Eutanasia legale in Spagna. E in Italia quando? Intervista a Marco Cappato

Marco Cappato

In occasione della legalizzazione dell’eutanasia in Spagna, abbiamo intervistato Marco Cappato, attivista e politico da sempre attivo nella battaglia per le libertà sul fine vita anche attraverso l’associazione Luca Coscioni. Si tratta di un mondo complesso e nebuloso che in Italia conquista le prime pagine dei giornali quando esplodono casi come quelli di Piergiorgio Welby o di Dj Fabo, ma che poi torna nell’ombra. Malati e famiglie intanto vengono rimpallati tra un codice penale degli anni Trenta, sentenze che cercano di correggere il tiro e una politica accidiosa.




Innanzitutto, dott. Cappato, come sta? Ma soprattutto come va con la giustizia italiana?

Bene, grazie. Con la giustizia italiana io e Mina Welby siamo sotto processo per avere aiutato Davide Trentini ad andare in Svizzera. Malato di sclerosi multipla, ha deciso di farsi aiutare da noi a morire, fuori dall’Italia. Dello stesso reato (aiuto al suicidio, ex art. 580 c.p.) siamo stati accusati per il caso di DJ Fabo, ma in quel contesto la Corte Costituzionale ha stabilito che era suo diritto essere accompagnato a morire perché ricorrevano certe condizioni.



 

Quali sono queste condizioni?

Bisogna essere tenuti in vita da trattamento di sostegno vitale, con una sofferenza insopportabile nel quadro di una malattia irreversibile ed esprimendo la lucida volontà di essere accompagnati a morire.

E quindi? Non è simile al caso Trentini?

Qui la Procura ha fatto ricorso contro la nostra assoluzione e saremo davanti alla Corte d’appello di Genova a fine aprile. La Procura ha contestato due cose: ci accusa di avere manipolato la volontà di Davide Trentini e sostiene che Trentini non fosse tenuto in vita da un trattamento di sostegno vitale. Noi però abbiamo portato a processo alcuni documenti che attestano la somministrazione di terapie salvavita. 



Sono solo dettagli tecnici?

No, dal punto di vista politico la proposta di legge che la nostra associazione Luca Coscioni e movimento Eutanasia Legale chiede che ci sia la legalizzazione dell’eutanasia non solo per chi è tenuto in vita da un macchinario, ma anche, ad esempio, per i malati di cancro che possono essere comunque in condizioni di sofferenza insopportabile. 

A che punto siamo con questa proposta di legge?

È stata firmata da 140 mila cittadini e tutti la possono sottoscrivere sul sito eutanasialegale.it. È stata depositata in Parlamento sette anni e mezzo fa, ma non è mai stata discussa. Oggi è stata legalizzata in Spagna e lì ci hanno messo sette mesi dalla discussione in Commissione. In questo momento, poi, qui la parola d’ordine è che la priorità è il Covid: è sacrosanto, certo. Ma gli altri problemi non possono essere abbandonati. Anzi, a maggior ragione, il Parlamento non è direttamente coinvolto nella gestione della pandemia e questo darebbe all’organo il tempo e il modo di discuterne. La politica non sta dando risposte sulla libertà, in generale. La Spagna ha dimostrato che si può parlare di altri temi, anche se si sta gestendo una pandemia.

 Parlando del caso di Fabiano Antoniani, nel febbraio 2017 compie un gesto di disobbedienza civile per la campagna Eutanasia Legale dell’Associazione Luca Coscioni, accompagnando Fabiano Antoniani, un uomo rimasto tetraplegico e non vedente in seguito a incidente stradale, da Milano a Zurigo per l’ottenimento dell’assistenza alla morte volontaria nella clinica Dignitas, dove si pratica il suicidio assistito. Come ha fatto conoscenza con lui e come ha deciso di aiutarlo nella sua scelta?

