Annabella Coiro è esperta in comunicazione generativa nonviolenta, si occupa di formazione docenti e genitori e di ricerca sulle relazioni educative. È curatrice e co-autrice del libro “Scuola Sconfinata. Per una rivoluzione educativa”, pubblicato da Fondazione Feltrinelli e disponibile online. Ha fondato la Casa delle Donne di Milano e il Centro di Nonviolenza Attiva, dove ha dato il via all’esperienza nelle scuole milanesi di Edumana.
Incontro in rete Annabella alla giornata dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole dal titolo La Scuola va alla guerra: comprendere i conflitti, educare alla pace. Interviene alla fine di una mattinata densa di notizie allarmanti e riflessioni profonde. Ci racconta di Edumana, un progetto concreto di educazione alla nonviolenza nelle scuole di Milano, una rivoluzione educativa che mette l’umanità al centro e sostiene il soggetto educante a compiere la scelta di adottare la nonviolenza nelle relazioni.
Da dove nasce la tua esperienza?
Sono stata volontaria per tanto tempo in associazioni che si occupavano di portare la nonviolenza nelle scuole. Quando 19 anni fa sono diventata mamma e mio figlio ha iniziato la scuola mi sono detta: Houston abbiamo un problema. Violenza, discriminazione, i dati erano sempre più allarmanti. Con docenti, dirigenti scolastici ed educatori ci siamo messi insieme per riprogettare la scuola: abbiamo capito che era sempre più necessaria un’educazione alla nonviolenza che fosse pratica, relazionale. Così nel 2017 è nata Edumana, una rete composta da istituti scolastici, associazioni no-profit ed enti territoriali a sostegno della scuola pubblica statale.
La nonviolenza e la cultura del dialogo
Annabella mi racconta come a Edumana siano partiti da una riflessione sulla parola stessa e sull’importanza di scriverla in maniera univerbata.
È per dare un messaggio esplicito, vogliamo mettere in luce la pratica attiva della nonviolenza. Aldo Capitini diceva che “se si scrive in una sola parola, si prepara l’interpretazione della nonviolenza come di qualche cosa di organico e, dunque, come vedremo, di positivo. (1967, Le tecniche della nonviolenza)”.
Non è solo l’opposto della violenza, bisogna far vivere l’esperienza di una comunità nonviolenta in classe. A volte si insegna la nonviolenza con la violenza, è un paradosso ma si fa.
Da tre anni insieme a pedagogisti, studiosi, tecnici della nonviolenza Edumana porta avanti la progettazione di una pratica per realizzare la nonviolenza nelle scuole. Insieme a docenti, dirigenti, personale ATA e genitori di bambine e bambini tra i 6 e i 15 anni, ragazze e ragazzi tra i 16 e i 18 anni si modificano forme e contenuti. La ricerca è continua, ma ha dato risultati sorprendenti. Viviamo in una società in cui prevale il pensiero dicotomico, in cui quando si parla prevale spesso il desiderio di avere ragione, non di comprendere realmente il punto di vista dell’altro. Ma questa è la strada per trasformare creativamente i conflitti.
La cosa che nella scuola lamentano tutti nello stesso modo è l’ascolto.
I ragazzi si lamentano che gli adulti non li ascoltano, i docenti si lamentano che i ragazzi non ascoltano, che i genitori non ascoltano, i genitori dei ragazzi e dei docenti. È un continuo non ascoltarsi.
Quindi che si fa? Si pensa che comunicare significa parlare, che il dialogo sia parlare con l’altro. In realtà il primo punto della comunicazione è l’ascolto, ascoltare non solo l’altro, ma ascoltare anche se stessi. Come sto? Come sta l’altro? Con che cuore, con che intenzione gli sto parlando?
