Avete mai saputo che, per nove mesi, a pochi chilometri dalle spiagge di Torre Pedrera, una ridente località vacanziera nei pressi di Rimini, tra il maggio del 1968 e il febbraio del 1969, c’è stata una nazione? Ebbene sì. Si chiamava Isola delle Rose ed era il frutto di un progetto altrettanto ambizioso quanto strampalato ma incredibilmente concreto, partorito dalla mente di un ingegnere, Giorgio Rosa. La storia di questo posto è talmente eccentrica e pittoresca che Netflix ha deciso di farci un film, disponibile da qualche giorno sulla piattaforma.
Il suo nome ufficiale era Esperanta Respubliko de la Insulo de la Rozoj ed era l’indicazione in esperanto di una piattaforma artificiale di 400 metri quadrati che sorgeva nel mare Adriatico, a poco più di 11 chilometri di distanza dalle coste italiane. Si parlava l’esperanto, c’erano un governo, un inno e una bandiera, oltre a francobolli e al progetto di battere moneta. Immaginata e costruita dall’ingegnere bolognese Giorgio Rosa, l’Isola delle Rose era collocata in acque internazionali, 500 metri al di fuori delle acque territoriali italiane.
Chi è Giorgio Rosa
Ma cominciamo da capo. Giorgio Rosa nasce a Bologna nel 1925. Da giovane fa parte della Repubblica Sociale Italiana e, dopo la guerra, si laurea in ingegneria meccanica, per poi dedicarsi a fasi alterne alla consulenza e all’insegnamento.
Il turismo in Romagna sta crescendo, l’ingegner Rosa ha un’idea commerciale che potrebbe funzionare: una piattaforma in mezzo al mare. Ma la burocrazia italiana spegne presto il suo entusiasmo: atti, documenti e bolli assetano Rosa di libertà, per realizzare qualcosa che sia privo dei legacci asfissianti dello statalismo. L’ingegnere è un eccentrico, ma dalla sua ha anche la competenza tecnica per dare forma a quella provocazione che da un po’ gli ronza in testa: un’isola tutta sua, con regole sue e governo suoi.
Il progetto iniziale dell’Isola delle Rose
Nel 1958 inizia lo studio per il telaio di tubi in acciaio che potrebbero costituire lo scheletro dell’isola. Nomina presidente della neocostituita Società Sperimentale per Iniezioni di Cemento la moglie Gabriella Chierici. Ha poi luogo la prima ispezione del punto prescelto, nel luglio dello stesso anno: come base i due hanno un capanno sul molo di Rimini, da cui vanno e vengono fino all’estate del 1960.
Si muovono due volte alla settimana, con un natante che ha il motore di una Fiat 500. Rosa deve alzare il fondale e pensa di farlo con un sistema di drenaggio della sabbia, trattenuta grazie alle alghe. Il progetto iniziale prevede una piattaforma di cinque piani, con aree di sbarco per battelli e tubi di gomma per l’acqua dolce, con una soluzione simile a quella delle piattaforma al largo dell’Inghilterra.
La reazione dello Stato italiano
Lo Stato Italiano, però, si accorge che qualcosa sta accadendo al largo delle spiagge di Torre Pedrera: nell’ottobre del 1962 la madrepatria ordina a Rosa di rimuovere qualsiasi ostacolo alla navigazione. A questo si aggiungono problemi tecnici e finanziari che rendono il progetto un’utopia sempre più fumosa. A fine maggio del 1964, però, il sogno riprende forma: le capitanerie di Porto di Ravenna e Pesaro ricevono delle richieste formali per l’opzione degli spazi collocati sulle banchine, per permettere a Rosa (e al gruppo di amici che sognano insieme a lui) di rifornirsi di gasolio, di costruire la piattaforma presso i cantieri navali e di pubblicare finalmente l’avviso ai naviganti, segnalando, incredibilmente, la presenza di strutture.
“Lavori sperimentali”
I lavori vanno avanti, fino a che nel novembre del 1966 la capitaneria di porto di Rimini dice basta, perché la zona è in concessione all’Eni. Rosa si difende anche con la polizia, dicendo che si tratta di lavori sperimentali e, più o meno indisturbato, il 20 maggio del 1967 riesce a trovare l’acqua dolce a 280 metri di profondità. Questo comporta una grande accelerazione nei lavori. Così, il 20 agosto del 1967, l’isola viene aperta al pubblico.
La dichiarazione d’indipendenza
Passano nove mesi e Giorgio Rosa, a maggio del 1968, proclama unilateralmente l’indipendenza dello Stato dell’Isola delle Rose. Barche e altri mezzi vanno e vengono dalla piattaforma per tutta la primavera: la gente inizia a parlare di Rosa e ad andare a vedere quel che sta accadendo in mezzo al mare, su una piattaforma di 400 metri quadri che si è appena dichiarata Stato. Il governo italiano, intanto, si preoccupa dei proventi turistici che Rosa sta raccogliendo senza pagare nessun tipo di tassa.