Ho ricevuto una mail dalla sua compagna, Valeria Imbrogno. Mi ha spiegato la situazione e sono andato a trovarlo. Lì gli ho prospettato chiaramente le possibilità che c’erano. Gli ho detto che avremmo potuto agire clandestinamente o alla luce del sole. Lui è stato subito netto nel dirmi che avrebbe voluto agire pubblicamente, per far luce su un diritto di tutti. Poi gli ho fatto presente che avrebbe potuto sottoporsi a sedazione in Italia, con una procedura più lenta. Oppure saremmo potuti andare in Svizzera, sottoponendolo all’aiuto al suicidio che, in pochi minuti, lo avrebbe portato alla perdita di conoscenza e alla morte. Anche qui Fabiano è stato chiaro. Non accettava l’idea che la madre dovesse attendere giorni per vederlo morire. Voleva salutare tutti e andarsene senza dovere costringere tutti a una lunga attesa, magari di molti giorni. Questa è stata la sua determinazione. 

Lei lo ha materialmente accompagnato in Svizzera. In seguito al rientro in Italia, si autodenuncia per il reato di cui all’art. 580 c.p., ovvero aiuto al suicidio. Ha mai avuto dubbi su quello che stava facendo? Secondo quanto previsto dal nostro codice penale, lei avrebbe potuto rischiare una pena dai 5 ai 12 anni di reclusione. Insomma, ha mai avuto paura?

Francamente no. Ma non lo dico per spavalderia. Credo che trovandosi nella stessa situazione sarebbe stato difficile per chiunque non aiutare una persona che esprimeva un tale livello di sofferenza. Fabo lo diceva chiaramente: “Se non mi aiutate voi, io qualcuno che mi spara in testa lo trovo”. Dall’altra parte non ho avuto dubbi: non era la mia scelta. Non stavo decidendo io per lui. Nessuno si stava permettendo di dire che la sua vita non valeva la pena di essere vissuta. Nessuno ha il diritto di farlo con le persone che sono nelle stesse condizioni di Fabo e che però vogliono continuare a vivere. È stupido persino pensarlo, perché non si può decidere per gli altri. Bisogna trovarsi in una situazione del genere per sapere cosa si prova. Non ho avuto dubbi e ho sempre fatto presente a Fabiano che saremmo potuti tornare indietro in qualsiasi momento. Quella era la mia unica priorità. 

Però rischia fino a 12 anni di carcere. 

Per il resto ho fiducia. Spero che per via giudiziale o parlamentare si arrivi in poco tempo a una soluzione. Per una persona che si trova in una condizione di insofferenza insopportabile però anche tre mesi di attesa sono troppi. Non c’è cambiamento di sensibilità o di cultura che si possa attendere.

Quante persone ha accompagnato in Svizzera?

Fisicamente due. Una in realtà poi è tornata indietro. Ho finanziato il viaggio di altre due persone e ho fornito informazioni a centinaia di persone. Da quattro anni a questa parte, sono più di 1100 le richieste che ci sono pervenute. Alcune di queste persone non avrebbero avuto diritto nemmeno in Olanda o in Svizzera. Mi hanno scritto anche ragazzi di 20 anni, non depressi e non malati. Queste persone nemmeno per la nostra proposta avrebbero il diritto a essere accompagnate a morire. Però avrebbero comunque diritto, per la nostra visione, a trovare un supporto, senza dover chiamare Marco Cappato. Dovrebbero potere rivolgersi a uno psichiatra o a un assistente sociale, senza la paura che queste questioni vengano governate con il codice penale.

Guardando alle varie discipline nazionali sul fine vita, tra eutanasia passiva, come in Svizzera, o attiva come nei Paesi Bassi, quale modello si avvicina di più a un suo ideale legislativo in materia?

