Iran: l’incubo della bomba atomica ritorna nel mondo

bomba atomica, Iran sta aumentando le sue scorte di uranio

Le dichiarazioni del portavoce della commissione di sicurezza nazionale dell’Iran Abolfazl Amouei, secondo il quale il paese è pronto a utilizzare “un’arma mai usata prima”, riportano nel mondo la paura per l’uso di una bomba atomica.

Il programma atomico iraniano

Nel maggio 2023 il think tank statunitense istitute for science and international security ha innalzato il livello di minaccia per quanto riguarda il programma nucleare iraniano al livello “pericolo estremo“.
Secondo l’istituto, l’Iran, sarebbe in grado di armare un’arma nucleare in una settimana, utilizzando solo una frazione dell’uranio arricchito al 60%, quantità di arricchimento sufficiente a creare una bomba sporca, cioè un ordigno con potenza ridotta ma in grado di rendere radioattiva, potenzialmente, una vasta area.

Complici dell’incremento del livello di minaccia sono i recenti conflitti scoppiati nel mondo, che hanno distolto l’attenzione dalla teocrazia islamica. Inoltre, in questo momento, le capacità da parte dell’America e di Israele di neutralizzare il programma atomico iraniano sono ridotte ai minimi storici.

Secondo un’analisi del Washington Post, l’Iran sarebbe in grado di creare un ordigno rudimentale in sei mesi. Le tempistiche aumentano se si considera una testata nucleare trasportabile da un vettore. In questo caso le tempistiche aumentano a due anni.

Il trattato JCPOA e il suo fallimento

Il 14 luglio 2015 Cina, Russia, Regno Unito, Francia, Germania, Stati Uniti e Iran, firmano il trattato JCPOA (Joint Comprehensive Plan Of Action), conosciuto ai più come “5+1“.
Il trattato punta a limitare il piano nucleare iraniano solo a scopi pacifici.
Questo trattamento è un diretto discendente del trattato JPOA, siglato a Ginevra due anni prima, con l’obiettivo di congelare parte del programma nucleare in cambio di un allentamento delle sanzioni.

Il 16 gennaio 2016, il “5+1” entra ufficialmente in vigore. Questa data viene ricordata come implementation day.

Nel 2018 fu, però, assestato un duro colpo al trattato. Infatti, l’America, durante l’amministrazione Trump, si ritirò dal JCPOA.
Secondo Washington, l’accordo era incompleto a causa della sua prospettiva temporanea e a causa della completa assenza di un sistema di controllo sui missili balistici iraniani.

Il ritiro dell’America ha permesso la reintroduzione delle sanzioni.
La risposta iraniana fu abbastanza scontata. In un discorso televisivo, l’allora presidente della Repubblica islamica Hassan Rouhani, affermò che se Cina, Russia, Francia, Germania e Regno Unito non si fossero impegnate a proteggere il settore petrolifero e bancario dalle sanzioni americane, allora l’Iran avrebbe abbandonato definitivamente l’accordo.

A settembre del 2019, le massime autorità iraniane comunicarono che il paese avrebbe abbandonato ogni limite alla ricerca e allo sviluppo in campo nucleare.

Successivamente, l’Iran ha comunicato di aver abbandonato il limite di 3,67% per l’arricchimento dell’uranio. Inoltre, ha annunciato di voler completare il reattore ad acqua pesante di Arak.
Questo reattore è considerato il più adatto per l’estrazione di plutonio arricchito, utile per la costruzione di una bomba atomica.

A settembre 2020, l’Iran ha messo in funzione 60 centrifughe IR-6 nel sito di Natanz, in grado di produrre uranio arricchito a una velocità dieci volte superiore al modello IR-1 di prima generazione.

L’agenzia internazionale energia atomica (AIEA), a dicembre dello stesso anno, ha pubblicato un rapporto in cui dimostra che l’Iran fosse in procinto di installare nuove centrifughe nel sito di Natanz. Inoltre, quest’ultimo sembrerebbe essere stato costruito per resistere ai bombardamenti.

Con l’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca, le speranze di un ritorno al trattato del 2015 si sono riaccese.
Nel 2021, i negoziati sono ripresi, per poi naufragare a causa delle posizioni assunte da Teheran negli scontri aperti sia in Medio Oriente sia in Ucraina.

La risposta israeliana 

Sul fronte israeliano, il Primo Ministro Netanyahu è largamente criticato dall’opposizione che vorrebbe, dopo l‘attacco missilistico partito dall’Iran nella notte tra il 13 e il 14 aprile, un attacco volto a distruggere definitivamente le ambizioni nucleari iraniane.

Un attacco diretto all’Iran, porterebbe a una escalation inarrestabile nel cuore del Medio Oriente, con un rischio elevato di fughe radioattive.

Mauro Scaringia

Exit mobile version