Nel suo libro 2100. Come sarà l’Asia, come saremo noi, Simone Pieranni offre un’analisi approfondita di un continente in continuo cambiamento, esplorando tematiche come la sostenibilità, l’innovazione tecnologica, le trasformazioni sociali e le sfide politiche in Asia. L’autore, giornalista di Chora Media e fondatore di China Files, in 2100 racconta l’evoluzione asiatica non solo attraverso la lente delle grandi istituzioni, ma ponendo al centro le persone, le loro esperienze quotidiane e le tensioni che attraversano la società. In questa intervista, ho avuto il piacere di approfondire con l’autore alcune delle principali tematiche di 2100 e scoprire come l’Asia stia plasmando il nostro futuro comune.
La verità sulle differenze tra Oriente e Occidente raccontata in 2100
In 2100 affermi che in Occidente l’idea comune che si ha dell’Asia è quella di un luogo arretrato, composto da persone scarsamente affidabili, solitamente governato da despoti poco avvezzi alla democrazia e ai diritti umani. Come si è formata quest’idea dell’Asia e che influenza ha sull’impatto globale che potrebbe avere in futuro?
Quest’idea dell’Asia arretrata si è formata soprattutto durante il periodo coloniale e la conseguenza è quella di ritenere marginale una zona del mondo che invece, via via, negli ultimi tempi è diventata sempre più centrale. Ti faccio un esempio: di recente l’Indonesia è entrata nei BRICS Plus e ho visto molti commenti che, a mio avviso, sottovalutavano questa cosa. L’Indonesia è la settima economia del mondo ed è uno dei paesi più popolosi al mondo. Insomma, questa sovrastruttura, se vogliamo ideologica, ci fa percepire poco, ancora oggi, la rilevanza di un continente che invece sarà sempre più importante, non solo da un punto di vista economico, ma ormai anche dal punto di vista degli equilibri internazionali.
In 2100 parli di come l’Occidente e l’Oriente siano visti come due concetti astratti che servono a rafforzare una separazione e una contrapposizione tra “noi” e “l’altro”, un concetto che contribuisce a far percepire l’Asia ancora più distante dalla realtà occidentale. Come si è formata questa contrapposizione e che forma ha oggi? È diversa da quella del passato? E come è vissuta in Asia?
La forma che ha oggi è quella che tende a identificare questi due luoghi come luoghi al centro di uno scontro di civiltà, identificando principalmente l’Oriente con la Cina. Quindi siamo in una posizione che, in realtà, non è molto diversa da quella del passato da un punto di vista ideologico, se non fosse che non siamo più in un periodo durante il quale l’Asia è colonizzata, ma ormai è formata da Stati indipendenti che hanno sempre più rilevanza economica e politica a livello internazionale.
Questa contrapposizione, in Asia, è vissuta in diversi modi: è vissuta come uno spirito di rivalsa da parte di molti asiatici nei confronti di paesi che hanno sempre visto come quelli dominanti, ma anche come paesi ai quali ispirarsi. A mio avviso, c’è un rapporto un po’ duplice: da un lato di rivalsa, dall’altro di rincorsa nei confronti di paesi che venivano visti come più avanzati. Quasi come se quell’apporto ideologico che voleva un Occidente sviluppato e un’Asia sottosviluppata, avesse convinto anche gli asiatici.
E quindi c’è la capacità di ricordare il periodo coloniale in Asia, e di sicuro le élite politiche di molti paesi asiatici utilizzano questa contrapposizione in funzione antioccidentale per fomentare anche un nazionalismo interno e uno spirito di rivalsa che viene stuzzicato soprattutto dalle élite politiche.
Io credo che, invece, quando si esaminano bene le società civili, ci sia in realtà un senso di rispetto nei confronti dell’Occidente e una volontà di arrivare a un livello alto – in termini di sviluppo, progressione economica e dei diritti – così come è considerato quello occidentale. Come al solito, siamo all’interno di una situazione nella quale abbiamo una sorta di narrazione del potere e una narrazione delle società civili, e io credo che la seconda sia decisamente molto più interessante.
Nel contesto globale contemporaneo, la separazione tra l’Oriente e l’Occidente appare sempre più sfumata. Come ci spiega l’autore in 2100, la verità è che le sfide e le preoccupazioni che definiscono la vita dei giovani asiatici sono incredibilmente simili a quelle dei loro coetanei occidentali:
In 2100 affermi che l’Asia sia spesso descritta come misteriosa ed esotica, come un luogo fin troppo diverso da quello occidentale. Tuttavia, la realtà è ben diversa. Come ci spieghi in 2100, la verità è che i giovani asiatici sono molto più simili a quelli occidentali rispetto a quanto lo siano i loro genitori.
