradizione sciita e successivo per importanza solo all’ayatollah Khamenei.
Il 5 gennaio 2020 anche l’Iran si ritirava dall’accordo sul nucleare e tre giorni dopo, l’8 gennaio, attaccava le basi statunitensi in Iraq.
Nuove sanzioni per accrescere l’isolamento iraniano
Pochi giorni fa sono arrivate nuove sanzioni statunitensi per aumentare il livello di isolamento iraniano. La proposta, hanno risposto i Paesi membri del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, non ha le basi legali per essere portata avanti dagli Stati Uniti, vista la loro uscita anticipata dall’accordo. Secondo Al Jazeera, gli Stati Uniti avrebbero trovato solamente il supporto della Repubblica Dominicana, lasciando la proposta ben lontana dai nove voti necessari per l’adozione di una norma e gli Stati Uniti isolati da tutti gli altri attori della politica globale.
To the world: today is the time to stand up against bullying. Era of dominance and hegemony are over. Our children deserve better! Now is the time for the right choice. #UNGA
— Hassan Rouhani (@HassanRouhani) September 22, 2020
Inoltre, negli ultimi giorni, l’amministrazione Trump ha aumentato le critiche nei confronti del governo iraniano, accusando il Paese di star pianificando l’omicidio dei diplomatici statunitensi e di voler attaccare il sistema di sicurezza americano per interferire con le elezioni presidenziali di novembre.
L’Iran ha deciso di mantenere un profilo basso, e proprio l’assenza di risposta sembrerebbe essere la strategia scelta dal governo. Secondo interviste riportate dal New York Times, Teheran avrebbe scelto di ridurre al minimo tutte le azioni che potrebbero essere viste come un attacco agli Stati Uniti o a Israele, maggiore alleato americano nella regione, in vista delle elezioni presidenziali di novembre.
Al momento, sembra che la scelta iraniana abbia avuto maggiori risultati rispetto a quella statunitense. Mentre il governo di Teheran urla silenziosamente il fallimento degli Stati Uniti al mondo, porta avanti il dialogo con vicini come l’Iraq.
Noemi Rebecca Capelli