Extinction Rebellion è un movimento socio-politico nato in Inghilterra nel 2018. Si definisce come un movimento di disobbedienza civile non-violenta per richiamare le autorità ad agire sulla crisi climatica.
Da un anno Jorge Molina Ruiz, studente 22enne di Venezia, è entrato a far parte del gruppo di azionisti per il clima meglio noto come Extinction Rebellion, abbreviato in XR.
Jorge, che cos’è per te Extinction Rebellion?
Io sono entrato da poco, quasi un anno. Per me è un movimento molto particolare perché è orizzontale: rende chiaro come siamo tutti parte dello stesso sistema che ci sta portando al collasso. Per questo porta avanti una reale cultura dell’empatia e del rispetto reciproco perché per agire bisogna farlo insieme.
Ciò che ammiro molto in Extinction Rebellion è che anche quando scendiamo in azione portiamo rispetto per chiunque: per la persona che passa col suv e inizia a sgasare per infastidirci, per il politico negazionista, per le forze dell’ordine che svolgono il loro lavoro quel giorno. È un movimento che sa che per trovare una soluzione si deve lavorare insieme, che non c’è un noi contro un voi, ma che siamo tutti “sulla stessa barca”. Secondo me è un messaggio potentissimo.
Da quanto tempo fai parte dell’organizzazione e perché ci sei entrato?
Ci sono entrato perché la crisi climatica mi ha sempre preoccupato sin da quando ero ragazzino. Inizialmente, ero molto entusiasta ma anche un po’ titubante. Volevo fare un passo alla volta anche nelle azioni, perché avevo paura, e ne ho tuttora, delle conseguenze legali a cui spesso rischiamo di andare incontro.
Poi a novembre c’è stato un evento che mi ha fatto cambiare idea e mi ha fatto capire che bisogna agire: la mia compagna è di Valencia quindi ho vissuto la tragedia dell’alluvione da vicino. Per la prima volta ho visto come le conseguenze del cambiamento climatico potessero distruggere la vita delle persone.
Mi sono reso conto che se non iniziamo ad assumerci le responsabilità di quanto sta accadendo, il futuro ne sarà devastato. Sento che eticamente non potrei fare altrimenti, non potrei restare a guardare: viviamo la più grande crisi del nostro tempo e la maggior parte di noi resta seduta sul divano guardandola arrivare da dietro uno schermo.
Nell’epoca dei social sembra che le petizioni, le prese di posizione, le proteste che nascono online restino inchiodate lì senza scendere mai sul campo, nel mondo reale. Penso alle milioni di persone che hanno ricondiviso il post “All eyes on Rafah” senza poi partecipare attivamente alla questione o scendere in piazza. Oppure a un’intervista a Giovanni Storti in cui racconta della petizione per fermare l’abbattimento di alcuni alberi a Milano. Petizione firmata online da 45.000 persone che poi non si sono presentate sul luogo per manifestare contro l’abbattimento. Pensi che sia così?
Le forme di manifestazione sui social o online sono totalmente inadeguate a forzare i governi a fare qualcosa contro la crisi climatica; sono troppi gli interessi economici e quelli politici perché una manifestazione, figuriamoci una petizione online, possa agire sul problema. Quello che porta avanti Extinction Rebellion è una disobbedienza civile prolungata nel tempo per fare pressione sui governi. Ovviamente XR Italia non ci è ancora riuscita, ha numeri ancora troppo piccoli, però ci sono stati diversi esempi in Europa di come questo possa avvenire. Penso all’Inghilterra, dove in 100mila bloccarono per settimane quattro ponti della capitale.
Quella forma di disobbedienza prolungata è l’unica che riesce a farsi ascoltare poi dai governi. In quel caso le istituzioni hanno dichiarato l’emergenza climatica statale ed è stata indetta un’assemblea cittadina sul clima. Anche se con risultati limitati perché la dichiarazione non ha rispettato i suoi obblighi, quello è stato comunque un inizio.
Che cosa significa per voi “disobbedienza civile”?
Per me la disobbedienza civile significa banalmente disobbedire all’ordine dell’autorità quando trovo che esso sia ingiusto o sbagliato. Quando trovo che l’autorità non stia facendo quello che dovrebbe. Nel patto sociale i cittadini delegano il potere a governi che dovrebbero rappresentare e occuparsi dei nostri interessi. Quando questo patto si rompe, si rompe da entrambe le parti. Quando il governo non fa la sua parte io ritiro il potere che gli ho dato.
E nel concreto?
