Ippolito e Fedra, o il sesso oscuro

Fedra, per una maledizione di Afrodite, s’innamora di Ippolito, il figlio di suo marito Teseo; respinta, lo calunnia, si toglie la vita; Ippolito, innocente, muore.
Mi torna in mente, quando ogni giorno sentiamo notizie di delitti e suicidi comunque connessi alla sfera sessuale. Ippolito nega venerazione ad Afrodite, ed è fedele alla casta Artemide; quanto al sesso, vorrebbe ridurlo alla mera funzione riproduttiva, e, se potesse, auspica una sorta di generazione artificiale: gli dei avrebbero dovuto concedere figli a chi ne chiedesse “pregando in un tempio”, quindi senza passare attraverso il turbamento dei sensi e dell’anima, e, alla fine, senza avere a che fare con “quel male terribile, le donne”. Fedra è femmina infoiata, ma pure in contrasto con la propria condizione di regina e sposa. In entrambi, secondo l’interpretazione che qui m’interessa e che affaccio, confliggono due visioni, o piuttosto sensazioni del sesso: la sessualità come mera attività biologica con risvolti sociali; e il sesso come zona oscura e radicata nel profondo del corpo e dell’inconscio. O, se volete, il tentativo della ragione di chiarificare l’ombra, di dominare la belva selvatica.




Oggi la versione ufficiale, e persino legale, della visione del sesso è quella di Ippolito, anche depurata dall’esigenza riproduttiva, magari attraverso l’inseminazione artificiale, o semplicemente con l’uso di anticoncezionali; ma la cronaca ci mostra quanto sia potente Afrodite, e quante Fedre si nascondano sotto l’apparenza di maschi e donne grigi e banali e noiosi e piccolo borghesi.
Attenti, l’espediente della tragedia greca è di attribuire i sentimenti abnormi agli eroi (τὰ πάθη τῶν ἡρώων), consentendo agli uomini comuni di scaricare su di loro le passioni (pathe); oggi, che eroi non ce ne sono, e anche gli dei sono banali, la follia si annida dentro l’abituccio liso dell’impiegato e il malinconico conato delle cinquantenni di vestirsi da ragazzine. Ma i delitti nascono dalla stessa sfera cupa dell’anima.
Afrodite è una dea fascinosa e possente, e non potrà mai essere domata dal mesto logos; e ci saranno sempre i folli d’amore e di bramosia carnale. Ogni tanto qualcuno spera di razionalizzare la follia, e di convincere il bramoso a sostituire con l’amore con una partita di tresette o la lettura di un buon libro antimafia segue cena: invano, l’amore conterrà sempre una sua componente di follia; e se no è voler bene, ma non certo è amore.
Ah, se dalla letteratura togliamo la guerra e gli amori sbagliati, resta solo la Vispa Teresa: ma a parte le versioni goliardiche! L’amore è follia, ed è necessario che resti tale.
D’accordo. Ma una porzione dei delitti di Fedra sono dovuti a Ippolito. Intendo la signorina che, dopo aver tradito il fidanzato, vuole “rimanere amici”; o quella che s’inventa che “il tradimento fisico non è tradimento sentimentale”, e con questa scusa non solo sgavazza, ma vorrebbe farlo con il sorridente consenso del becco; o la disgraziata coppia che si fa invitare a cena dall’assassino…
O quelli i quali credono seriamente che una prosperosa fanciulla di 17 anni, 11 mesi e 29 gg sia “minorenne”, e come tale non vada guardata manco qualora esibisca generosi kmq di pelle. E lo stesso per la “minorenne” che se ne va a spasso con il primo venuto di qualsiasi età.
Ippolito, che io ricordi, non aveva fatto niente per provocare Fedra; però, un poco di sana malizia, e se ne doveva accorgere; e levarsi di torno al volo, facendosi mandare da papà a combattere qualche guerra (i Greci, eroi e non, ne avevano sempre una); così magari, finita la battaglia vittoriosa, faceva come Napoleone che gridava “Une femme, une femme” e correva all’opera; e magari gli passava la castità. Ad Ippolito, dico, non a Napoleone, che non ne soffriva.

Ulderico Nisticò

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