Intervista a Paolo Ercolani sul suo libro “Contro le Donne”

Paolo Ercolani

Paolo Ercolani è un filosofo, scrittore e saggista, giornalista e Docente all’Università di Urbino “Carlo Bo”.
Cura il blog per il gruppo Espresso-Repubblica, “L’urto del pensiero”, collabora con il canale di filosofia di Rai Educational ed è fondatore del comitato scientifico dell’Osservatorio filosofico.
Tra i suoi libri: “Qualcuno era italiano. Dal disastro politico all’utopia della rete” (2013) e “Manifesto per la Sinistra e l’umanesimo sociale (con S. Oggionni, 2015).

Contro le donne” (2016) è il suo ultimo libro: Ercolani qui attraversa la storia, partendo dalle origini della civiltà occidentale (Esiodo, Omero, La Bibbia), per analizzare il pregiudizio contro le donne in maniera sistematica e critica. Nessuno aveva affrontato prima d’ora il problema, cercando degli strumenti pratici in grado di superarlo e richiamando la responsabilità della filosofia, della religione e delle scienze in generale.

Un libro appassionante, in grado di rivelarci un pensiero assai simile per autori e tempi diversi, svelando un pregiudizio misogino anche tra le menti brillanti più impensabili.
Contro le donne” abbassa il velo di Maya su convinzioni che, ahimè, sono ancora molto vive e moderne.

Come mai hai scelto di scrivere questo libro, da cosa ti è venuta l’idea?

Pensa che il tutto è partito dal concetto totalmente opposto: volevo scrivere un qualcosa di spiritoso contro le donne. Da filosofo che, in modo ironico, criticava lo stereotipico classico femminile.
Ho cominciato così a studiare e mi sono ritrovato di fronte ad un mondo enorme… un imprevisto di percorso che ha riacceso in me quell’etica responsabile weberiana: da scienziato e filosofo era mio obbligo portare a termine e approfondire questi studi, per denunciare una vergogna che ci portiamo sulle spalle da troppo tempo.

Quindi insomma, il libro è nato, paradossalmente, dal pregiudizio stesso. Ovvio, la mia intenzione era di divertire prendendo un po’ in giro il genere femminile, sicuramente non avrebbe avuto la forma aggressiva ed emarginante degli autori che ho studiato.

Qual è il momento storico peggiore per la discriminazione femminile, a tuo parere?

Sicuramente, quello che più mi ha colpito è stato l’illuminismo: scoprire un autore come Rousseau, che forse per primo ha parlato di democrazia in termini sistematici, fare certe affermazioni contro il genere femminile mi ha scioccato. Non solo dava per scontato che la donna fosse esclusa dalla democrazia, ma esprime anche concetti vergognosi sul genere femminile, soprattutto nella sua opera principale, “Emilio ovvero dell’educazione”, che persino nella bettola di una piccola cittadina farebbe una brutta figura.

Riteneva che la donna fosse dannosa per la società, che pensasse solo a curare il proprio corpo e al pettegolezzo. In quel periodo nascevano i circoli, i grandi club d’incontro, ed egli affermava che donne e uomini dovevano riunirsi separatamente, poiché queste ultime non avevano interessi culturali, bensì solo rivolti alla pura chiacchiera. Mi è parso incredibile che l’ispiratore della rivoluzione francese potesse avere simili pensieri.

Sempre nell’Emilio, notiamo la sua forte discriminazione già solo dall’educazione diversa che Rousseau concede ai personaggi: Emilio studiava diplomazia e faceva ginnastica, mentre Sofia doveva imparare a farsi bella per il suo uomo , ad accudire i figli e a cucire. Leggerlo mi ha creato non poco imbarazzo. D’altronde, non è che la Rivoluzione Francese andò poi distante da questa distinzione di genere, in effetti.

Nei libri di scuola, questa discriminazione è spesso censurata: non sempre viene detto che il suffragio universale era unicamente maschile. 

Tratti molto (giustamente) anche di stupro: credi che molti uomini siano ancora convinti che la donna provi piacere durante questa violenza, così come si affermava spesso in passato?

Incredibile come un autore come Ovidio possa pensare che “la violenza è gradita alle fanciulle”, poiché “quello che a loro piace, spesso vogliono darlo contro la loro volontà” (Ars amatoria: v. 1, I, 674; I, 274 e I, 671-2).

Comunque credo proprio di sì. Tolto l’erotismo, che può contemplare anche una finzione di dominazione e rientra nel normale gioco delle parti, c’è ancora questo sentire comune che deriva da secoli di convinzioni errate. Rimane ancora quest’idea che la donna scelga l’uomo in base a come sia in grado di dominarla.

