Isis e lotta al terrorismo islamico: questo è l’argomento trattato nel servizio andato in onda durante l’ultima puntata de Le Iene. Un servizio molto duro, con immagini crude e violente, di cui i telespettatori sono stati preventivamente avvisati.
La verità è che l’Isis sta facendo tremare il mondo intero. È soltanto di ieri la notizia di un doppio attentato a Baghdad, in Iraq: 13 persone sono morte, almeno 26 i feriti. La distruzione dello Stato Islamico è ormai una priorità assoluta, per tutti. Ma cosa sono disposti a fare i cosiddetti “Paesi civilizzati” per fermare le mostruosità messe in atto dai terroristi? E noi cosa siamo disposti ad accettare per difendere le nostre vite e la nostra libertà?
Questa la domanda che è stata posta nel servizio andato in onda domenica scorsa su Italia1. In Iraq, infatti, esiste un esercito anti-Isis, il cui scopo sarebbe quello di combattere i terroristi. Ma per fare ciò catturano e torturano persone la cui unica colpa è vivere nei territori occupati proprio dall’Isis.
Ecco cosa succede in Iraq mentre i potenti della terra continuano a cercare un modo per fermare il terrorismo dall’alto delle loro poltrone.
Isis e lotta al terrorismo: quando alla violenza si risponde con altra violenza
Mentre in Europa e nel mondo si piangono ancora le vittime dell’attentato di Manchester, in Iraq la guerra contro lo Stato Islamico assume sfumature sempre più cupe. A testimoniarlo un giornalista, un reporter che per mesi ha seguito le imprese dell’esercito anti-Isis che avrebbe dovuto salvare il popolo iracheno. Ma ben presto gli eroi si sono trasformati in carnefici.
I filmati realizzati dal giornalista mostrano scene degne di un film horror. Ma purtroppo sono reali. Uomini picchiati e torturati per aver avuto dei “presunti” legami con l’Isis. Persone sottoposte a devastanti torture. Come l’uomo che è stato legato e appeso al soffitto, mentre gli vengono inferte delle scariche elettriche. Solo dopo mezz’ora di torture gli aguzzini credono nella sua innocenza e lo liberano. Ma non contenti, paradossalmente, finiscono col picchiare il figlio dell’uomo appena torturato, perché in passato si sarebbe permesso di picchiare il padre.
Viene poi mostrata la cattura di due fratelli, anche loro accusati di aver collaborato con i terroristi. I due giurano di essere delle vittime, di essere fuggiti dai territori occupati dall’Isis per cercare rifugio e salvezza altrove. Per scappare da quegli orrori. E invece, feriti e stanchi, sono finiti nelle mani di persone le cui torture hanno finito per ucciderli entrambi. I loro corpi senza vita giacciono al suolo, mentre i soldati continuano a infierire su di loro e a insultarli.
I militari tentano persino uno stupro ai danni di una donna che si trova in casa con la figlia, una neonata. Ad impedire la violenza soltanto il fatto che la giovane mamma avesse le mestruazioni. Ma quante altre donne sono state altrettanto “fortunate”? Quante mogli, madri e figlie vengono violentate ogni giorno dai terroristi e anche da chi dice di combatterli?
È davvero difficile immaginare scene di una tale atrocità. Almeno finché le prove di ciò che accade non sono davanti ai nostri occhi. Per mostrare al mondo tutto ciò, quel giornalista è fuggito dall’Iraq e tuttora vive nascosto in qualche angolo del pianeta. Ma ora che sappiamo, che abbiamo visto a cosa si può arrivare per fermare l’avanzata del terrorismo, siamo disposti ad accettarlo?
“Il fine giustifica i mezzi” sarà la risposta dei Paesi occidentali? Eppure è davvero difficile pensare che in una società civilizzata la violenza possa ancora essere considerata la soluzione. Perché catturare, torturare e uccidere degli innocenti, o voltarsi dall’altra parte mentre tutto ciò accade, forse non ci rende molto diversi da quei “mostri” che tentiamo di distruggere.
Ranjitha Mancini