Iran: il crimine della danza per l’emancipazione

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Iran: il crimine della danza

In Iran cinque ragazze sono state trattenute per 48 ore dalla polizia e successivamente costrette a pentirsi a causa di un video pubblicato lo scorso 8 marzo, Giornata internazionale della donna, in cui ballavano in strada nel sobborgo urbano di Ektaban. Il crimine della danza in pubblico era inoltre peggiorato da un ulteriore affronto alle leggi: la mancanza del velo obbligatorio

Il crimine della danza legato all’arresto delle cinque ragazze in Iran che sono state arrestate, trattenute per 48 ore e costrette a pentirsi attraverso un video in cui a volto coperto affermano: “Siamo colpevoli per aver ballato“. La ragione? Aver pubblicato un video in cui inscenavano una coreografia nelle strade di Ektaban, colpevoli di non aver indossato l’hijab obbligatorio e ancor più grave, di essersi azzardate a ballare in pubblico. Il video, il quale ha iniziato a circolare in rete durante la Giornata internazionale della donna lo scorso 8 marzo, è divenuto subito virale sia tra i sostenitori del regime, ma soprattutto tra gli oppositori, i quali, andando oltre la semplice coreografia, hanno saputo cogliere il valore simbolico di questo gesto: speranza e ribellione.

Il crimine della danza: un file rouge in Iran

Le ragazze di Ektaban non sono le prime ad essere state arrestate per aver commesso “il crimine della danza“. Non molto tempo fa, infatti, una coppia è stata arrestata sempre per la stessa motivazione. Ballo, in pubblico, più precisamente nella piazza centrale di Teheran e la donna della coppia, inoltre, sempre colpevole di non indossare il velo. Astiyazh Haghighi ed Amir Mohammad Ahmadi, questi i nomi dei due ragazzi poco più che ventenni, condannati ad oltre dieci anni di prigionia dopo aver pubblicato un video in cui ballano davanti alla Torre Azadi della capitale iraniana. Anche in questo caso la danza della coppia era rivestita di un significato più profondo, in quanto il gesto era diretto a sostenere le numerose proteste scoppiate dopo la morte di Mahsa Amini, la ventiduenne curda morta lo scorso settembre dopo essere stata arrestata per non aver indossato correttamente l’hijab. La coppia, infatti, è finita dinanzi al tribunale di Teheran con l’accusa di turbare la sicurezza nazionale e di supportare e diffondere la propaganda contro la Repubblica islamica.

Mahsa Amini: la miccia delle proteste in Iran

Come abbiamo visto, il ballo nella piazza centrale della capitale dell’Iran dei due ragazzi condannati a 10 anni di prigionia, era un ballo a sostegno delle numerose proteste e manifestazioni scoppiate nel paese a settembre dopo la morte della giovane ragazza curda Mahsa Amini. La sua morte è stata la miccia che ha permesso alle donne iraniane di concretizzare la propria rabbia latente, frutto di una lunga tradizione di oppressione e di sfidare con profonda consapevolezza il violento regime teocratico. In particolare, l’episodio di Mahsa Amini ha avuto questo risultato in quanto esemplifica in maniera diretta le assurdità attuate dal regime. La ventiduenne in vacanza a Teheran, infatti, fu fermata in un parco dalla polizia morale per avere una ciocca di capelli fuori dal velo e, successivamente all’arresto, è morta in stato di detenzione dopo aver vissuto tre giorni di torture. La diffusione di questa notizia lo scorso settembre è stata quasi come una scossa sismica per dare vita alla ribellione nei confronti del regime. Da settembre, infatti, in Iran si è propagata una forte ondata di proteste all’insegna dell’emancipazione femminile, proteste piene di azioni simboliche che auspicano ad una conquista della libertà. Numerose sono infatti le donne che hanno deciso di non indossare più il velo in segno di protesta o le immagini che le ritraggono tagliarsi i capelli come forma di sostegno nei confronti di Mahsa Amini. Mai come in questo ultimo periodo le donne iraniane erano riuscite a far sentire la propria voce e la loro necessità di riscatto, non solo in Iran ma in tutto il mondo.

La reazione del regime

Com’è facile dedurre, successivamente allo scoppio delle rivolte il regime iraniano ha attuato una forte e violenta repressione verso i manifestanti per cercare di arginare la portata delle proteste e la loro influenza sulla popolazione. Tra i metodi utilizzati diretti a fermare le proteste compare addirittura la condanna a morte. Osservando i numeri, infatti, vediamo come la repressione del movimento di protesta ha causato 520 morti e 18mila arresti con condanne detentive di durata spropositata. Durante il periodo delle proteste, inoltre, vi sono stati una serie di episodi che sembrano essere proprio collegati ad una possibile reazione del regime e alle sue modalità di repressione. A partire dallo scoppio delle manifestazioni in Iran vi sono stati numerosi episodi di avvelenamento di studentesse nelle scuole iraniane. In particolare, da fine novembre, molte studentesse hanno iniziato a soffrire di nausea, svenimenti e senso di soffocamento a causa di alcuni odori sgradevoli come odore di bruciato o vernice. Questi inspiegabili casi di intossicazione rivolti alla comunità di studentesse donne sembrerebbe essere l’ennesimo tentativo di repressione attuato dal regime terroristico, come vendetta a causa della loro numerosa ed attiva partecipazione alle proteste in sostegno di Mahsa Amini

Aria di cambiamento o disillusione?

Nonostante questa sia solo una delle ipotesi formulate per cercare di comprendere il misterioso fenomeno, la cosa certa è che ci si trova dinanzi l’ennesimo attacco contro le donne. Il fatto, inoltre, che queste dinamiche abbiano avuto luogo nelle scuole simbolizza proprio il voler privare la donna della possibilità di emancipazione data dall’istruzione, con l’obiettivo di continuare a spaventarla per privarla completamente della sua vita all’interno della sfera pubblica. Anche se la forte ondata di proteste ha tutta l’apparenza di essere un buon auspicio per il futuro e per il miglioramento della condizione della donna, il contrattacco costante e violento caratteristico del regime teocratico allontana drasticamente l’idea dell’emancipazione femminile e della rivendicazione delle libertà individuali. Si può quindi, alla luce di tutto questo, affermare che qualcosa stia cambiando? A livello strutturale è evidente sia impossibile affermarlo, una cosa certa però è l’aumento del livello di consapevolezza della popolazione riguardo queste tematiche e soprattutto il desiderio di cambiamento per porre fine alle disuguaglianze e alla sofferenza. Questo, nonostante tutto, non può che essere positivo e rappresentare uno spiraglio di luce per un futuro migliore.

Simone Acquaviva

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