L’Irlanda del Nord, dall’indipendenza mancata allo Schema Windsor

 L’Irlanda del Nord è uno degli ultimissimi residui di quello che fu l’Impero Inglese. Un territorio nel quale i britannici non solo non sono maggioritari, ma sono praticamente assenti. Una terra attraversata da tensioni secolari e che, prevedono molti analisti, in pochi anni potrebbe esplodere. Un accordo tra Londra e Bruxelles cerca oggi di raffreddare le tensioni.

Irlanda del Nord, terra di tensione

Dalla seconda metà dell’ottocento inizia a svilupparsi in Irlanda, allora interamente sotto dominio inglese, un sentimento anti britannico e indipendentista. Sentimento plasmato attorno alla principale caratteristica di distinzione da Londra, il Cattolicesimo, e avente la città di Dublino come baricentro. Nel 1921 l’Irlanda è indipendente e repubblicana, ma le sei contee settentrionali dell’Ulster restano inglesi. Durante la guerra fredda il tema dell’Irlanda del Nord deflagra, in particolare a partire dal 1968. Agli inizi degli anni 70, infatti, i cattolici (indipendentisti e repubblicani) rappresentano il 35% della popolazione, una minoranza troppo grande e troppo vicina all’oggetto del proprio desiderio, l’unione con il resto dell’isola, per non trovare la volontà di agire.

irlanda del nord
Scene di repressione nella cittadina nord irlandese di Derry

Nel 1968 iniziano quelli che gli inglesi chiamano i troubles, i guai. Sono 30 anni di guerra civile a varia intensità, al termine dei quali si conteranno quasi 8000 morti, un decimo dei quali soldati britannici. Si è trattata, di fatto, della più lunga guerra mai combattuta dal Regno Unito. Nel 1998 inizia il negoziato tra le parti, che conduce all’Accordo del Venerdì Santo. Si stabilisce la possibilità di governare in pace l’Irlanda del nord e l’abolizione di confini fisici tra l’Ulster e la vicina Repubblica. Tra le clausole, si stabilisce anche che se in futuro la popolazione cattolica dovesse diventare maggioritaria, potrà essere indetto un referendum per votare l’indipendenza da Londra.

L’Irlanda del Nord nel dopo Brexit

La situazione si pacifica, almeno fino al 2016, anno della Brexit, votata principalmente dalla Bretagna, mentre in Irlanda del Nord (e, dettaglio non da poco, in Scozia) la maggioranza della popolazione vota per restare nell’Unione Europea. Uno dei motivi che avevano permesso all’Accordo del Venerdì Santo di reggere per più di 20 anni, era l’assenza di frontiere tra Dublino e Belfast (capitale dell’Irlanda del Nord) garantita dal mercato unico. La Brexit ha interrotto questa condizione. A partire dal 2016 Londra ha quindi negoziato con Bruxelles il Protocollo Nord Irlandese, che permetteva all’Irlanda del Nord di restare dentro al mercato comune europeo (senza frontiere), mentre il Regno Unito ne sarebbe uscito.

Fonte: STATISTA

Nel 2020 il Protocollo Nord Irlandese entra in vigore e viene istituita una frontiera marittima tra Regno Unito e Ulster, di fatto ponendo una dogana tra Londra ed uno dei suoi territori. Le sei contee dell’Ulster, quindi, vivono in un regime fiscale diverso da quello del resto del paese, restano anche dopo la Brexit all’interno del mercato unico e spediscono e ricevono merci verso Irlanda e continente europeo senza alcuna barriera tariffaria. Le merci da e per il Regno Unito, al contrario, devono essere ispezionate alla frontiera marittima affacciata sul mare d’Irlanda. L’Irlanda del Nord, insomma, è tenuta a seguire la legislazione, in materia economica, voluta a Bruxelles, dove non ha alcuna rappresentanza. E Londra deve adeguarsi di conseguenza.

L’insofferenza per il Protocollo Nord Irlandese

Raramente nella Storia si è visto un accordo più svantaggioso per un Paese che non fosse stato sconfitto in guerra, di quanto non lo sia stato il Protocollo Nord Irlandese per Londra. Quando nel 2016 venne proposto, pare che l’allora primo ministro Boris Johnson avesse commentato «nessun inglese sano di mente accetterebbe mai questo compromesso […] io l’accetterei soltanto se fossi morto». La stessa linea viene fatta propria dal successore di Johnson, la premier Theresa May. Tuttavia, il post Brexit si è dimostrato come uno dei momenti di maggiore incertezza politica nella storia recente inglese. La disparità dei rapporti di forza nella stesura degli accordi con Bruxelles ha, alla fine, costretto Downing Street a cedere. L’alternativa sarebbe stata l’uscita dall’Unione senza accordi, un’idea sufficiente a togliere il sonno dalle parti della capitale inglese.

Tra i vari difetti dell’accordo, agli occhi inglesi, il più importante è proprio quel confine marittimo che rende Belfast più vicina a Dublino e a Bruxelles, piuttosto che a Londra. Oltre a Downing Street, tale questione indispone anche gli Unionisti (nord Irlandesi leali a Regno Unito), che al referendum avevano ampiamente appoggiato le ragioni del leave, proprio nell’ottica di allontanarsi ancora di più da Dublino. I cattolici repubblicani, al contrario, sono entusiasti di questa situazione, percepita come un’occasione d’oro per promuovere l’indipendenza. Tanto più che oggi sono quasi il 42% della popolazione nord irlandese, la stessa percentuale dei protestanti. A breve potrebbe essere legalmente promuovibile un referendum secondo la clausola dell’Accordo del Venerdì Santo.