Nel concreto significa che se durante una manifestazione ci viene dato l’ordine di sgomberare noi restiamo. Di per sé non si tratterebbe nemmeno di disobbedienza civile perché noi agiamo in maniera rigorosamente non-violenta e con rispetto sia fisico che verbale, ciò significa che non costituiamo un rischio per la sicurezza pubblica tale per cui ci debbano far sgomberare.
Disobbedienza civile può essere però anche quella di occupare la hall di una sede del potere, bloccare l’entrata di una grande impresa inquinante (come abbiamo fatto davanti ad Intesa San Paolo). Si tratta generalmente di creare un disturbo e non essere disposti ad andarsene.
Ci sono tre richieste fondamentali del movimento: dire la verità sul cambiamento climatico, agire in fretta e decidere insieme.
In effetti, tutte richieste nobili, rette da dati scientifici inequivocabili. Eppure, il vostro movimento viene recepito dalle forze politiche e dalle autorità come un affronto. Perché? Cos’è che non capiscono o non vogliono capire?
Quasi tutto lo spettro politico cerca di nascondere le evidenze che riguardano la crisi climatica. Il governo in primis ci vede e ci etichetta come dei criminali. La cosa mi sorprende perché manteniamo sempre gran rispetto verso le autorità e le forze dell’ordine. Anche quando succedono abusi o fatti gravi come quello accaduto a Brescia o durante il G7 in Puglia, in cui una persona che stava manifestando è stata strangolata da un poliziotto.
Riuscire a portare rispetto anche quando ci si sente violati è una cosa secondo me lodevole, quindi non capisco perché ci trattino da criminali. Ci ostacolano perché ci temono: in fin dei conti, nessun politico è disposto ad assumersi la responsabilità di fare scelte che riguardano le emissioni perché alla tornata elettorale successiva verrebbe lasciato a casa.
Anche gran parte dell’opinione pubblica vi recepisce come un gruppo di estremisti e vi è ostile. Cosa non capiscono le persone che vi criticano? C’è una propaganda sbagliata?
Di sicuro il nostro lavoro di attivismo viene raccontato in modo distorto. Un gran merito va al potere legislativo che negli ultimi anni ha creato una serie di leggi ad hoc per creare nuovi reati da affibbiarci. Mi riferisco alla legge “ecovandali” del 2024, al DDL 1660 in cui troviamo punti legati ai movimenti ambientalisti. L’ostilità è continua: per i semplici volantinaggi veniamo denunciati per “manifestazione non preavvisata”.
Ad una manifestazione a Torino durante il G7 ambiente sono state fermate persone che erano semplicemente in piazza a darci supporto e accusate di detenzione illecita di armi perché avevano con sé delle posate per il pranzo al sacco. Accuse ovviamente archiviate subito dopo, ma che hanno contribuito a propagandare l’idea che ci fossero attivisti armati. Anche notizie come “62 attiviste denunciate per violenza privata” dopo l’occupazione di Intesa San Paolo si basano su accuse che non sussistevano, ma hanno contribuito a oscurare la nostra immagine, mentre noi agiamo per amore dell’ambiente, di noi stessi, dei nostri cari, per il futuro di tutti.
Alla gente però sembra che arrivino di più i modi in cui manifestate che i temi per cui lo fate. Molti pensano alle strade bloccate e alla zuppa lanciata sulle opere d’arte (lo ricordiamo protette da vetri) e non alla vostra causa. In qualche modo forse il messaggio non arriva a tutti. Perché?
Questo tema è stato molto discusso due anni fa, prima che arrivassi. Per questo Extinction Rebellion ha deciso di non fare più blocchi stradali, poiché dalla popolazione questo viene visto come un affronto e risulta quindi controproducente. Si è inoltre deciso di non imbrattare opere d’arte ma di fare azioni di disobbedienza civile in luoghi istituzionali o grosse aziende che hanno una responsabilità ambientale (siamo stati a manifestare da ENI, Intesa San Paolo o appunto da Leonardo).
Forse veniamo associati a Ultima Generazione che invece adotta questi metodi, o ad altre forme di protesta dimostrative come quelle di Green Peace, in cui pochi attivisti si prendono rischi enormi facendo gesti forti. Fanno cose molto coraggiose che puntano a fare notizia, ma che purtroppo a volte non vengono capite da tutti.
Noi ora puntiamo a fare manifestazioni facilmente replicabili. Puntiamo su metodi che fanno meno notizia, è vero, ma che sono più condivisibili e possono invogliare le persone ad entrare in azione. Non vogliamo che chi dovrebbe stare dalla nostra parte ci veda come un nemico.
