Dopo più di un mese di proteste a seguito della morte di Masha Amini, in Iran arrivano le prime condanne a morte da parte del regime
Una protesta femminista
“Donne, vita e libertà”: è questo lo slogan di quella che è stata definita una vera e propria rivoluzione femminista, scritto sui cartelloni e gridato per strada dalle migliaia di manifestanti che in queste settimane sono scesi in strada a protestare per i diritti delle donne, una richiesta che mano a mano si è trasformata in una rivolta contro il regime. L’uccisione della 22enne Masha Amini è stato l’evento culminante di una serie di arresti per mano della “polizia della moralità” verso le donne che non rispettavano i codici dell’abbigliamento.
Nel corso degli ultimi anni le proteste in Iran sono state sempre più regolari a causa della crisi economica che attraversa il paese. In particolare quelle scatenate a settembre 2022 hanno una portata mai vista prima e coinvolgono tutto il paese e soprattutto ogni classe sociale. Non solo donne, ma anche uomini e studenti protestano contro uno strumento caratteristico del regime iraniano: l’obbligo di indossare il velo.
Gissou Nia, presidente del consiglio dell’Iran Human Rights ha affermato che “le manifestazioni innescate dalla morte di Mahsa Amini riflettono una collera ben più ampia della popolazione rispetto al quadro giuridico discriminatorio che colpisce in modo sproporzionato le donne, le minoranze etniche e religiose e altri gruppi marginalizzati in Iran.”
Vittime della repressione
Le autorità iraniane hanno immeritamente attuato repressioni violente nei confronti dei manifestanti, staccando anche l’accesso ad Internet in gran parte del paese per impedire la diffusione di notizie. Nonostante tutto le proteste continuano da oltre 40 giorni. Secondo Iran Human Rights le vittime causate dalle repressioni sarebbero 277 al 2 novembre, di cui 40 minori:
Parmis Hamnava, 14 anni, uccisa a bastonate da degli agenti di polizia dopo il ritrovamento, all’interno dei suoi libri di scuola, di una foto di Khomeini strappata a metà. La ragazza sarebbe stata picchiata proprio all’interno delle mura scolastiche per morire poco dopo in ospedale.
Kumar Daroftateh, 16 anni, un altro adolescente ucciso a causa della violenta repressione che dilaga in tutto il paese. E’ stato colpito da una distanza ravvicinata durante una manifestazione nella città di Piranshahr e sarebbe morto poco dopo in ospedale.
E ancora Sabina Saedi, 16 anni, morta durante una protesta a Sanandaj.
In Iran arrivano le prime condanne a morte
Moharebeh: un delitto previsto dalla Sharia e dal codice penale iraniano contro la religione islamica. Letteralmente significa “guerra contro Dio” ed è il reato di cui sono accusati 4 condannati a morte. Secondo Ali Salehi, procuratore del tribunale rivoluzionario di Teheran sarebbero “entrati in conflitto con il sacro sistema della Repubblica islamica, creando paura nella società, ferendo le forze dell’ordine, distruggendo e incendiando la proprietà privata”.
Altri 201 manifestanti sarebbero accusati di avere rapporti con i servizi segreti stranieri.