È quanto emerso da una ricerca americana su un campione di anziani nati durante la Grande Depressione del ’29: nelle loro cellule ci sarebbero tracce evidenti di un invecchiamento precoce.
La scienza da tempo cerca di individuare quali fattori e come influenzano l’epigenetica di un organismo vivente. Ad esempio, è tuttora particolarmente difficile constatare se quanto osservato in un anziano dipenda dalle esposizioni avvenute in ambiente intrauterino, quindi durante la gravidanza, oppure nel periodo postnatale. Tuttavia, questo nuovo studio suggerisce che le difficili condizioni economiche, vissute dalle donne incinte negli anni Trenta del secolo scorso, potrebbero aver influenzato i feti, determinando un invecchiamento precoce delle cellule, visibile però solo ora, in età avanzata.
Lo studio
Pubblicato su PNAS, è frutto del lavoro di due ricercatrici americane, che hanno analizzato un campione di circa 800 persone nate nel periodo della Grande Depressione (1929-1939). Tutti i componenti condividono l’aver vissuto in un periodo storico di grande crisi, che ha inevitabilmente influenzato diversi aspetti della qualità della vita. Ad esempio, la disoccupazione raggiunse il 25% e di conseguenza molti Americani avevano poco cibo e/o possibilità di comprarlo. Tale carenza si rifletteva su tutta i componenti della famiglia, comprese le donne, soprattutto se stavano affrontando una gravidanza.
I dati sono stati poi confrontati con i quelli ricavati da persone nate in altri stati, dove la crisi ha avuto effetti minori. Dai marcatori genetici coinvolti è emerso un invecchiamento precoce delle cellule nel primo gruppo rispetto al secondo di controllo.
I risultati
Per i nati tra il 1929 e il 1940, si osserva un’associazione negativa e significativa tra peggioramento delle condizioni economiche alla nascita e la probabilità di sopravvivenza dopo i 75 anni. Inoltre, a conferma di quanto già osservato in altri esperimenti, è stato osservato che le probabilità di sopravvivenza sono correlate positivamente anche con il grado di istruzione materna. Difatti, durante la Grande Depressione le donne con un diploma di scuola secondaria e/o con laurea hanno avuto più figli, mentre tra le coetanee con livelli culturali più bassi il numero di nascite è stato inferiore. In ultimo, la crisi ha influito anche sul rapporto tra numero di nati maschi e femmine, in quanto i feti dei primi sono più sensibili alle malattie o alla morte.
Il fatto che il segnale appaia nei dati raccolti da persone tra i settanta e gli ottant’anni è strabiliante.
Cos’è l’epigenetica?
È un ramo della genetica che studia i cambiamenti ereditari nell’espressione genica, non legati a dei cambiamenti nella sequenza del DNA. Difatti, non si può parlare di mutazioni, poiché l’alterazione interessa il fenotipo e non il genotipo. Esistono varie tipologie di modificazioni epigenetiche, tra le quali la più caratteristica, nonché considerata in questo lavoro, è la metilazione del DNA.
Diverse evidenze scientifiche affermano che la programmazione epigenetica materno-fetale è vulnerabile all’esposizione a condizioni avverse, causando effetti a lungo termine sulla morbilità e mortalità degli adulti. Tuttavia, è difficile comprendere quanto lo sviluppo del bambino sia più influenzato da eventi vissuti durante la fase intra-uterina oppure nel periodo postnatale.
Il potenziale dell’epigenetica
Approfondire questo campo di ricerca sarebbe molto utile, poiché l’epigenoma svolge un ruolo critico nell’embriogenesi, ovvero durante la fase di sviluppo successiva alla fecondazione e caratterizzata da un alto tasso di divisione cellulare. Infatti, considerando che i diversi processi epigenetici vengono riprodotti nei successivi cicli di replicazione del DNA, la plasticità dello sviluppo è notevole proprio nei primi stadi di crescita dell’organismo. Dunque, la probabilità che le esperienze vissute nell’utero possano esercitare effetti duraturi sull’espressione genica e sulla successiva crescita dei tessuti, ovvero sulla programmazione fetale, è veramente molto alta.
Bisogna tenere conto di questo aspetto nel momento in cui si disegnano le politiche di salute pubblica e assistenza sociale.
Le parole di Lauren Schmitz, coordinatrice dello studio, riassumono quale orientamento dovrebbero prendere le istituzioni nell’aiutare le famiglie in difficoltà. Non a caso per tale ricerca si è scelto un periodo, la Grande Depressione, durante il quale c’erano pochissimi programmi di assistenza sociale, rispetto a quanto possiamo osservare ora, almeno in certi paesi. Probabilmente anche questo fattore ha influito sull’invecchiamento precoce osservato nelle persone facenti parte del campione.
I diritti sociali rivestono dunque il duplice ruolo di strumento sia di attuazione che di possibile ulteriore perfezionamento del principio democratico, in quanto consentono l’effettiva partecipazione di ciascun individuo alla vita politica ed economica del Paese, tutelando in tal modo il substrato di valore della democrazia stessa rappresentato dalla pari dignità di ciascun uomo .
La scienza ci dimostra che prendersi cura delle nuove generazioni sin dalla nascita non è un investimento per il singolo, ma per il futuro della stessa società. Tagliare dunque su alcuni diritti sociali, ad esempio il congedo di maternità, non è una soluzione ottimale, ma anzi deleteria, soprattutto se proiettata a lungo termine.
Oggi la ricerca ci aiuta, fortunatamente, a capire cosa fare per migliorare la qualità della vita delle persone, tuttavia non dovremmo mai dimenticare che l’intero ordinamento giuridico dovrebbe tutelare sempre il valore della persona e la dignità umana, indipendentemente da quello che succede in un laboratorio.