Un libro sull’amore, sulla tetraplegia e soprattutto sulla vita: dal 1 settembre “Io prima di te” è al cinema e commuove milioni di spettatori.
Chi ha letto “Io prima di te” di Jojo Moyes (Mondadori, 2015) non poteva non aspettarsi di uscire dal cinema indenne dopo aver guardato il film tratto dal libro.
Forse però, chi ha assistito alla proiezione di “Io prima di te” senza aver letto il libro, pensava di aver scelto un banalissimo film romantico, una storia tra due giovani innamorati con lieto fine.
E alla fine si è ritrovato a tirare su col naso dopo le ultime scene del film.
Per quanto mi riguarda, avevo letto il libro, ma piangevo come una bambina anch’io.
Il film “Io prima di te” tratta con delicatezza un tema di enorme importanza, quello dell’eutanasia e di chi sceglie coscientemente di ricorrervi.
Jojo Moyes aveva descritto la vita di Will Traynor prima e dopo l’incidente che l’aveva reso tetraplegico: da giovane in carriera, dinamico, spericolato, innamorato della vita e del bello che questa offre, a giovane immobilizzato per sempre su una sedia a rotelle, costretto ad essere accudito da altri per qualunque minimo bisogno vitale.
Will è interpretato da Sam Clafin e accanto a lui recita la co-protagonista Emilia Clarke, curiosamente omonima con il personaggio che interpreta, quello della esuberante, inesauribilmente vitale Lou Clark.
Lou è un elogio al colore, alla vita, alla gioia: indossa improponibili accostamenti cromatici e scarpe impossibili da ignorare. Ha un volto che “è completamente incapace di trattenere qualsiasi emozione stia provando”, sorride con giganteschi occhi celeste chiaro, alza le sopracciglia, esprime affetto, amore, devozione.
Lou si è innamorata di Will ed è pronta a donargli la sua vita, a stargli vicino per sempre, anche nel disagio della tetraplegia. Non lo ama perché ne ha compassione: lo ama perché lui le ha cambiato la vita, le ha aperto gli occhi sulle possibilità, sul “potenziale” che gli altri vedono in lei e che lei stessa si ostina ad ignorare. Will la spinge a viaggiare, a conoscere, ad andare oltre il circondario del piccolo paese in cui Lou vive con la sua famiglia.
A mio parere, l’emozione che Io prima di te suscita è così intensa da non togliere niente a quella che già il libro mi aveva trasmesso. Penso che questo sia merito della regia di Thea Sharrock, fedelissima al romanzo che invece di sminuire – come spesso accade – la narrazione, la valorizza e la impreziosisce di dettagli.
Le riprese sui bastioni del castello dove vive Will, il guardaroba di Lou scelto da Jill Taylor e messo insieme girando tra mercatini dell’usato e bancarelle londinesi, l’interpretazione di Sam Clafin che ha dovuto rinunciare a qualsiasi possibilità di movimento se non quello del volto e del collo.
E sul suo volto passano milioni di emozioni, arrivano dritte in sala e coinvolgono gli spettatori in prima persona. Impediscono loro di giudicare, di esprimere opinioni fuori luogo sull’eutanasia, sul dramma dell’immobilità perenne, sulla personalissima scelta di decidere del proprio destino.
“Non si può cambiare la natura delle persone, semplicemente le si ama.” E si rispettano le scelte, anche quando drammatiche, che chi amiamo decide di fare.