Abbiamo parlato con Francesco Colangelo, regista di “Once (in my life)”: sentite cosa ci ha risposto!
Un regista promettente, un cast stellare, una sceneggiatura innovativa, una comicità folle e un pizzico di intrigo. Se mescoliamo tutti questi elementi, vedrete che ne verrà fuori un ottimo impasto. Stiamo parlando di “Once (in my life)”, ultima fatica del regista Francesco Colangelo. Un film che speriamo di vedere presto nelle sale cinematografiche di tutta Italia, di cui sono appena terminate le riprese.
Come dicevamo, oltre all’ottima idea di base che sorregge il film, ad impreziosire questa pellicola ci sono attori di spessore come Alfio Sorbello, Nino Frassica, Stella Egitto e Giorgio Colangeli.
Abbiamo intervistato per voi il regista Francesco Colangelo, per saperne di più sul film.
D: Partiamo dall’idea che sta alla base del film: la vita oltre la morte. Lei crede nell’aldilà?
R: Credo certamente in un enorme “Mistero” che ci sovrasta. Sento che facciamo parte di una realtà di cui non conosciamo se non una minima parte. Ho la sensazione che il nostro livello di consapevolezza universale sia ancora agli albori e che fede e scienza abbiano un terreno comune ed indissolubile su cui indagare: ciò che c’è oltre quel poco che sappiamo dell’enormità che ci circonda, in tutte le direzioni spazio-temporali della conoscenza.
D: Il personaggio di Tonio, interpretato da Alfio Sorbello, è un comune ragazzo dei giorni nostri, afflitto da pensieri, preoccupazioni e dalla proverbiale superficialità dei ragazzi della sua età: pensa che molti ragazzi si trovino in questo stato oggi?
R: Penso che i ragazzi del nostro tempo vivano un’enorme e diffusa difficoltà sociale. Morte le ideologie che, nel bene o nel male, erano poli attrattivi della socialità e della morale, i ragazzi si trovino oggi ad affrontare la sfida del credere in qualcosa di più alto del solo mondo che crea esclusivamente denaro. Questa corsa all’arricchirsi non può essere in nessuna misura sufficiente a compensare la profondità dell’animo e la sete di conoscenza che abbiamo dentro di noi. Da qui la difficoltà a riconoscersi e ad avere un proprio ruolo nel mondo che non sia solo espressione della propria capacità di creare denaro ma che rappresenti la nostra ricerca profonda di cosa siamo e di cosa possiamo illuminatamente diventare.
D: Fondere due generi così distanti fra loro, come il sovrannaturale e la classica commedia, dando vita ad una “black comedy” è stato molto impegnativo?
R: No, affatto. È stato naturale e spontaneo. Abbiamo una grande tradizione in Italia di Black Comedy. Film come “Crimen” o “Mafioso” ad esempio erano black comedy e sono stati film che per la loro capacità di giocare con le sensazioni altalenanti ed apparentemente contraddittorie che suscitavano, mi hanno da subito affascinato. Ho cercato di ripercorrere a modo mio questo filone narrativo, così affine a me e ai miei gusti, e che ora vedo riflesso nella grande produzione seriale americana. Un esempio per tutti: “Fargo – La serie”.
D: La pellicola sembra girare molto intorno al ruolo del destino, cosa che è amara e dolce allo stesso tempo. Lei pensa che il destino non possa essere in ogni caso riscritto?
R: “The future is unwritten” (Il futuro non è scritto) è il titolo di un meraviglioso documentario di Julien Temple su Joe Strummer, leader della punk-rock band britannica dei Clash e manifesto del movimento Anarchico. Io credo esattamente in questo, in un universo che genera continuamente versioni alternative di sé a seconda delle scelte che poniamo in essere continuamente o delle azioni mancate. “Once (in my life)” parla esattamente di questo: cosa succederebbe se Tonio, il Protagonista, avesse fatto una scelta anziché un’altra? La forza “seriale” della nostra storia sta nel proprio nel fatto che al nostro protagonista non viene offerta solo una seconda… ma infinite opportunità di riscrivere il proprio futuro.
