Intervista allo sceneggiatore di fumetti Davide Barzi

Davide Barzi Ph: Matteo Laudiano

Il verso di una canzone di Niccolò Fabi recita “…abbiamo due soluzioni: un bell’asteroide e si riparte da zero o una somma di piccole cose“. Questa frase sembra introdurre ottimamente la visione di vita di un artista affermato, importante esponente di quella variopinta moltitudine di chine, colori e infiniti  personaggi di fantasia  che  è  il mondo del fumetto italiano d’autore.
Stiamo parlando di Davide Barzi,  scrittore, saggista e sceneggiatore di fumetti,  che si presenta ai lettori di Ultima Voce parlando di  lavori vecchi e nuovi, collaborazioni, prospettive e fornendo un’interessante istantanea  dello  stato di salute del fumetto nel nostro paese.

Forse, quando Barzi parla di moltitudine di piccole cose in alternativa ad un apocalittico stop and go, si riferisce, oltre che al recente arrivo di sua figlia,  alle numerose soddisfazioni raggiunte nell’arco degli anni di lunga carriera grazie a lavori di successo, riconoscimenti e al suo impegno costante per la diffusione e la vitalità di un’arte, quella del fumetto; anche  attraverso la direzione di eventi dedicati agli amanti del settore come l’esposizione dedicata a  Gino Marchesi “L’uomo che diede un volto a Eva Kant”, ovvero la prima esposizione, dopo quasi cinquant’anni dalla nascita della collana, delle primissime tavole di Diabolik .

* Davide Barzi – PostCardCult – Blog Ufficiale *

Sempre grazie alla passione per la storia del fumetto, Davide Barzi si è speso in passato per lavori come Le Regine del Terrore ( Edizioni BD 2007) che, come svela il sottotitolo di copertina, riporta la vita e le vicende di Angela e Luciana Giussani, le due ragazze della Milano bene che inventarono il personaggio di Diabolik, oppure come Carta canta – I fumetti nella musica, la musica nei fumetti (Cartoon Club 2002) – realizzato assieme a Stefano Gorla e Paolo Guiducci e che racchiude una selezione di interessanti esperienze e documenti, testimonianze dell’incontro e della compenetrazione negli anni di due universi ricchissimi quali quello musicale e quello del fumetto.
Sarà proprio grazie a questo lavoro che vincerà, nel 2003, il Premio Franco Fossati per il miglior saggio nazionale dedicato al tema del fumetto.




Oltre a questi grandi lavori è probabilmente l’attività di sceneggiatore che lo vede maggiormente impegnato.
Sono  numerose infatti le  realizzazioni di prestigio alle quali Barzi si dedica e che spaziano da opere quali Don Camillo a fumetti (ReNoir Comics, dal 2011) nel quale vengono presentati gli adattamenti di tutti i racconti della famosa saga ideata  dall’autore Giovannino Guareschi, oppure No Name (serie del 1997 pubblicata per i primi due numeri dall’editrice Epierre e per i successivi dalle Edizioni IT e oggi raccolta in volume da Cut-Up Publishing) che, narrando le gesta di un aspirante supereroe giapponese piuttosto maldestro e sfortunato, rappresenta per Barzi, e per il disegnatore Oskar il proficuo esordio nel mondo del fumetto. Grazie a No name, infatti, i due autori vinceranno il Premio Pierlambicchi e lo speciale riconoscimento per la migliore storia umoristica.

* Davide Barzi – ReNoir COMICS *

 

Don Camillo

Tra I traguardi piu importanti della carriera si annovera, nel 2013, l’approdo alla prestigiosa casa editrice Sergio Bonelli Editore, colosso del settore in Italia che può contare sulla pubblicazione di collane di successo come Tex, Zagor, Dylan Dog, Lilith e molti altri titoli seguiti da numerosi appassionati. Per la Bonelli editore, dopo aver sceneggiato inizialmente le storie del personaggio  Nathan Never, un agente speciale in futuro fantascientifico, Barzi si cimenta anche con l’intramontabile Dylan Dog, il celebre indagatore dell’incubo sempre attorniato da demoni e avvenenti donne, e Dampyr, titolo anch’esso molto amato dai lettori e che racconta delle avventure di un valoroso vampiro sangue misto dei giorni nostri, continuamente impegnato in una interminabile lotta contro il male.

Tra le sue opere più recenti segnaliamo inoltre i personaggi Josif (un gorilla cosmonauta nell’URSS dei tardi anni Cinquanta) e Jorge Sanchez e Dragon Li, editi da It Comics  e narrante le vite di uno sfasciacarrozze e di un drago un po’ particolare che secerne sostanze allucinogene al posto del più comune fuoco e che e quindi ricercato dai cartelli di narcotrafficanti.

Sono dunque molteplici gli argomenti che posso essere toccati quando si intervista un fumettista come Davide Barzi. Piacevolmente si scoprono nuovi lavori e progetti che catturano facilmente l’attenzione dei tanti appassionati della materia.

Da dove è nata l’idea de “Il ritorno di No Name”?

Innanzitutto, noi non ci siamo mai dimenticati di questo personaggio, che però è uscito in tutt’altro mercato. Ormai le cose si bruciano con una tale velocità che lavori usciti quindici anni fa sono ormai del tutto nuovi per le nuove generazioni di lettori e, quindi, aspettavamo solo l’occasione per presentare quelle storie in una nuova veste editoriale, visto il rinnovo di mercato.

