La pena di morte continua a essere un elemento centrale nella strategia delle autorità iraniane per mantenere il controllo sociale e reprimere il dissenso. Secondo l’ultimo rapporto, pubblicato congiuntamente da Iran Human Rights e l’Ensemble contre la peine de mort (ECPM), il numero di esecuzioni nel Paese ha visto un notevole incremento nel 2023, confermando il ruolo predominante nella triste classifica delle Nazioni che ancora ricorrono a questa pratica.
L’Iran si conferma come uno dei principali esecutori di condanne a morte nel mondo, mantenendo una posizione costante e allarmante nella classifica internazionale. Dai recenti rapporti di Amnesty International e di ECPM, emerge un quadro inquietante riguardante l’aumento delle esecuzioni, con un impatto particolarmente significativo sulle minoranze etniche come i curdi e i beluci.
Secondo l’Organizzazione dei Diritti Umani, tra il 18 e il 28 luglio 2024, ben 27 persone sono state giustiziate, di cui quattro donne. La maggioranza di queste vittime apparteneva alla minoranza curda, una tendenza che continua a riflettere un quadro di discriminazione sistematica.
Dal primo gennaio al 28 luglio 2024, almeno 293 persone sono state uccise nelle carceri iraniane, con una predominanza di curdi tra le vittime. Questo dato sottolinea la brutalità con cui le autorità iraniane reprimono le minoranze etniche, utilizzando la condanna a morte come strumento di controllo e intimidazione.
Il rapporto di Amnesty International pubblicato a maggio 2024 ha evidenziato un aumento significativo delle esecuzioni a livello globale nel 2023, con un incremento del 30% rispetto al 2022. Particolarmente preoccupante è la situazione in Medio Oriente, con l’Iran e l’Arabia Saudita che registrano i numeri più alti. Nel 2023, sono state registrate circa 1.153 esecuzioni nel mondo, escludendo la Cina, dove si stima che le esecuzioni siano migliaia.
Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International, ha dichiarato che con il 74% delle esecuzioni globali, “le autorità iraniane mostrano un assoluto disprezzo per la vita umana“. Questa affermazione riflette l’atteggiamento repressivo del regime iraniano, che utilizza la pena capitale come strumento di terrore. Alla prossima Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Amnesty International sollecita tutti i governi a unirsi alla richiesta delle Nazioni Unite di porre fine all’uso della pena di morte, dimostrando così un forte impegno verso i diritti umani.
Un altro aspetto inquietante del rapporto di Amnesty International è l’aumento delle esecuzioni per reati legati alle droghe nel Paese. Questo trend evidenzia un sistema giudiziario profondamente discriminatorio nei confronti delle comunità più marginalizzate e impoverite del paese. Nel 2023, in Iran sono state documentate 853 esecuzioni, rispetto alle 576 del 2022, segnalando un incremento preoccupante.
Minoranze sotto attacco
Le minoranze etniche, in particolare i beluci e i curdi, subiscono un trattamento particolarmente duro. I beluci, che costituiscono il 5% della popolazione iraniana, rappresentano il 20% delle esecuzioni, includendo almeno 24 donne e cinque persone che erano minorenni al momento del presunto crimine. Questa disparità indica una persecuzione mirata contro le minoranze, che vengono spesso accusate e condannate con prove scarse o fabbricate.
La situazione delle minoranze etniche iraniane è particolarmente critica. I curdi e i beluci, in particolare, sono spesso bersaglio di discriminazione e repressione. Le esecuzioni mirate contro queste comunità riflettono un atteggiamento discriminatorio che mira a indebolire e controllare i gruppi etnici considerati potenzialmente ribelli. L’impiego della pena capitale nel Paese sembra avere una funzione strategica nel mantenere il controllo sulla popolazione, in particolare sulle minoranze etniche.
Il rapporto annuale di Diritti Umani in Iran e ECPM fornisce cifre leggermente diverse rispetto a quelle di Amnesty International, con 834 esecuzioni documentate nel 2023. Questo dato rappresenta un aumento del 43% rispetto alle 582 esecuzioni del 2022. Le discrepanze nei numeri tra i vari rapporti possono essere attribuite alla mancanza di trasparenza delle autorità iraniane, che spesso non dichiarano pubblicamente la maggior parte delle esecuzioni. Si stima che l’85% delle esecuzioni in Iran non venga mai annunciato ufficialmente.
Esecuzioni per reati politici e sociali
Sebbene la maggioranza delle condanne a morte in Iran riguardino reati comuni come spaccio di droga e omicidi, almeno una cinquantina di esecuzioni nel 2023 sono state legate alle manifestazioni di protesta contro il regime. Inoltre, due persone sono state giustiziate per blasfemia e una per adulterio. Questo uso dell’esecuzione capitale per reprimere il dissenso politico e sociale evidenzia la natura autoritaria del governo iraniano, che non tollera alcuna forma di opposizione.
Un fattore cruciale nella perpetuazione della pena di morte è il ruolo dei Tribunali Rivoluzionari. Nel 2023, oltre 512 condanne a morte sono state emesse da questi tribunali, che dal 2010 hanno emesso un totale di 4.541 sentenze capitali. I Tribunali Rivoluzionari, noti per i loro processi sommari e per la mancanza di diritti fondamentali per gli imputati, giocano un ruolo centrale nella repressione del dissenso e nel mantenimento del controllo da parte del regime.
Il quadro delineato dai rapporti di Amnesty International e di ECPM è estremamente preoccupante.
L’Iran continua a essere uno dei principali esecutori di condanne a morte nel mondo, con un trend in crescita che colpisce in modo particolare le minoranze etniche. Nonostante le condanne internazionali e le pressioni delle organizzazioni per i diritti umani, le autorità iraniane sembrano determinare a mantenere la pena di morte come strumento di controllo e repressione.
Le difficoltà nel ottenere dati precisi sulle esecuzioni, dovute alla mancanza di trasparenza del governo iraniano, rendono ancora più difficile una valutazione accurata della situazione. Tuttavia, le stime disponibili indicano chiaramente una situazione grave e in peggioramento.
La comunità internazionale deve continuare a fare pressione sul governo iraniano affinché ponga fine all’uso della condanna di morte e rispetti i diritti umani fondamentali. Solo attraverso un impegno costante e coordinato sarà possibile sperare in un cambiamento significativo che possa portare alla fine di questa pratica inumana e alla tutela dei diritti delle minoranze etniche nel Paese.
La discriminazione e l’arbitrarietà insite nell’uso della pena di morte non fanno altro che rafforzare le violazioni dei diritti umani del sistema di giustizia penale. La piccola minoranza di Stati che ancora si ostina a usare la pena di morte deve mettersi al passo coi tempi e abolirla una volta per tutte. È essenziale che la comunità internazionale rimanga vigile e continui a lottare per la fine delle esecuzioni capitali e per la protezione dei diritti delle minoranze nel territorio iraniano.