ISIS® IL MARKETING DELL’APOCALISSE

Bruno Ballardini

Di Bruno Ballardini

 

La “società dello spettacolo” di debordiana memoria non solo si è realizzata, ma è anche arrivata al suo ultimo atto: il mondo ormai è soltanto ciò che accade nei media. Dunque, quella a cui stiamo assistendo è senza dubbio la Terza guerra Mondiale. Ma è totalmente diversa dai due conflitti globali che l’hanno preceduta. È una guerra mediatica in cui i comunicati dei presunti terroristi sono soltanto una parte della propaganda che da più parti viene trasmessa ininterrottamente. Dalla prima offensiva mediatica dell’ISIS nel 2014 ad oggi, infatti, si è scatenato un immenso conflitto mediatico, con milioni di scintille: focolai, roghi, infezioni soffocate dal tempo, sono state riportate alla luce e accese, così è stato alimentato il panico fino a farlo crescere esponenzialmente, in parallelo con un pericolo sempre imminente, ma che mai ha concretizzato le intenzioni dichiarate, quelle di distruggere definitivamente la nostra civiltà. I nostri media, totalmente asserviti alle versioni ufficiali americane del conflitto, si sono risolti in un copia-incolla quotidiano di interpretazioni fantasiose e contraddittorie, che corrispondevano all’ambiguità politica di chi ha realmente provocato la guerra finanziando e addestrando i terroristi. Ma i nostri giornalisti hanno continuato fino ad oggi a ricamare sulla superficie dei fatti, facendo finta di ignorare le vere responsabilità. Per questo ho scritto il mio ultimo libro, ISIS®, il marketing dell’Apocalisse, edito da Baldini & Castoldi e uscito il 13 maggio dell’anno scorso: per informarmi io per primo, indignato com’ero per l’inettitudine della nostra stampa e dei nostri telegiornali, tutti appiattiti sulla cronaca superficiale del “terrorismo” diventando in questo modo loro stessi strumenti del terrorismo. Quello vero, quello americano. Il punto centrale sono le strategie di comunicazione e come “ISIS” e “Occidente” non siano in realtà altro che due prodotti di quello che chiamo “marketing dell’Apocalisse”, due idee che non corrispondono a nessuna realtà perché entrambe prodotto della propaganda. La realtà è molto peggiore dell’ISIS:

 

«La crisi dell’Occidente, è nella sua inarrestabile distruzione sociale, propria e altrui, con la proposizione di un pensiero e di un modello unico. È a questo nostro pensiero unico, che risponde specularmente l’ISIS, proponendo l’immutabilità della cultura islamica.»

 

Viviamo in un’epoca in cui non è più chiaro chi siano i nostri amici e chi i nemici e spesso, davvero repentinamente, gli uni si trasformano negli altri. E questo è un altro sintomo preoccupante ma inequivocabile dell’imminente Apocalisse che minaccia di annientarci.

Ma le soluzioni proposte dalla geopolitica non superano la banalità di slogan che potevano funzionare forse all’epoca della guerra fredda, e che oggi non convincono più. L’ISIS non è l’Islam, e noi non siamo l’Occidente. Entrambi sono due fantasmi, due residui di concezioni anacronistiche in un mondo unito dalla rete. Ultime vestigia di un totalitarismo ideologico che tende alla conservazione, quando «una cultura che si riproduce sempre tale e quale, è un cancro sociologico, una condanna a morte».

Stiamo nascondendo il nostro vero obiettivo dietro a muri di gomma politici e a futili facciate umanitarie. Come “combattere la piaga del terrorismo” quando in realtà l’ISIS non è altro che un’arma degli USA? Peggio, come difenderci dall’obnubilamento delle coscienze quando questa evidenza è ormai cosa risaputa e universalmente accettata? Come può l’umanità sostenere ancora e per quanto tempo questo carico di menzogne celate dietro ad un fantomatico quanto inesistente concetto di “umanitarismo”?

 

«Il governo siriano sa bene che la coalizione anti ISIS di Washington non è che una facciata, e che se il governo statunitense e il Pentagono, ritenessero le condizioni favorevoli, la farsa potrebbe sfociare in un’offensiva contro Damasco».

 

Questi, e molti altri ancora, sono i motivi per cui il volto della guerra è notevolmente mutato, nel corso degli anni, rendendola, se possibile, sempre più subdola ed estremamente pericolosa. A questo punto, in mezzo a tutto questo buio, è inevitabile fare una riflessione: non esiste più la vecchia e cara guerra, aperta, dichiarata, onesta. Con inaudita disinvoltura i cattivi intenti degli Stati, vengono travestiti da buone intenzioni, e si assiste alla guerra come ad un grande spettacolo teatrale. Si diffonde l’assuefazione alla cultura del falso, nascosto nel vero, moltiplicando questa gigantesca menzogna in modo esponenziale. Oggi si usano servizi segreti, anziché eserciti, si trova il modo per far combattere qualcun’altro al proprio posto, per non sporcarsi le mani di inutile sangue, fornendo motivazioni più che valide ed accettabili, perché vengano compiute azioni terroristiche. Stiamo assistendo ad una guerra diversa da qualunque altra precedente, e a ricordarcelo è anche l’uso generalizzato e ormai scoperto dell’intelligence, che si espande, ritagliandosi il ruolo più importante. Si parla ormai di conflitti psicologici, preventivi, umanitari, culturali, come se fossero la cosa più naturale del mondo. Siamo arrivati ad accettare la prospettiva delle proxy war, ovvero le guerre per procura, indispensabili quando, per motivi geopolitici, si vuole nascondere il vero motivo del conflitto.

