“Io sono verticale” tratta dalla raccolta Crossing the water, 1971 di Sylvia Plath è un componimento dal sapore agrodolce che espone l’eterno contrasto tra due modi di stare al mondo, in piedi e stesi.
Io sono verticale
ma preferirei essere orizzontale.
Non sono un albero con radici nel suolo
succhiante minerali e amore materno
così da poter brillare di foglie a ogni marzo,
né sono la beltà di un’aiuola
ultradipinta che susciti gridi di meraviglia,
senza sapere che presto dovrò perdere i miei petali.
Confronto a me, un albero è immortale
e la cima d’un fiore, non alta, ma più clamorosa:
dell’uno la lunga vita, dell’altra mi manca l’audacia.
Stasera all’infinitesimo lume delle stelle,
alberi e fiori hanno sparso i loro freddi profumi.
Ci passo in mezzo, ma nessuno di loro ne fa caso.
A volte io penso che mentre dormo
forse assomiglio a loro nel modo più perfetto
con i miei pensieri andati in nebbia.
Stare sdraiata è per me più naturale.
Allora il cielo e io siamo in aperto colloquio,
e sarò utile il giorno che resterò sdraiata per sempre:
finalmente gli alberi mi toccheranno,
i fiori avranno tempo per me.
Con rammarico Sylvia Plath espone il suo senso di inadeguatezza nello stare al mondo. Ammette di essere verticale ma di aspirare alla dimensione orizzontale, sicura che quello sia il suo habitat naturale. Geometrizza quelle che sono le proprie aspirazioni terrene nella dimensione verticale, queste appesantite dal peso della gravità, vengono così schiacciate dal confronto con la magnificenza della natura. L’oasi di pace che la poetessa sembra trovare è racchiusa nella dimensione orizzontale, quando la delusione non avrà più senso e sa trovare nella morte la sua realizzazione come parte della natura.
La dialettica bidimensionale tra verticale e orizzontale
Attraverso la personificazione della natura soppesa il proprio disagio nei confronti del contesto e delle aspettative di vita fallite, tutti desideri infranti che riescono a rimpicciolirla al punto di essere più bassa della cima di un fiore. Accusa l’ansia dello scorrere del tempo e le proprie insicurezze, di averla resa invisibile, incapace di brillare ed esaudire i propri desideri.
L’essere verticale, data la sua fragilità e il disagio di non riuscire a sentirsi mai all’altezza della sua contemporaneità, è una dimensione composta di solitudine e amarezza nella quale sembra annaspare.
“Stare sdraiata per me è più naturale”
Consapevole dei propri limiti, aspira all’orizzontalità, una dimensione comune di condivisione. Idealizza la morte come un lungo sonno, al sicuro da ogni contrasto e sofferenza, dove sa di poter ambire a un colloquio diretto con l’eterno.
Tutte le aspettative fallite nella dimensione verticale sembrano trovare la propria risoluzione in quella orizzontale, quando finalmente tutti i contrasti, rarefatti si sciolgono in un senso di comunità universale.
Il punto d’incontro
Come una profezia, Sylvia Plath espone quello che è lo scontro principale della nostra contemporaneità. Nasciamo con l’aspirazione di distinguerci dalla massa, spiccare tra tutti e affermarci, siamo disposti a tutto perché la concorrenza è alta e presi dall’ansia ci ritroviamo spesso e volentieri ad essere senza scrupoli e incompresi.
Ma la verticalità è una dimensione solitaria, è come una scalata senza vetta, l’adesione a un ideale, uno stereotipo personale che non è possibile paragonare, si tratta di essere se stessi.
Alcuni sembrano nati per la verticalità, destinati ad emergere, definirli dei modelli è un riconoscimento che sentiamo di dovergli, ma che spesso e volentieri porta all’omologazione. Nel momento che il nostro sguardo si sposta verso quello che ci sta intorno e gli altri, la nostra scalata subisce delle deviazioni. Alla ricerca di punti d’incontro, saltiamo alla dimensione orizzontale; per quanto possa piacere la solitudine ha anch’essa dei limiti, come la gravità ci obbliga allo stato di normalità.
Dati gli ultimi avvenimenti, la nostra tensione all’orizzontalità e il desiderio di allargare il nostro senso di comunità sembrano essersi ridestati e ne stiamo vedendo i primi effetti. Creaiamo più legami e scopriamo sempre più punti di vista, i nostri parametri etici e morali si stanno ampliando, anche se con delle difficoltà. Dalla dialettica interiore tra verticalità e orizzontalità sembra stia sbocciando una nuova risoluzione trasversale che sfoca i confini tra le due dimensioni di partenza. E’ evidente che ci stiamo evolvendo, anche se siamo ancora all’inizio di questa rivoluzione.
Forse siamo nell’occhio del ciclone e non ce ne renderemo conto finché la tempesta non sarà finita.
Valeria Zoppo