Sono sempre un po’ scettico sulle definizioni. A me piace il valore etimologico di eutanasia, collegato al concetto di morte meno peggiore possibile. Da questo punto di vista, la cosa importante è la condizione della persona, oltre alla sua volontà. La tecnica con cui questa morte viene raggiunta non è a mio avviso particolarmente importante. Il punto è stabilire il diritto. Dobbiamo decidere se una persona che soffre in modo insopportabile e irreversibile ha diritto a terminare la sua vita.

In Svizzera hanno una soluzione un po’ a metà. È legalizzato con una procedura precisa l’aiuto al suicidio. Il malato deve bere una sostanza: nel caso di DJ Fabo ha dovuto azionare un meccanismo con la bocca, non potendo bere. In Olanda invece è consentito sia l’aiuto a morire, sia l’eutanasia da parte del medico, tramite iniezione. Io penso che il paziente debba decidere quel che preferisce e secondo me il modello olandese è preferibile. 

In Spagna invece la legalizzazione dell’eutanasia si basa su un processo in quattro fasi. Il malato deve esprimere il suo consenso quattro volte, a distanza di tempo. Che idea si è fatto?

Io penso semplicemente che serva creare dei canali legali. Poi bisogna essere pronti a correggere il tiro. In Olanda e in Svizzera le discipline sono ventennali. Ogni Paese ha le sue peculiarità, anche in base al ruolo dei medici, e il come non è una questione su cui discutere inizialmente. L’importante è fare cadere il muro di ideologia, sulla base del quale qualcuno può decidere al posto mio sulla mia vita.

A proposito di ideologia, quanto conta la religione ancora oggi nell’abbattimento del tabù sull’eutanasia?

Mah, l’articolo 580 del codice penale lo ha fatto il fascismo, non il Vaticano, nell’ottica di una vita che apparteneva alla nazione. Ovviamente la Chiesa ha contribuito in modo determinante a tenere questa posizione nella politica. Ma la politica non deve essere deresponsabilizzata per “colpa del Papa”. La responsabilità è dei capipartito ed è maggiore per quei partiti che sulla carta sarebbero più favorevoli. Nessuno di loro si è battuto in questi sette anni e mezzo in Parlamento per mettere questo tema all’ordine del giorno.

Non mi interessa la polemica di partito, ma il PD e il Movimento 5 Stelle sono politicamente responsabili. Non c’è bisogno di tirare in ballo Papa Francesco, ma credo che anche il mondo cattolico sia più ricco nella riflessione di quel che si vuol far credere. Il Belgio e la Spagna sono Paesi cattolici, eppure una disciplina ce l’hanno. Nel dibattito interno al cattolicesimo in molti hanno sollevato la questione del libero arbitrio, riconosciuta dalla dottrina cattolica. La responsabilità culturale del Vaticano è enorme, ma la politica è ancora più responsabile. 

Zingaretti, qualche tempo fa, sul tema eutanasia aveva detto “Troveremo una sintesi”.

Sono frasi che non vogliono dire nulla. Pochi mesi prima si era espresso nettamente sull’eutanasia e poi, evidentemente, avrà trovato la convenienza di cambiare linea. Trovare la sintesi non vuol dire nulla. Io penso che il compromesso sia un concetto nobile, come punto di incontro tra un soggetto che parte da A e un soggetto che parte da B. Se però come leader politico io sposo la posizione del compromesso, beh, allora c’è un problema: non ho nessuna proposta, non ho nessuna convinzione. Lascio che le cose restino esattamente come sono. Ed è quello che la sinistra ha fatto in questi anni. Ovviamente anche gli altri, ma almeno sulla carta, quelli sono contro.

Da un Salvini, che populisticamente parla di “suicidio di Stato” riferendosi all’eutanasia, non ci si aspetta certo una battaglia in questa direzione. 

Ogni anno il Gazzettino di Nord Est pubblica un sondaggio Ipsos. Nelle ultime rilevazioni, risulta che gli elettori della Lega e di Fratelli d’Italia sono favorevoli per il 78% all’eutanasia. Superano dunque la media italiana, del 73%. Come capipartito, quindi, hanno un problema: perché il loro elettorato su questi temi non li segue. Ecco perché non ne vogliono discutere in Parlamento. Salterebbero per aria. Si creerebbe un cortocircuito. 