In cosa sono più simili a noi al giorno d’oggi? Quali sono quelle condizioni politiche e sociali che ci accomunano?
Questo è il punto più importante di 2100, ed è anche quello da cui sono partito. Quello che oggi ci accomuna è il fatto di vivere in un periodo fondamentalmente di crisi. Si parla molto, per esempio, di policrisi: la crisi ambientale, la crisi politica, la crisi economica, le guerre. I giovani asiatici vivono all’interno dello stesso ciclo di trasformazioni che vivono anche i nostri: il riscaldamento globale non è diverso in Asia rispetto all’Europa o agli Stati Uniti, e l’urgenza delle generazioni più giovani di affrontare questo problema è la stessa.
La consapevolezza di vivere in un mondo in bilico a causa del riscaldamento globale provoca, inoltre, tutta una serie di conseguenze per quanto riguarda riflessioni su temi come il lavoro o come quello delle disuguaglianze di genere. Quindi, come spiego in 2100, credo che quasi su tutti i temi di cui discutiamo qui ci sia una forte convergenza con i temi di cui discutono i giovani in Asia.
Il tema delle aspettative familiari trattato in 2100
L’intervista è proseguita con una riflessione su un altro tema esplorato in 2100: il fenomeno della pressione familiare sui giovani in Cina.
In 2100 ci hai parlato delle aspettative da parte delle famiglie cinesi nei confronti dei figli di sposarsi e mettere al mondo un erede. In questo contesto, in 2100 menzioni il Parco del Popolo, nel quale genitori e nonni vanno per mostrare foto, documenti e curriculum dei propri figli e nipoti per trovare un buon partito.
In che modo le giovani generazioni di cinesi rispondono a questa pressione? Credi che questo fenomeno possa essere minato dalle nuove forme di identità familiare che stanno emergendo?
C’è chi accetta certi comportamenti da parte dei familiari e chi, naturalmente, li rifiuta. È comunque qualcosa di fondamentalmente antistorico, se vogliamo, perché ormai anche i cinesi utilizzano le app per trovare partner, così come accade da noi. Mi ricordo che, a un certo punto, LinkedIn veniva utilizzato come se fosse una specie di Tinder.
Chiaramente, tutto questo è collegato anche a nuove tendenze rispetto al genere e a nuove considerazioni sulla questione familiare. Queste si legano, poi, a questioni come il costo dell’educazione dei figli e alla voglia, da parte di molti giovani cinesi, di perseguire una propria carriera lavorativa anziché mettere su famiglia. Con il procedere della società cambiano le abitudini sociali e quindi la prima rottura è sempre quella all’interno della propria famiglia.
2100, capitolo 7: il controllo dell’informazione e della storia
In 2100, nel capitolo dedicato all’informazione, ci parli della prima legge contro le fake news e di come sia vissuto normalmente dagli abitanti di Singapore passare davanti a dei cartelloni che ricordano alla gente di fare attenzione nel diffondere notizie online.
In che misura l’apparente disinteresse per i cartelloni della POFMA riflette una fiducia consolidata nella capacità del governo di proteggere i cittadini dalle fake news, e quanto invece potrebbe essere indice di rassegnazione verso una realtà di controllo pervasivo?
Per quanto riguarda Singapore, credo che non sia stata una sorpresa che il governo si sia arrogato anche la responsabilità di stabilire cosa sia vero e cosa sia falso. Singapore è una città-stato nella quale i criteri di valutazione della vita di una persona hanno più a che vedere con il lavoro, con la ricchezza che non con l’informazione.
Del resto, siamo anche un po’ abituati a questo atteggiamento che non è così distante da quello della maggior parte delle persone qui. Persone che, in realtà, hanno poco interesse per come viene gestita l’informazione, perché chi la gestisce tende a non sottolineare l’importanza dell’informazione rispetto, per esempio, alla tenuta democratica di un paese.
A Singapore questo atteggiamento è lo specchio, tutto sommato, dei tempi. Magari si sa molto di quello che succede nel mercato finanziario, ma interessa molto poco quello che succede in un’arena politica di cui si sanno molto bene i connotati, ovvero comandano sempre gli stessi. Credo che sia una rassegnazione in questo senso: gli interessi sono altri. Ovviamente, non si può generalizzare neanche a Singapore, perché se si va a Little India o a China Town, probabilmente i ragionamenti sono diversi. Ma è una società nella quale, a mio avviso, l’aspetto informativo conta molto meno rispetto ad altri.
