Isolare e impoverire l’Iran sembra esser divenuto uno dei principali obiettivi strategici dell’amministrazione Trump. La sfida si gioca sul piano economico, di conseguenza sul piano politico, coinvolgendo i principali paesi del mondo in una guerra commerciale ed energetica dalle profonde conseguenze.
La sfida all’Iran si è resa manifesta esattamente un anno fa, l’8 maggio 2018, quando il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato il ritiro dal Piano d’azione congiunto sul nucleare (Jcpoa), il quale era stato negoziato tra i 5+1 (Usa, Regno Unito, Francia, Russia, Cina + Germania), l’Unione Europea e l’Iran.
Una guerra commerciale dalle profonde conseguenze
Nei giorni scorsi, il presidente Trump si è rivolto nuovamente a quegli otto paesi (tra cui Cina, India, Corea del Sud e Turchia) cui era stato concesso di importare limitate quantità di petrolio iraniano. Minacciando sanzioni finanziarie, Trump ha chiesto l’interruzione completa delle importazioni. La Turchia ha da subito reagito dichiarando la non insolvenza di fronte alla difficoltà a trovare fornitori sostitutivi prima della scadenza stabilita da Washington.
L’obiettivo è esplicito: strangolare l’economia dipendente dal petrolio iraniano e creare la crisi per un cambio di regime. Intanto, l’Iran, nonostante i ripetuti tentativi americani, rimane fermo nelle sue posizioni e il suo ruolo preminente in Medio Oriente non ha vacillato, sebbene il paese attraversi una grave crisi socio-economica. La Repubblica Islamica mantiene saldi rapporti di alleanza, che vanno dall’Asia centrale al Mediterraneo, dall’Oceano indiano al Mar Caspio, nonché una serie di alleati locali, come gli Hezbollah in Libano, la Jihad islamica a Gaza, gli huthi in Yemen, i governi iracheno e siriano. Tradizionale partner nei commerci rimane la Turchia e interessi convergenti, sul piano geopolitico, permangono con la Russia, non soltanto in merito alla Siria.
Le conseguenze delle sanzioni Usa saranno però ben presto tangibili e coinvolgeranno tutti i paesi, compresa l’Italia. Ciò che si paventa è un aumento dei prezzi mondiali di petrolio.
Una partita pericolosa
Le tattiche di pressione del presidente Trump stanno avendo un effetto mondiale. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, le sanzioni economiche reintrodotte da Trump, dopo che il presidente Obama le aveva revocate insieme alla firma dell’accordo nucleare nel 2015, stanno già causando la recessione dell’Iran e hanno provocato un innalzamento del tasso di inflazione a quasi il 40%. Secondo queste stime, l’economia iraniana subirà un calo del 6% entro la fine dell’anno corrente. Quali conseguenze avranno queste sanzioni nel commercio mondiale di petrolio e di energia? La domanda cruciale è questa, insieme ai timori che la guerra commerciale si trasformi in conflitto armato vero e proprio, che si somma ai conflitti per le risorse, per l’energia, la quale sta diventando la questione cardine del secolo, il determinante globale di conflitti e crisi.
Secondo l’Agenzia Internazionale per l’energia atomica, l’Iran sta ancora rispettando gli accordi del 2015 che pone enormi limiti al suo programma nucleare. Tuttavia, la compagna di pressione americana sta penetrando nel regime, che vive una tacita crisi interna, sull’orlo di scoppiare.
L’amministrazione Trump sta giocando una partita pericolosa con l’Iran. Domenica scorsa, il Consigliere per la Sicurezza Usa, John Bolton ha annunciato che un gruppo di attacco di una portaerei e bombardieri dell’Air Force sono stati dispiegati nel Golfo Persico, quale monito nei confronti del governo iraniano.
Frattanto, minacce e sanzioni stanno rafforzando la retorica iraniana. Teheran continua a presentarsi quale attore principe nella difesa dei musulmani tutti – non solo gli sciiti – dalle angherie dei nemici dell’Islam. In questa visione ideologica del mondo, Stati Uniti e Israele restano i mostri del male.
Giulia Galdelli