Con l’intervento della legge, quindi le cose cambierebbero diametralmente.

La situazione è più complessa. Oggi in Italia la situazione non è così pessima. Si può fare il testamento biologico. Si può fare anche il suicidio assistito, se si è nella condizione di Fabiano Antoniani. Solo che nessuno lo sa: questo è il problema.

Da un vostro sondaggio commissionato a Swg nel 2019, risulta che in Italia circa 8 persone su 10 siano a conoscenza dell’esistenza della disciplina sul testamento biologico. Molti di questi però dicono di non avere idea delle modalità con cui accedervi.

La questione avrebbe bisogno di informazione. I medici dovrebbero essere informati e informare i pazienti. Il Governo avrebbe il dovere di fare campagne di informazione, esattamente come fa per le campagne per la guida in sicurezza. Da quando la Corte Costituzionale ha deciso sul mio caso, in un anno e mezzo, quella sentenza non è mai stata applicata. Non c’è mai stato un solo caso di suicidio assistito. Il problema qui è anche delle ASL e degli uffici territoriali. In assenza di una normativa specifica, senza procedure vincolanti stabilite, queste disapplicano quanto previsto dalla sentenza. 

Le persone come si possono informare, quindi?

Per chi volesse saperne di più il numero esiste il numero bianco sul fine vita, che risponde (tel. 06 99313409) su tutte queste tematiche, attivato grazie anche al supporto di Valeria Imbrogno, l’ex compagna di DJ Fabo. Esiste poi un servizio di Chatbot, sul sito dell’associazione Luca Coscioni, che risponde in modo automatico alle domande più generiche. Tutti possono fare qualcosa, su questo: dal trovare risposte per sé al sensibilizzare gli altri.

A proposito di questo ruolo che ognuno di noi può assumere, se lei si guarda indietro, tra sentenze, assoluzioni, arresti e atti di disobbedienza civile, a 50 anni, cosa direbbe al giovane radicale degli anni Novanta?

Gli direi di non accettare consigli, ma poi sarei contraddittorio. Quello che direi a tutti è di partire da sé stessi e di non rassegnarsi allo stereotipo della politica elettorale, che sempre meno riesce ad affrontare i problemi concreti della gente. I problemi delle persone oggi si risolvono con la partecipazione civica, con la politica locale, fatta anche di bilanci partecipati e altre iniziative.

In questo senso, abbiamo creato EUMANS, un progetto di partecipazione diretta paneuropea, nella stessa ottica delle azioni di disobbedienza civile. Lo abbiamo fatto con la consapevolezza di aver cambiato di più con le azioni dei singoli e le aule di tribunale, che con la politica elettorale e le sue dinamiche. La politica può essere quindi un’attività centrale per la qualità della nostra vita, anche se non diventa una professione. Ho fatto il parlamentare, ma non è necessario esserlo per doversi occupare della cosa pubblica. Non si finisce mai di essere disobbedienti civili, anche senza azioni roboanti o eclatanti. Anche senza rischiare dodici anni di carcere. 

Elisa Ghidini

A questi link, si possono trovare maggiori informazioni per le questioni relative al fine vita, al testamento biologico e alle cure palliative. La linea telefonica per le domande più approfondite e specifiche risponde al numero 06 99313409 (Infoline Soccorso Civile – Servizio promosso dall’Associazione Luca Coscioni). 

Per firmare la proposta di legge sull’eutanasia legale: https://www.eutanasialegale.it/

Associazione Luca Coscioni: https://www.associazionelucacoscioni.it/

Link all’intervista integrale a Marco Cappato: https://www.instagram.com/tv/CMkk48mokrn/

 

Exit mobile version