Le tensioni tra le due fazioni, quindi, aumentano. Con la recessione causata dalla pandemia a fare da sfondo, la mattina del 30 marzo 2021 i giornali d’oltremanica titolano le prime pagine con una parola che per decenni ha terrorizzato i primi ministri di Sua Maestà: troubles. A Derry ed a Belfast, proprio come 30 anni prima, scoppiano tumulti, che continuano ininterrotti fino al 9 di aprile. Alla fine saranno decine gli arrestati e un centinaio gli agenti feriti. Non solo, nel 2022 il Sinn Fein, il partito indipendentista nord irlandese, vince le elezioni. Gli scontri si sono, per adesso, interrotti, ma a Londra si capisce che l’Ulster sta tornando ad essere una polveriera. A Downing Street continua a crescere la volontà di un rimaneggiamento del Protocollo, ma la debolezza e l’instabilità delle leadership seguite al 2020 hanno costantemente rimandato il processo. Fino al 2023.

Lo Schema Windsor

Oggi il Regno Unito vive una recessione, unico Paese G7, ma l’attuale Primo Ministro, il conservatore Rishi Sunak, è riuscito a riportare Bruxelles al tavolo delle trattative. Dopo mesi di discussione, il 27 febbraio 2023 viene infine comunicata la sottoscrizione di un nuovo accordo, lo Schema Windsor. I due campi del precedente accordo su cui Londra ha maggiormente insistito per una revisione sono quello della sovranità e quello commerciale. Con lo Schema Windsor, l’Irlanda del Nord resta nel mercato unico europeo. Questo permette l’assenza di barriere fisiche con il resto dell’isola d’Irlanda, cosa che andrebbe contro agli Accordi del Venerdì Santo e rischierebbe di acuire le tensioni.



Viene tuttavia in parte abolita la frontiera marittima con il Regno Unito, sostituita da un sistema di corridoi rossi e verdi. I primi saranno quelli percorsi dalle merci che dalle coste britanniche vengono spedite in Irlanda del Nord per poi raggiungere il mercato unico. Queste merci continueranno ad essere ispezionate e a seguire l’iter commerciale previsto per qualsiasi Paese non UE. Lungo il corridoio verde, invece, saranno imbarcate le merci dirette nell’Ulster per restare. Questa soluzione riguarda in particolare beni di consumo e medicinali, per permettere di rinfoltire supermercati e farmacie nord irlandesi, in questi anni molto sofferenti per la difficoltà di ricevere beni dall’Inghilterra.

L’Ulster, poi, continuerà ad essere soggetto alla legislazione economica del mercato unico europeo. A differenza di quanto previsto negli accordi del 2020, tuttavia, avrà ora diritto di veto sulle proposte di Bruxelles. Una soluzione, questa, che, se a prima vista sembra un equilibrato compromesso, lascia in realtà molti e trasversali malumori in casa inglese. In caso di dispute, infatti, la parola definitiva sarà comunque della Corte di Giustizia Europea. Di fatto tenendo l’autorevolezza decisionale in materia sulla sponda del continente. E concedendo poco alla sovranità londinese.

I dubbi

Come i precedenti accordi, anche lo Schema Windsor è stato accolto, fuori dall’ufficio del primo ministro, con freddezza. I dubbi maggiori arrivano dal partito unionista nord irlandese, che sperava in una soluzione che, questa volta, allontanasse davvero Belfast da Dublino. Ma critiche arrivano anche dallo stesso partito di Sunak. I conservatori, soprattutto l’ala più antieuropeista, considerano lo Schema un ulteriore umiliazione da parte di Bruxelles. Il pensiero ricorrente è che, nonostante la Brexit, l’Unione Europea continua ad avere voce in capitolo sulle questioni economiche dell’Irlanda del Nord. Seppure in maniera più mitigata rispetto ai tempi del Protocollo Nord Irlandese.

Il parlamento inglese dovrà ora passare al vaglio il testo del documento e nei prossimi giorni votarne l’entrata in vigore. Parlando alla Camera dei Comuni, il Primo Ministro ha sottolineato in particolare come l’obbiettivo principale dello Schema era quello di tutelare il posto dell’Irlanda del Nord nel Regno Unito. Obbiettivo che ritiene di avere raggiunto, sebbene i dubbi siano molti. Soprattutto si fa strada l’idea dello Schema Windsor come manifestazione di un’eccessiva disponibilità nei confronti della componente più indipendentista della regione. Disponibilità giustificata dalla debolezza di Londra (al momento completamente impreparata ad incassare un’ulteriore crisi) e dalla speranza di spegnere così gli ardori più radicali. Rimandando, forse, ulteriori revisioni a tempi futuri.

In conclusione, per il Primo Ministro Sunak, dopo la sottoscrizione dello Schema, la difficoltà maggiore sarà quella di riuscire ad ottenere l’approvazione di un’opinione pubblica per una parte della quale la parola impero mantiene ancora un valore profondo. Un’opinione pubblica, insomma, restia a riconoscere il decadimento della propria immagine di potenza globale e che trova nella sovranità su un lembo di terra nell’isola di Irlanda motivo d’orgoglio e necessità identitaria. Nel frattempo, nell’Ulster, i cattolici aumentano, e, con loro, l’insofferenza per Londra.

 

Riccardo Longhi

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