In quegli anni, il racconto uscì in albetti spillati ed era una tipologia di pubblicazione che funzionava. Oggi il mercato si sta spostando un po’ più sulle librerie, per cui aspettavamo un editore che realizzasse un’edizione completa, brossurata, in grado di stare bene a scaffale: ci è arrivata questa proposta di Cut-Up Publishing, che ha lavorato molto bene sul recupero dei materiali e ha realizzato davvero un bell’ogetto. Siamo molto contenti, finalmente, di avere un solo libro che raccoglie tutto quello che avevamo realizzato tra il ’98 e il 2003, ma con una copertina inedita.

Parliamo invece di Don Camillo e della satira nei confronti degli apparati e della modernità.

Il punto di vista di Guareschi nel dopoguerra era abbastanza critico sul “nuovo” che avanzava. Era una persona nata e che aveva vissuto in provincia; aveva conosciuto la città lavorando a Milano, ma comunque, alla fine, aveva ritrovato il suo buen retiro in provincia.

Avendo anche io vissuto sempre in provincia, ho un percorso che in qualche modo mi accomuna molto a lui e sento abbastanza mio tutto il discorso sull’attaccamento alla terra, a valori per così dire arcaici, eppure solidi e mi sembra anche un tipo di messaggio che, tutto sommato, funziona ancora oggi:  le vendite, in tal senso, sembrano attualmente darci ragione. E’ curioso come un’opera che vanta così tanto la parola ‘provincia’ sia riuscito a spopolare in Francia, in Germania, in Corea del Sud. Mi vien da pensare che sia proprio come diceva Tolstoj: „se vuoi raccontare una cosa universale, devi raccontare del tuo paese“. E’ originale che un fatto del dopoguerra italiano, di una piccola provincia emiliana, piaccia ancora così tanto anche nel resto del mondo.

Spostandoci su un discorso un po’ più personale, come hai iniziato questo lavoro?

Beh, diciamo che non è iniziato come un lavoro… ma che lo è diventato. E’ sempre stata una mia passione: ricordo un episodio di quando avevo all’incirca 8 anni: ero alle scuole elementari e l’insegnante di religione mi ritirò un albo a fumetti che stavo autoproducendo, ritagliando un quadernetto. Insomma, l’ho sempre fatto. Ho sempre letto e scritto… a suo tempo ho anche disegnato, ma è una cosa che ho poi abbandonato.

Ad un certo punto, una ventina d’anni fa, ho trovato dei „pazzi furiosi“ (detto con tutta la riconoscenza del mondo, davvero!) che hanno pensato che mi si poteva anche pagare per fare ciò che amavo e da lì è diventata una professione.

Il tipo di scrittura che utilizzi necessita di una struttura più matematica rispetto ad una scrittura ordinaria. Quali consigli puoi dare ad una persona che vuole approcciarsi o migliorare in questo tipo di lavoro? 

Sì, è un tipo di scrittura molto tecnica/matematica. Esistono delle scuole, che frequentai anche io a suo tempo, ma sicuramente leggere e desumere le tecniche dagli autori che piacciono è una cosa che aiuta molto.

E’ un tipo di scrittura piuttosto meccanica, perché ha uno script funzionale al lavoro del disegnatore, per cui deve essere molto dettagliata: bisogna riportare ogni “movimento di macchina” (per usare il lessico cinematografico), la scelta di regia e di inquadratura, le soluzioni di story-telling… Sono tutti elementi che hanno una loro chimica, quindi anche se hai una storia ‘dentro’, magari non riesci a raccontarla con il giusto ritmo e, di conseguenza ,non riesci a passare le emozioni desiderate. C’è sicuramente molto lavoro dietro e una tecnica che va affinata.

Hai qualche progetto in corso di cui puoi parlarci?

In questo momento, sto lavorando in parallelo ai prossimi tre numeri di Don Camillo: è una serie che funziona e che ha richiesto un ampliamento dello staff di disegnatori. A dicembre, invece, dovrebbe uscire una mia storia per la collana “Le Storie” della Sergio Bonelli Editore e, sempre per la stessa casa editrice, sto lavorando alla mia prima storia di Dampyr (un ibrido tra un umano e un vampiro, n.d.r.).

Un’ultima curiosità: c’è qualche riferimento che vuoi fare per quanto riguarda la tua ultima biografia?

La biografia di Giacinto Facchetti, che ho scritto per Edizioni BeccoGiallo con Paolo Maggioni e intitolata “Giacinto Facchetti: il rumore non fa goal” è una delle ultime cose che ho fatto e di cui sono particolarmente contento.

Infatti, una delle tante cose che da anni volevo raccontare è un’altra delle mie passioni … ossia l’Inter. Essendo io un uomo di altri tempi, ho questa idea romantica del calcio che ormai fa un po’ ridere pensando allo sviluppo contemporaneo dell’arte pedatoria. Non ho mai trovato, però, lo spunto giusto per svilupparla. Poi, ad un certo punto, è arrivato l’editore BeccoGiallo, con in mano questo bel soggetto: il giornalista Rai Paolo Maggioni aveva una storia bellissima da raccontare, serviva solo qualcuno che tecnicamente la trasformasse in una sceneggiatura per fumetti. E così la storia che non trovavo è arrivata da sola, ha bussato alla mia porta e io ho dovuto solo aprirle. Questo libro, di cui siamo molto contenti, racconta un po’ il calcio come metafora della vita.

In effetti, guardando i calciatori di oggi qualcuno potrebbe pensare “ma di cosa sta parlando?”; assicuro, però, che leggendo il libro viene fuori questo aspetto più sentimentale del calcio e, se forse si guarda con più attenzione, c’è ancora oggi… anche se si fa un po’ più fatica a trovarlo.

    Isabella Rosa Pivot

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