D: Nel cast figurano nomi di spessore, citiamo fra tutti Nino Frassica e Giorgio Colangeli: si sono sentiti a proprio agio nel ruolo interpretato?
R: Ho avuto la fortuna di poter lavorare con un cast di assoluto livello. Oltre il protagonista, Alfio Sorbello, ho lavorato con questi nomi eccelsi del panorama italiano a cui vorrei aggiungere la grandissima attrice Lorenza Indovina. A questi mostri sacri della recitazione si sono poi ulteriormente aggiunti attori emergenti di primissimo piano come: Stella Egitto, Silvia Mazzieri, Katia Greco, Nicola Nocella, Giulia Pagnacco ed altri che, con la loro presenza hanno aggiunto un tocco di freschezza al nostro film. Avevo scritto i vari ruoli immaginandoli cuciti addosso agli interpreti ed è stato bello costatare, quando poi sono andato a proporli ai vari interpreti, che calzavano loro a pennello e che gli attori accettavano con entusiasmo di interpretarli. Attori di questo calibro sono a loro agio con qualunque ruolo ed aver potuto dirigerli su personaggi creati dalla mia fantasia è stato per me molto divertente oltre che un assoluto privilegio.
D: Al di là dei frequenti sprazzi di comicità, la pellicola nasconde un significato più intimo e profondo. Lo vuole spiegare?
R: Tonio, il personaggio protagonista, ha la possibilità di porre rimedio ad un fatto doloroso (rimango vago per non svelare troppo della storia). Ma più egli cerchi di risolvere il “guaio” più scopre di porre in essere inevitabilmente le basi affinché tutto avvenga. Alla fine della storia si ritrova, senza nessuna consapevolezza, al punto di partenza ma gli eventi saranno stati modificati quel tanto che basta per far sì che ciò che abbiamo appena visto non possa accadere più. Ogni successivo episodio possibile, dunque, crea l’aspettativa della contraddizione del “nuovo destino ineluttabile” a cui il protagonista va incontro. Con questa storia dall’andamento ciclico e temporalmente circolare voglio parlare del fatto che la consapevolezza di essere causa dei nostri mali non sempre è sufficiente a risolverli. Credo fortemente nel fatto che i legami affettivi e sentimentali vissuti in modo leggero e positivo creino la rete di protezione per i nostri piccoli ed inevitabili umani errori e che, allo stesso tempo, forniscano una reale opportunità di riscrivere in modi sempre migliori e più costruttivi il nostro futuro. Amore per se stessi certo, ma anche comunicazione e amore per gli altri come terapia alla predestinazione. In altre parole: è l’Amore che cambia e riscrive ogni volta il nostro destino.
D: Perché il pubblico dovrebbe vedere “Once (in my life)”? Che stati d’animo potrà trasferire la pellicola alla gente in sala?
R: Io spero che “Once (in my life)” faccia innanzitutto ridere e divertire. Non è compito di chi scrive storie quello di insegnare nulla. Il nostro compito è quello di raccontare storie e di evocare scenari e personaggi che dal mondo della fantasia diventino reali compagni di viaggio. Poi ogni spettatore, se raggiunto efficacemente dalla narrazione, potrà eventualmente elaborare le informazioni ricevute e trarne ogni insegnamento che desidera. Ma io spero davvero che la sensazione che lo spettatore potrà portare a casa sia quella di aver assistito ad una storia divertente ed umana nell’accezione più ampia possibile. Tornare a casa con una storia nuova dentro di sé e con l’allegria di averla vissuta insieme ai personaggi protagonisti è una sensazione magnifica che solo il cinema e il teatro di qualità sono capaci di creare e riprodurre ogni volta.
Ringraziando questo stupendo artista, non ci resta che attendere con ansia il film “Once (in my life)”, una black commedy che esce fuori dagli schemi e che riesce ad essere innovativa e sprezzante. Supportata da un cast di qualità e dall’ottima regia, siamo sicuri che sarà un successo senza fronzoli: mirato, deciso e che, sicuramente, ci farà sentire con il cuore un pò più leggero.
Antonio “Parzival” Venezia