Intervista a Serena Tusini dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università

La cultura della difesa vuole reclutare i giovani alla guerra, ma le persone comuni vogliono la pace.

Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università

Serena Tusini è una professoressa di lettere che, insieme ad altri docenti, ha fondato nel 2023 l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università. La costruzione di un’immaginario bellico nelle nuove generazioni è fortemente finanziato dal governo e va fermato.

Di Serena Tusini mi colpisce la fermezza e la lucidità con cui mi inonda di informazioni e riflessioni profonde. Le chiedo come è nato l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università

L’Osservatorio è nato dal CESP (Centro studi per la Scuola Pubblica) e dal sindacato di base Cobas. Siamo docenti che hanno raccolto una richiesta nata dai nostri studenti con lo scoppio della guerra in Ucraina. Ci chiedevano di capire. Abbiamo deciso di fare corsi di formazione per docenti sulle tematiche della guerra. All’interno di questi convegni abbiamo registrato il fenomeno della militarizzazione delle scuole. Abbiamo sentito la necessità di costruire un osservatorio, una realtà plurale. I Cobas oggi sono solo una parte, abbiamo aperto a tutte le realtà pacifiste. 

Una volta nato l’Osservatorio, si sono resi conto che il fenomeno era molto più vasto di quanto credessero. Quindi hanno messo a fuoco tre obiettivi principali:

  1. Diventare un punto di riferimento per le denunce e le segnalazioni di genitori e insegnanti.

  2. Trovare strategie e strumenti per opporsi alla presenza dei militari all’interno della scuola.

  3. Lavorare sull’aspetto didattico di educazione alla pace.

Quando è entrato il mondo dei militari nelle scuole?

Per comprendere bene questo fenomeno è importante seguire il filo di quella che viene chiamata Cultura della Difesa, nata in ambito Nato. Il Ministro Crosetto, appena insediato, ha istituito un comitato per  lo sviluppo e la valorizzazione della cultura della difesa. Il Comitato è composto da celebri giornalisti, scrittori, professori e ovviamente dalla Leonardo, la più grande azienda di armi italiana. Si capisce che c’è la necessità di reclutare. Vogliono orientare i giovani alla carriera militare.

Serena mi spiega che questo non avveniva prima perché era diversa la forma della guerra. Iraq, Afghanistan erano guerre estremamente veloci, asimmetriche. Ora con l’Ucraina la guerra è tornata a essere simmetrica, a terra. Si va verso la guerra totale. In questo tipo di guerra non si vince se dietro non ci sono le popolazioni. Quindi la cultura della difesa punta ad avvicinare tutti i cittadini ai valori del comparto militare e a cercare reclutamento tra le giovani generazioni

E’ un piano capillare, pensato e fortemente finanziato. Perché la forma della guerra contemporanea ne ha bisogno.

Germania, Francia e Danimarca cominciano a parlare del ritorno della leva obbligatoria. La militarizzazione va letta in questo contesto.

Serena mi racconta che fin dalla nascita dell’Osservatorio le segnalazioni arrivate sono tantissime. Il settore più colpito è quello dell’alternanza scuola lavoro e l’orientamento alla carriera militare oggi avviene in tutti gli istituti

Una segnalazione all’Osservatorio diceva che una classe è stata portata a una messa militare. A Marsala hanno portato gli studenti all’aeroporto militare di Birgi. Hanno fatto cantare agli studenti l’inno nazionale, l’alzabandiera, li portano dentro le caserme. Tutte le classi quinte in Toscana sono state invitate per la presentazione del calendario dell’Esercito italiano. Il titolo è “Per l’Italia sempre: prima e dopo l’8 settembre”. Cosa vuol dire questa frase? Che si esaltano come eroi quei militari che hanno obbedito alla patria, poco importante che la patria fosse fascista all’epoca, viene esaltata l’obbedienza. La scuola invece non deve insegnare ad obbedire, ma a pensare.

Le segnalazioni che arrivano all’Osservatorio sono tante tra insegnanti e genitori, ma spesso c’è la richiesta di anonimato

E questo già ce la dice lunga. La parte della resistenza è sempre molto difficile. Io, per esempio, ho fatto un’azione perfettamente legale: si chiama opzione di minoranza. Ho dichiarato che, nel momento in cui le mie classi saranno convocate per fare corsi di orientamento militare, io non ce li porto. L’ho fatto mettere a verbale.  È una forma di obiezione di coscienza che non è una passeggiata da costruire. Ma le cose si muovono.

Quali azioni concrete ha messo in atto l’Osservatorio?

Abbiamo prodotto un Vademecum con cui molti genitori e insegnanti sono riusciti a fermare certe situazioni. Perché nel momento in cui qualcuno pone la domanda di cosa ci fanno i militari nelle scuole, le persone riflettono.

Abbiamo fatto una campagna contro gli zainetti militari della Giochi Preziosi.

Con il gruppo università dell’Osservatorio abbiamo costruito una petizione che chiede le dimissioni da Med-Or da parte dei rettori che vi partecipano. Med- Or è la fondazione culturale di Leonardo, la massima produttrice di armi italiana. Perché ci sono tredici rettori di università a Med-Or? Grazie alle mobilitazione degli studenti si è dimesso il rettore di Bari e due giorni fa il rettore della Federico II di Napoli. Abbiamo avviato anche una raccolta di firme online.