La pratica per portare la noviolenza attiva nelle scuole
La pratica di Edumana si concentra molto nella fase precedente al dialogo. Quello che dirai c’entra molto con che cosa hai fatto prima, spesso viviamo situazioni emotive che condizionano le nostre relazioni e non ci permettono di avere relazioni davvero umane con gli altri. Quindi se vogliamo costruire relazioni e azioni nonviolente è importante essere in grado di auto rivelarci, mettendo in campo le nostre emozioni e i nostri interessi per riuscire a entrare in sintonia con l’altro. È la lezione insegnata da Pat Patfoort, antropologa e biologa belga convinta sostenitrice della possibilità trasformativa dei conflitti. È una delle madri costituenti di Edumana.
Gli automatismi nelle relazioni
Pat Patfoort svela come sia negli automatismi che si genera la prevaricazione: se tu non lasci spazio per la risposta, la tua risposta sarà una risposta automatica.
Siccome la nostra modalità di rispondere è una modalità dicotomica, io ho ragione, tu hai torto, io vinco, tu perdi, questa modalità relazionale genera un rapporto maggiore e minore che fa in modo che l’altro mi dia una risposta ugualmente prevaricante, reagisce. Invece bisogna ascoltarsi, ascoltare l’altro per comprendere i valori profondi nostri e degli altri. Se non rompi questo meccanismo il dialogo rimarrà freddo e tecnico senza uscire dalla polarizzazione.
La regola d’oro di Cobos
Un altro punto di riferimento della comunità di Edumana è la regola d’oro di Mario R. Cobos.
Mario R. Cobos durante il suo discorso ai Premi Nobel per la pace del 2009 affermò che “il principio morale di un mondo nonviolento è: Tratta gli altri come vorresti essere trattato”. Quindi, se io desidero essere trattato con bontà, indipendentemente da come tu mi tratti, io posso trattarti con bontà, cioè partire da lì. Posso accettare l’altro per quello che è, non per questo devo essere d’accordo con l’altro, questo è un punto fondamentale.
È l’etica della reciprocità. Vivere questo nella scuola e trasmetterlo agli allievi è fondamentale. Invece la scuola è ancora troppo costruita sul giudizio, come i famosi test invalsi che molti docenti lamentano come un’ennesima pratica per etichettare e dividere gli studenti. Come se la scuola andasse sempre più nella direzione di formare lavoratori e non cittadini. Per contrastare il virus del dominio, come lo chiamava Danilo Dolci, un altro pilastro della pratica di Edumana, è la maieutica reciproca: ovvero chiedere, esplorare, creare in modo condiviso.
Con Edumana partiamo dall’uso dello spazio, ci sediamo in cerchio, si chiama CERCHIO DEL DIALOGO. Un’altra pratica che ha avuto molto successo è l’EDUCAZIONE ALLA PARI, dove i ragazzi delle scuole superiori si autoformano sulle pratiche nonviolente in modo cooperativo per poi andare a formare i compagni del primo anno.
Annabella mi racconta che non è tutto rose e fiori perché mettersi in discussione per gli insegnanti e i genitori non è sempre facile, in qualche maniera devono rinunciare a un pezzo del loro potere, ma ne vale sempre la pena. Le possibilità che si aprono di dialogo, cooperazione, benessere sono contagiose. Poi ci sono anche i docenti che vorrebbero fare qualcosa di più, ma non hanno il sostegno della scuola e si sentono isolati nel loro desiderio di cambiamento. Per questo Edumana sta creando una comunità di pratica di educazione nonviolenta che inizierà a settembre e darà la possibilità ai docenti della scuola pubblica statale di formarsi.
Quella possibilità la deve dare la scuola pubblica. Costruire insieme percorsi di nonviolenza nelle scuole è contagioso. Quando vedono che i ragazzi stanno bene si contagia.
Annabella mi racconta che una delle parole che usano più spesso ad Edumana è UBUNTU che significa: Io sono perchè noi siamo.
Ovvero l’interdipendenza degli esseri umani: come una rete da pesca. Se ha un buco, non si può più pescare. Si va tutti a riparare quel buco in modo che si possa pescare di nuovo.
Federica Sozzi