Il governo dell’Isola delle Rose
Nessuna nazione del mondo riconosce lo status dell’Isola delle Rose che, però, nel frattempo si dà un governo. A presiederlo c’è Giorgio Rosa, nel ruolo di presidente del Consiglio dei Dipartimenti, coadiuvato da uffici relativi alle Finanze, agli Affari Interni, all’Industria, al Commercio e agli Affari Esteri. Ricoprono le cariche amici e parenti di Rosa e della moglie: sono in sei e nella vita fanno ad esempio i medici o i commercialisti. “Gente normale”, li definisce Rosa.
L’ufficialità
Si dà una bandiera e un simbolo, con ovviamente le rose come protagoniste. L’inno ufficiale è invece è un brano tratto da L’Olandese volante di Richard Wagner. Emette anche circa cinquemila francobolli, ancora oggi ricercatissimi dai collezionisti. Il 24 giugno, Rosa annuncia tutto questo in una conferenza stampa.
Conferenza, a cui il governo italiano non può non rispondere. Parte quindi un pattugliamento di motovedette della Guardia di finanza e della capitaneria di porto: è un vero e proprio blocco navale, che impedisce a chiunque di attraccare sulla piattaforma. Rosa viene intanto convocato dai servizi segreti. Ad abitare in pianta stabile l’isola sono rimasti solo il custode e la moglie, con un naufrago, Pietro Bernardini, che arrivato lì dopo una tempesta, prende in affitto l’isola per un anno.
Il tortuoso percorso burocratico
Inizia quindi una complicatissima trafila burocratica e giudiziaria, che porta Rosa a scrivere anche al presidente Saragat, venendo però ignorato. La faccenda suscita interesse e arrivano all’ingegnere anche numerose proposte di acquisto dell’isola. Le autorità italiane intimano a Rosa e alla Chierici di demolire “il manufatto”, pena la demolizione d’ufficio, che costerebbe però allo Stato 31 milioni di lire.
Verso la demolizione
Mentre i ricorsi e gli appelli arrivano anche a Strasburgo, la Marina Militare porta a terra tutto quanto è sbarcabile dall’isola, sistemando anche l’esplosivo per la demolizione. L’operazione vera e propria, però, deve aspettare il mese di febbraio: con 675 kg di esplosivo, si pensa di fare implodere la piattaforma, per poi recuperare i detriti, considerati pericolosi per la pesca. Niente da fare: l’Isola delle Rose resiste. Non cade, nemmeno sotto l’altra tonnellata di esplosivo che viene piazzata due giorni dopo. E’ solo una burrasca, qualche settimana dopo, a fare inabissare la piattaforma.
La solidarietà del turismo riminese
La notizia si sparge velocemente e a Rimini compaiono dei manifesti listati a lutto, che recitano:
«Nel momento della distruzione di Isola delle Rose, gli Operatori Economici della Costa Romagnola si associano allo sdegno dei marittimi, degli albergatori e dei lavoratori tutti della Riviera Adriatica condannando l’atto di quanti, incapaci di valide soluzioni dei problemi di fondo, hanno cercato di distrarre l’attenzione del Popolo Italiano con la rovina di una solida utile ed indovinata opera turistica. Gli abitanti della Costa Romagnola.»
L’epilogo
Le operazioni di smantellamento andarono poi avanti per i successivi quaranta giorni, ma ancora nel 2009 furono ritrovati dei resti della struttura sul fondale. Giorgio Rosa passò una vita tutto sommato agiata, rifacendosi delle spese sostenute per la costruzione dell’isola (circa 30 milioni di lire) grazie alle consulenze che l’eco della sua utopia indipendentista gli aveva fruttato. L’ingegnere spirò nella sua Bologna, il 2 marzo del 2017. Non prima di aver assistito allo studio di progetti simili all’Isola delle Rose in giro per il mondo: tra questi, quello dell’imprenditore Peter Thiel, l’ideatore di PayPal, che rilanciò l’idea delle isole artificiali in acque internazionali, con un massimo di 270 abitanti ciascuna.
Una storia con mille sfaccettature
Nel corso della storia, il progetto dell’Isola delle Rose è stato definito in tutti i modi possibili: da “precedente pericoloso”, come a indicare una sorta di Cuba dell’Adriatico, a’”utopia amara” o, ancora, a “grande intuizione commerciale”. Rosa l’ha descritta come un “peccato d’ingenuità”, tanto problematico e dibattuto per chi lo ha affrontato ieri, quanto pittorescamente strampalato per chi ne legge oggi. O magari ispiratore, per chi verrà domani.
Elisa Ghidini