Infatti, sebbene dai media passi a volte un’immagine diversa, il nostro cambio di approccio sta dando i suoi frutti. Negli ultimi mesi stiamo ricevendo molto sostegno e stiamo crescendo. In particolare dopo l’azione al Viminale di novembre il numero di persone che ci supportano è aumentato.
Uno dei vostri princìpi è la ribellione non-violenta. Tuttavia, in alcuni casi siete stati etichettati come violenti (ricordiamo a tal proposito il dissenso mosso al salone del libro nel 2023 alla presentazione del libro “Una famiglia radicale” della ministra Eugenia Roccella, dove delle vostre attiviste furono indagate dalla Digos per violenza privata). Come giustifichi la cosa?
Anche quest’accusa è stata subito archiviata. Con violenza privata, cito l’articolo 610, si intende: “chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare o omettere qualche cosa”, fatto che ovviamente non sussisteva in quell’occasione. La ministra non è stata violata nemmeno nel proprio spazio di espressione, avendo lei molti più canali di tutti noi per dire la sua. Non-violento molto spesso viene confuso con pacifico. Non-violento non significa che non vogliamo creare disturbo, anzi. Noi puntiamo a non passare inosservati, creando ovvio disturbo alle istituzioni e a chi le rappresenta. L’azione al salone del libro non era assolutamente pacifica, ma era non-violenta.
Tra le richieste del movimento c’è quella di raggiungere lo zero netto di emissioni di gas serra entro il 2025. La richiesta è evidentemente sfumata: è una sconfitta?
È un obiettivo simbolico, ovviamente da ripensare. Il concetto che vogliamo far passare è che deve avvenire il prima possibile.
Non è un po’ un’utopia?
È una richiesta grande, ma se noi per primi dessimo come limite il 2040 rischieremmo che non si riconosca l’urgenza della questione. La nostra richiesta è quella necessaria al pianeta, ora bisogna lavorare sul fatto che per come siamo messi essa sembri ancora totalmente irrealistica.
La richiesta di avere emissioni nette zero è accompagnata da vostre proposte da presentare alle istituzioni per raggiungere tale scopo? In altre parole, oltre alla protesta portate anche idee concrete su come migliorare il nostro impatto sul pianeta?
Ci rendiamo conto che non abbiamo le competenze specifiche per elaborare un progetto effettivo. Quello che chiediamo è che si ascolti la scienza e si investa su persone specializzate alle quali affidare progetti per iniziare a ridurre il nostro impatto e quindi ridurre le emissioni.
Secondo te gruppi come il vostro vengono presi abbastanza sul serio dalle istituzioni?
Penso di sì. I decreti sicurezza e i vari provvedimenti che sta prendendo il governo dimostrano che siamo un tema di discussione, che siamo temuti.
Viviamo in una democrazia, eppure il dissenso non sembra trovare molto spazio per esprimersi. Come giudichi ciò che è successo dopo la protesta davanti a Leonardo S.p.a.? Un abuso di potere?
Si è un abuso di potere. Sono tanti abusi. Sgomberare la manifestazione è un abuso di potere, questa non può essere sciolta a meno che non sussistano problemi alla sicurezza pubblica o sanitaria. Secondo abuso: coloro che manifestavano sono stati portati in questura per essere identificati anche se non sussistevano le ragioni per un fermo identificativo (non c’era troppa confusione, avrebbero potuto identificarli lì).
In questura sono stati/e trattenuti/e per sette ore e perquisite solo attiviste donne. Le perquisizioni sono state estremamente intimidatorie e di fatto illecite. Queste infatti possono essere fatte in tre casi: se c’è un mandato (e in questo caso non c’era), se c’è il dubbio che la persona abbia armi o droga (dubbio in questo caso inconsistente), o se si crede che la persona possa avere il corpo del reato addosso. Hanno perquisito solo donne in un contesto intimidatorio e fuori luogo. Trovo molto triste che succedano abusi di questo genere e che lo stesso ministro della giustizia abbia difeso a spada tratta la polizia senza lasciare spazio al potere giudiziario di appunto giudicare quello che è successo.
Un’ultima domanda. Cosa bolle in pentola per il prossimo futuro di Extinction Rebellion?
Si sta lavorando per una grossa disobbedienza civile a Roma in primavera prolungata nel tempo. Il nostro invito è a tutti di partecipare. D’altronde la storia lo insegna: per portare a casa risultati, bisogna essere in tanti. Dobbiamo ribellarci in massa.
Alessia Cancian