In questa infinita “guerra in maschera”, travestita con finti buonismi, la cosa che sappiamo fare meglio è di certo ingannare. Il più debole, l’alleato, il pubblico del nostro spettacolo teatrale magistralmente studiato, chi ci sostiene, e anche noi stessi: la morte più atroce viene messa in scena come “terribile incidente”.

Il risultato di questo gioco illusionistico è paradossale: mentre si vuol far credere che nel mondo ci siano sempre meno conflitti e che la pace e i diritti umani sono ben salvaguardati, sono in corso più guerre che mai. L’Apocalisse ha il volto di un gigantesco gioco di ruolo, gestito a tavolino in un luogo segreto, lontano, molto lontano dal teatro della guerra. Tale gioco è diventato sempre più complesso, negli anni, in quanto le strategie cultuali si sono mutate in vere e proprie armi, virtuali ed invisibili, ma di distruzione di massa. Siamo qui, inermi, pronti ad aspettare lo scacco matto, il momento in cui questo calderone colmo di menzogne, vomiterà le sue falsità, soffocandoci nella sua lava bollente.

 

«Nell’idea di fingere soltanto di accettare una condivisione con i propri interlocutori politici, c’è tutta l’ipocrisia di chi invece non ha intenzione di arrivare ad alcun compromesso, ma vuole solamente ottenere la supremazia totale, la sconfitta e l’annientamento di tutto ciò che è diverso».

 

Questo è il vero volto della politica americana. Come possiamo pretendere di combattere il terrore del diverso, quando i nostri governi sono i primi ad alimentarla? Le guerre al terrorismo hanno tutte una caratteristica comune, che le rende perfette: sembrano fatte apposta per impedire soluzioni diplomatiche e, di conseguenza, sono destinate a durare all’infinito. Per rompere questo incantesimo dobbiamo al più presto prendere coscienza di un fatto: questo scontro, che minaccia di distruggere il mondo intero, l’abbiamo creato noi. Ma una cosa abbiamo sottovalutato, e cioè che «tutto quel che seminiamo, prima o poi dobbiamo raccoglierlo». È la frase pronunciata dalla stessa Hillary Clinton quando pochi anni fa il 24 aprile 2009 in un’apparizione all’House Appropriations Committee, rivelando che fu proprio l’amministrazione americana a creare al-Qaida, nel maldestro tentativo di giocare quell’ultima partita, e fare quello scacco matto contro l’umanità, per assicurarsi l’egemonia assoluta, dopo aver fatto crollare l’unione sovietica. È stato un esperimento, o meglio un investimento da parte degli americani, quello di importare il wahabismo dall’Arabia saudita all’Afghanistan. Una tecnica nuova, che va ben oltre la semplice ingerenza politica; s’impianta un elemento culturale estraneo ad una cultura, favorendo la sua trasformazione. Una coltivazione vera e propria del radicalismo islamico, è quello che possiamo definire un organismo geneticamente modificato, il wahabismo, seminato in un luogo diverso dalla sua terra natia. Culture trattate come colture. Abbiamo seminato esseri umani, addestrandoli alle armi. E l’ISIS, nato da una costola di al-Qaida, è questo ma è ulteriormente perfezionato, è invasivo, fa terra bruciata, e si comporta esattamente come un OGM di nuova generazione. Perché quello che forse non sappiamo, o non vogliamo vedere, è che l’esperimento di laboratorio ci è sfuggito di mano, ed è ora in grado di produrre automi culturali che, una volta innescati, vanno avanti da soli, e sono capaci di devastare intere culture.

Ecco che siamo giunti ad un’inevitabile conclusione, che si nasconde dietro alla domanda fatale: come difenderci da tutto questo male? Semplicemente dobbiamo difendere le diversità, e tutelarle, come valore aggiunto. Perché è nella tentazione del pensiero unico che prospera l’’ISIS, così come nel pensiero unico filo americano si cela il veleno mortale che può condurre l’Occidente alla fine. Se non si fermerà questa corsa verso la distruzione, e non si sostituiranno i vecchi modelli, se non sapremo ribellarci a chi ha tutto l’interesse di continuare questa guerra infinita, quella del marketing, allora sarà davvero l’Apocalisse. Quella vera.

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