Ogni 25 aprile, nel giorno dell’anniversario della liberazione d’Italia dall’occupazione nazifascista, ci vengono incontro le figure dei partigiani e delle partigiane che ci ricordano la lunga battaglia per la libertà e la democrazia. Tra queste, oggi ricordiamo Irma Bandiera, “prima fra le donne bolognesi ad impugnare le armi per la lotta nel nome della libertà”.
Irma Bandiera nasce a Bologna nel 1915 in una famiglia benestante che inizierà a manifestare sentimenti antifascisti durante la dittatura. Irma comincia a impegnarsi per aiutare i soldati nella Resistenza a seguito dell’armistizio dell’8 settembre del ’43. Entra nella brigata GAP Gianni Garibaldi di Bologna. I GAP (Gruppi di Azione Patriottica) erano gruppi di partigiani e partigiane: normali cittadini, con vita regolare, che venivano addestrati a compiere atti di guerriglia urbana. Questi atti comprendevano attentati a ufficiali tedeschi, ai fascisti, alle loro sedi e reti di comunicazione. I GAP erano i rappresentanti della Resistenza più temuti dai nazifascisti.
Irma Bandiera, il ruolo della donna e della staffetta partigiana
Irma Bandiera fu staffetta partigiana con il nome di “Mimma”. Le staffette partigiane sono state figure spesso sottovalutate nel corso del tempo. Senza di loro, però, la lotta partigiana non avrebbe potuto realizzarsi. Andavano in bicicletta o a piedi con il compito di diffondere informazioni tra i partigiani, ma anche di distribuire viveri, medicine e armi. Riflettere sul ruolo delle staffette partigiane – più spesso svolto da donne e bambini – significa anche ripensare una narrazione che a lungo ha attribuito alle staffette un’importanza subalterna rispetto ad altri compiti svolti dai compagni maschi. Le donne della Resistenza non furono solo staffette, infermiere, medici, organizzatrici degli scioperi nelle fabbriche, sarte che cucivano abiti dei partigiani, madri o mogli che si occupavano della gestione delle famiglie. Nella Resistenza le donne entrano nella storia. Nel momento in cui il fascismo ha distrutto tutto, in cui la vita di tutti è in pericolo, le donne escono dalle loro case e prendono il loro posto nella lotta perché combattere era necessario.
Sono state 35’000 le partigiane combattenti in Italia. Le donne della Resistenza subirono infami torture e vennero colpite anche simbolicamente nella loro femminilità: con tenaglie sul seno, con tagli al ventre nel caso di donne incinte o, in generale, con sevizie. Proprio come è successo a Mimma, che la sera del 7 agosto 1944 venne arrestata e poi torturata dai fascisti della Compagnia Autonoma Speciale per sette giorni e sette notti. Mimma non parlerà dei suoi compagni di lotta, non rivelerà i loro nomi, tacerà tutto pagando con la vita il suo coraggio. La accecheranno e uccideranno il 14 agosto quando verrà fucilata vicino la casa dei suoi genitori.
Vivere nel “no” di Mimma
Alla fine della guerra Mimma sarà decorata della Medaglia d’Oro al Valor Militare.
Così recita la motivazione della Medaglia:
Prima fra le donne bolognesi a impugnare le armi per la lotta nel nome della libertà si batté sempre con leonino coraggio. Catturata in combattimento dalle SS tedesche, sottoposta a feroci torture, non disse una parola che potesse compromettere i compagni. Dopo essere stata accecata fu barbaramente trucidata e il corpo lasciato sulla pubblica via. Eroina purissima degna delle virtù delle italiche donne, fu faro luminoso di tutti i patrioti bolognesi nella guerra di liberazione.
Mimma “non disse una parola”. Mimma è vissuta in quei giorni di torture nel “no”, nella Resistenza che si oppone fermamente con il rifiuto a ogni tentativo, anche istituzionale, di rivalutazione del fascismo. A lei e ad altre 127 partigiane martiri della provincia bolognese è stato dedicato nel 1975 un monumento nel Parco di Villa Spada. Mentre nel luogo della sua uccisione è esposta una lapide in sua memoria, dal 2017 sulla facciata delle Scuole Elementari Luigi Bombicci in via Turati un murales ritrae il suo sorriso. Il ricordo di Mimma è impresso nella memoria collettiva della cittadinanza bolognese; intimamente legata non alle immagini del suo corpo straziato e fotografato nascostamente dai partigiani presso l’obitorio in via Irnerio, ma a una serie di fotografie che la ritraggono sorridente. Così vogliamo ricordarla oggi: con la bocca aperta solo al suo sorriso per aver combattuto anche per la nostra libertà.