Nelle settimane del Coronavirus, l‘informazione si è dovuta confrontare necessariamente con il mondo scientifico. Sulle pagine dei giornali sono comparse teorie, studi, interviste e dichiarazioni di esponenti del mondo medico. Eppure, la comunicazione mass mediale ha ricevuto spesso delle critiche circa il processo di selezione delle notizie scientifiche. In questo, probabilmente, c’entra anche la consultazione degli articoli presenti dalle riviste scientifiche.
Stefano Finazzi è a capo dell’Unità Statistica e Fisiologia Matematica dell’Istituto Mario Negri di Bergamo, una struttura di ricerca no profit che in queste settimane è fra le più attive per la ricerca di un vaccino per combattere il Coronavirus. Per ribadire l’importanza dell’autorevolezza delle fonti mediche, ci siamo fatti spiegare che cosa significa “pubblicare uno studio medico su un’apposita rivista”.
1) Prima di essere pubblicato sulle riviste scientifiche: come si redige un articolo relativo a uno studio? Che tipo di lavoro c’è dietro?
Ci può essere una partecipazione molto varia: ad alcuni lavorano in molti e ad altri in pochi. Se lo studio è molto importante, non tutti danno lo stesso tipo di contributo. Generalmente, nel team c’è chi si occupa della ricerca medica, quelli che lavorano come statistici (analisi e tabelle, ndr), altri che sono specializzati nel design del progetto medico. In tante riviste si trova una descrizione del contributo dato da ciascun redattore.
L’articolo è la parte finale di un lavoro a cui partecipano persone che non lavorano direttamente all’articolo, ma che danno il proprio contributo. C’è una prassi da seguire. Ad esempio: noi ci stiamo occupando di alcuni studi retrospettivi su dei centri colpiti dal Coronavirus. Noi raccogliamo i dati, essi vengono diffusi tra i centri partecipanti – come il nostro – e si controllano i dati per verificare che non ci siano incongruenze, ma già prima di lavorare sappiamo cosa cercare.
Quando si compie un lavoro simile, si deve partire da una domanda preimpostata, cioè devo sapere quello che voglio cercare, quindi decido quali sono i dati che devo andare a raccogliere per rispondere a questa domanda. L’impostazione di un articolo è composta da un’introduzione, in cui si spiegano le motivazioni del lavoro, una sezione metodologica in cui si parla delle tecniche utilizzate – ad esempio, quali basi statistiche e con quali criteri di selezione si è lavorato. Poi si elencano le variabili raccolte, e infine, si spiega come è stata svolta l’analisi (esempio, vengono analizzate le caratteristiche dei pazienti e quali sono i risultati della ricerca). E’ fondamentale poi la parte dei limiti, ossia la fase di precisazione in cui vengono pubblicate le parti dello studio più deboli o che potrebbero essere fallaci. In pratica, includere le critiche già nel testo dello studio.
2) Quali sono gli step da superare per arrivare a pubblicare un articolo sulle riviste scientifiche?
Una volta scritto l’articolo viene inviato a una rivista, i cui editor iniziano a studiarlo. Se scelto, viene mandato a un team di esperti che poi si occuperanno della fase di review, cioè un certo numero di persone che varia da rivista e rivista. Queste devono svolgere un report sull’articolo. Il report risponde ad alcune domande standard a risposta chiusa, tipicamente sulla rilevanza scientifica o sulla chiarezza dell’articolo, e successivamente, si redige una fase più libera di interpretazioni con un commento generale sui problemi dell’articolo – sia macro che micro problemi. Tutte queste informazioni sono poi rimesse insieme dall’editor che decide come procedere: chiede eventualmente di fare determinate modifiche, major o minor, in base all’entità della correzione.
3) Qual è la differenza fra uno studio che passa su una rivista medica ufficiale e uno che, invece, rimane in un preprint?
Il preprint non ha ancora passato tutte le fasi di revisione di una rivista scientifica, quindi non ci sono state le interazioni con gli editor. Queste riletture, va detto, portano via molto tempo. Ci terrei a dire che con il preprint, ad esempio, ci sono diversi approcci in base al settore. Il settore medico è un campo molto complesso e ci si fa molti più scrupoli. Il preprint in ogni caso può essere anche un bene, perché si riducono i tempi di attesa della pubblicazione di uno studio, e quindi renderlo subito esplicito. Nelle riviste ci sono invece molte più verifiche, e i tempi, necessariamente, aumentano anche di molto. Rischio di correre troppo? Si, purtroppo è così. In ogni caso, anche nella medicina, a volte la fase di review viene accelerata.
4) Quali sono i rischi nel divulgare uno studio che non è stato (ancora) pubblicato su una rivista scientifica?
In assenza di certe revisioni è normale che ci sia la possibilità di qualche errore. La cosa più importante è controllare che la metodologia sia buona e rigorosa. In sostanza, quando si legge un articolo medico non si dovrebbero guardare solo i risultati. Ovviamente, leggendo uno studio su una rivista medica, ci si aspetta che sia tutto in ordine, ma anche nelle riviste possono esserci degli errori. Per questo il lettore dovrebbe avvicinarsi in modo critico anche alle stesse riviste mediche. E purtroppo succede: non faccio nomi, ma anche di recente, in merito al Coronavirus, ho letto degli articoli su alcune riviste importanti che presentavano qualche aspetto problematico. Ad esempio, su alcuni di questi i limiti non erano spiegati bene. Serve un bilanciamento tra dare le informazioni il prima possibile e dare molto precise, e visto che è molto complesso unire le due cose, è giusto pubblicare in tempi brevi ma che ne vengano riconosciuti i limiti.
5) Dottor Stefano Finazzi, lei pensa che la stampa abbia commesso degli errori nella pubblicazione di certe teorie mediche sul Coronavirus?
Uno degli errori più grandi riguarda un aspetto culturale: pensare che la scienza abbia una certa uniformità di risposta. Si crede che nella medicina sia tutto chiaro e definito, ma non è così. le teorie scientifiche procedono per gradi, si limano un po’ per volta partendo da dei dati iniziali. Il lavoro scientifico non è singolo, come si pensa nell’immaginario comune, ma è un processo che accorpa tanti lavori che interagiscono fra loro. Così si costruisce una visione organica di un problema. E per questo, adesso con il Coronavirus, non si può pretendere di avere una visione completa della realtà: perché è un problema nuovo. Anche i virologi hanno tante opinioni diverse, e questo perché la scienza si compone di tante visioni che non sono realtà assolute. Queste sono solo conclusioni e teorie che appartengono ai singoli medici.
L’errore più grande da questo punto di vista è pubblicare le opinioni di singoli medici o virologi come messaggi assoluti, e così si crea ambiguità. La cosa migliore sarebbe far capire che il dibattito scientifico non è un dibattito politico, sono posizioni dovute a una conoscenza insufficiente del problema, che tiene conto dei dati che cambiano. Non ci sono ancora abbastanza studi per avere le idee chiare. Ci sono ovviamente anche informazioni passate scorrette e che non evidenziano i limiti degli studi. Forse la soluzione, dico, sarebbe non passare così tante informazioni in così poco tempo. Magari raccogliere più posizioni e discuterle in un solo ambito mediatico, come un inserto o un programma televisivo apposito, cercando di non tagliare i messaggi.
Riccardo Belardinelli