Ora l’Osservatorio sta preparando un convegno nazionale il 10 maggio a Roma,  aperto a tutti i cittadini. Inoltre sostiene i collettivi studenteschi delle università nella campagna di boicottaggio di Hewlett- Packard, azienda altamente coinvolta nel genocidio palestinese. Il boicottaggio funziona sempre. Forse anche per questo le proteste alla Sapienza sono state represse con la violenza. Chiedo a Serena cosa direbbe a Valditara se avesse la possibilità di un dialogo

Gli chiederemmo di abolire i protocolli d’intesa con le forze armate e di farli con associazioni che sviluppano educazione alla di pace. Associazioni che permettano alle ragazze e ai ragazzi di affrontare tutta l’angoscia che vivono. Oggi c’è una generazione che vive nell’angoscia, che si sente senza futuro. Ora è importante trasmettere ai giovani la fiducia che la realtà può cambiare.

Ora nell’ultimo decreto hanno lanciato una campagna “Questo non è amore”. Sono poliziotte che vanno nelle classi a parlare contro la violenza di genere. La polizia stradale viene a parlare dei pericoli alla guida, quella postale di cyberbullismo. Il problema è che portano un paradigma di questo tipo: norma, violazione della norma, sanzione della norma. Questo non è educativo. Sono fenomeni complessi che hanno bisogno di un intervento altrettanto complesso. Molto più efficace sarebbe invitare associazioni di familiari di vittime, per fare un esempio.

Data la campagna mediatica massiccia a favore della guerra, anche l’Osservatorio è stato colpito dalla propaganda?

Il Giornale ci ha attaccato a proposito del nostro convegno del 10 maggio. Siccome è un corso di aggiornamento che prevede l’esonero dei docenti che partecipano e tra gli invitati c’è Travaglio, ci attacca da quel punto di vista. Un altro episodio è accaduto a seguito del raduno degli Alpini a La Spezia. Li mandano nelle scuole a parlare della Prima Guerra Mondiale, ma la guerra non viene raccontata come una carneficina, celebrano l’eroismo dei caduti. Siamo intervenuti sui giornali e la Senatrice Pucciarelli ha dichiarato che stavamo attaccando una delle ossature dello Stato.

Preparo Serena al fatto che più si andrà avanti, più le accuse che l’Osservatorio vada contro lo Stato per fare politica sarà pressante, ma lei mi assicura che sono già preparatissimi

Non c’è nessun problema. Sì, lo siamo! Siamo politicizzati. L’Osservatorio vuole parlare della Polis, vogliamo che i nostri studenti siano interessati alla realtà. Per quanto riguarda i valori dello Stato ragioniamoci insieme: vogliamo avere il valore dell’eroe come colui che si batte contro un nemico? Vogliamo un nemico? o vogliamo avvicinare le culture tra loro? Vogliamo far uscire la guerra dalla Storia? 

Tutti i sondaggi continuano a dire che la maggioranza dell’opinione pubblica non vuole l’invio di armi, l’Italia ha tante realtà pacifiste

Loro hanno un problema di opinione pubblica: non riescono a convincere le persone che per avere la pace bisogna inviare le armi. Questo è un ossimoro talmente lampante che serve creare una cultura della difesa che faccia intendere come necessaria la guerra. La cultura della difesa è tanto più necessaria, quanto più le popolazioni sono pacifiste.

È da poco passata la legge che ha deciso che il 4 novembre non sarà più solo la giornata dell’Unità nazionale ma “Giornata dell’Unità nazionale e delle forze armate”

È una legge che istituisce percorsi nelle scuole per trasmettere i valori delle forze armate. Già l’anno scorso l’Osservatorio ha dato indicazioni per una giornata di mobilitazione internazionale, invitando tutto l’associazionismo pacifista a fare presidi vicino agli uffici scolastici e così faremo il prossimo 4 novembre. Non possiamo permettere di trasformare la Prima Guerra Mondiale in un momento eroico, è stata una carneficina. I dieci milioni di morti sono al centro di questa rilettura.

Come deve cambiare la scuola?

Oggi la scuola è tutta piegata alla costruzione del capitale umano. Ma la scuola ha una funzione sociale. Non si studia in funzione esclusiva del lavoro che andrò a fare. Un cittadino non è prezioso perché produce, ma perché pensa e crea. Il pluralismo dell’insegnamento è estremamente limitato. Fino a venti anni fa la scelta di un libro di testo era un atto intellettuale dell’insegnante, oggi sono tutti semplificati, il livello è infimo. Io che insegno a un liceo non potrei proporre ai miei studenti i miei libri delle medie, sono troppo complessi! È successo qualcosa. La libertà di insegnamento che ci ha dato la Costituzione, non era fate quello che volete. Loro avevano molto chiaro il ruolo della scuola nella fascistizzazione della società italiana. Quando le nostre madri e i nostri padri costituenti ci dicono nell’art.33 “Le arti e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento” non ci consegnano una libertà individuale, ma ci assegnano una funzione sociale essenziale per una società democratica. Ma questa è una mia riflessione personale come insegnante.

Federica Sozzi

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