Quando ho iniziato a scrivere il libro, nel 2015, I dati Istat dichiaravano che almeno una donna su tre aveva subito violenza fisica e/o sessuale e gli stessi dati affermavano che solo il 7% di queste andava a sporgere denuncia. Se mettiamo insieme tutti questi dati, pare chiaro come vi sia ancora la necessità di parlarne di più e di riflettere maggiormente sul tema.

Questo pensiero che la violenza “piaccia” alle donne, finisce anche per ripercuotersi sulle donne stesse: nei centri per le violenze, dove mi sono recato per le ricerche, si scopre che la difficoltà più grossa da superare, per l’80% delle ospitanti, sia quella di togliersi la convinzione che ”se la siano cercata”.

Un altro fondamentale tema del libro è il velo: ripercorrendo la storia, ecco che scopriamo che l’Islam è tutt’altro che il primo ad imporne l’uso.

Diciamo subito una cosa: il Corano è molto meno grave della Bibbia, a proposito della donna.
Il nostro libro sacro è di una gravità assoluta. Con questo non voglio dire che il Corano abbia un’alta concezione della donna, però bisogna partire da questo dato di fondo.

La Bibbia legittima un sacco di ingiustizie, partendo dalla maledizione scagliata su Adamo ed Eva. Basti pensare che Dio aveva creato la donna solo perché Adamo si annoiava. Dopo il peccato originale, entrambi subirono l’ira divina, ma Eva ricevette in più la condanna del parto doloroso e della sottomissione a suo marito. V’è il timbro divino in tutte queste imposizioni, dopodiché il velo è solo una mera conseguenza.

L’uso del velo nacque nel mondo pagano, per poi essere riprodotto in quello cristiano: si pensava che i diavoli assumessero forma di uccelli e che si attaccassero ai capelli delle donne.
Di cosa stiamo parlando, poi: basta vedere le nostre suore, il fatto che non possano recitare messa, la struttura ecclesiastica tutta… l’Islam non è di certo l’unico ed il solo.

Donne di genio, sminuite e “soffocate” nel loro talento: credi che anche questo sia un tema ancora attuale?

Mi viene subito in mente Virginia Woolf, che nel saggio “Una stanza tutta per sé”, afferma già dal titolo questo suo desiderio d’avere un luogo appartato per esprimere la sua arte.
Le arti e gli studi, d’altronde, sono stati lungamenti preclusi alle donne ed ancora oggi v’è del pregiudizio misogino anche su questo punto.

Certo, giudizi che nessuno ha più il coraggio di scrivere, ma che molti continuano a pensare.
Sussiste ancora quell’idea alla Nietzsche, secondo cui l’obiettivo della donna sia unicamente quello di far figli; che la donna non sappia nemmeno lei stessa cosa voglia inizialmente e, nel caso in cui non comprenda d’avere come unico desiderio il figliare, si ammali e diventi isterica e nevrotica.

Credo proprio che questa idea sia ancora radicata ed appartenga alla mentalità comune: in molte famiglie italiane, l’uomo accetta ancora il lavoro della moglie più per mere questioni economiche. Potesse, ne farebbe a meno.

Non ti limiti a ricostruire in maniera critica la discriminazione di genere, bensì proponi anche una nuova teoria della soggettività umana per superarla. Senza togliere il gusto ai lettori di conoscerla da se, cosa proponi di fare nel quotidiano?

Credo che per affrontare il problema sia necessario, prima di tutto, una riforma della scuola e dell’educazione in senso lato.

Sono 40 anni che si tenta, senza successo per un bigottismo ancor radicato, di introdurre l’educazione sessuale nelle scuole. Non avrebbe, però, neanche molto senso: probabilmente sono i ragazzi che potrebbero insegnare a noi la meccanica del sesso. Quello lo imparano da soli. Bisognerebbe, invece, insegnare educazione sentimentale: cosa vuol dire innamorarsi, farsi carico dell’altra persona; insegnare che la donna non è una proprietà, che non puoi sfregiarla se ti lascia; che non puoi sottomettere la donna, ma anche insegnare alle donne che conquistare un uomo non vuol dire sottomettersi, o far di tutto per soddisfarlo.

La vera cultura di genere dovrebbe insegnare che apparteniamo ad un unico genere, indipendentemente dalle varie sciocchezze sessuali su cui, non si sa perché, ci concentriamo.
Quando invece siamo delle solitudini in cerca di compagnia.

                      




 

 

 

Isabella Rosa Pivot

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