In 2100, Pieranni affronta anche il tema del controllo della narrazione storica da parte di Xi Jinping come strumento per legittimare il potere del Partito Comunista Cinese. Il libro analizza come la riscrittura del passato sia utilizzata per rafforzare l’identità nazionale e giustificare le scelte politiche attuali.
In 2100 sottolinei come Xi Jinping utilizzi il “secolo delle umiliazioni” come una narrativa fondante per legittimare il ruolo del Partito comunista. Questo approccio, che enfatizza le sofferenze inflitte dall’esterno e il riscatto ottenuto grazie al Partito, viene descritto come un pilastro del “racconto” ufficiale che il governo cinese cerca di imporre.
Data questa polarizzazione tra colpe “esterne” e meriti “interni”, come influisce una narrazione così semplificata sulla comprensione della Cina contemporanea da parte delle nuove generazioni cinesi? E in che misura questa visione può modellare la loro identità nazionale e la loro percezione del ruolo della Cina nel mondo?
Il problema della Cina è che i giovani non hanno accesso ad altre narrazioni della storia che non siano quelle del Partito Comunista Cinese. Xi Jinping ha portato avanti la terza risoluzione sulla storia del Partito Comunista, dopo che l’avevano fatta solo Mao e Deng. E, come loro, l’ha utilizzata per ufficializzare la sua era, per dare la sua lettura della storia.
E quindi, sai, i cinesi vivono in una situazione nella quale è molto difficile smentire la storia ufficiale scritta dal Partito Comunista. È molto complicato accedere a tutte quelle persone che sono storici, giornalisti, attivisti, documentaristi, filmmaker, che in realtà provano a fare proprio questo.
In questo senso, c’è un libro bellissimo che si chiama Sparks di Ian Johnson, nel quale lui racconta le storie di tante persone che provano, con un lavoro anche oscuro, a ricordare una verità storica che il Partito Comunista, in qualche modo, cerca di occultare.
E quindi, tra le giovani generazioni cinesi, c’è chi se ne frega, c’è chi dà per scontato che il Partito utilizzi tutti gli strumenti per confezionare una sua visione della storia della Cina e del Partito Comunista Cinese, e c’è chi prova, invece, a cercare questi pertugi all’interno della storiografia ufficiale, nei quali ritrovare la verità.
2100, capitolo 8: la sorveglianza e il suo effetto psicologico
In relazione al tema del controllo e della manipolazione della realtà, in 2100 Simone Pieranni ci parla del sistema educativo in Corea del Nord, strettamente legato alla visione ideologica del regime. La scuola, in questo contesto, è uno strumento di potere utilizzato per inculcare la dottrina del Partito dei lavoratori. L’educazione è totalmente filtrata dalla propaganda dei Kim, dove la storia e la realtà sono modellate per giustificare la dittatura e mantenere il controllo.
In 2100, nel capitolo dedicato alla sorveglianza, l’educazione in Corea del Nord è descritta come strettamente vincolata ai dettami ideologici del Partito dei lavoratori. Oltre alla sorveglianza fisica, quali strumenti specifici vengono utilizzati nelle scuole per inculcare l’ideologia del regime?
In Corea del Nord, quello di cui parlavamo prima a proposito della Cina è senza limite, nel senso che la dinastia dei Kim viene presentata di fatto come una specie di dinastia dai caratteri religiosi. Si sono inventati anche le date di nascita di Kim Il-sung, che è il “Presidente Eterno”.
Chiaramente, in Corea del Nord, da un punto di vista ideologico e dell’insegnamento, vige un regime totale. La storia è totalmente raccontata dai Kim, e il resto del mondo viene presentato come una specie di landa desolata, in preda a crisi e guerre. È totalmente impossibile, per moltissimi nordcoreani, arrivare ad altre fonti.
Probabilmente l’élite, la classe media nordcoreana, che ha la possibilità di utilizzare, forse con più tranquillità, tutta una serie di strumenti tecnologici, sa che quello che viene raccontato non è la verità ma, a livello educativo, il controllo è totale.
Quali dinamiche interpersonali emergono all’interno della società nordcoreana quando si considera che un nordcoreano su venti è un “controllore”? In che modo questo sistema di sorveglianza pervasiva che descrivi in 2100 crea una divisione sociale tra la collaborazione con lo Stato e la denuncia tra pari? E qual è l’effetto psicologico di questa “vigilanza reciproca”?
L’effetto psicologico di questa divisione è letale. Il sistema nordcoreano è una sorta di sistema castale, se vogliamo, in cui i gruppi di famiglie sono divisi sulla base della propria origine e appartenenza politica. La vigilanza costante e reciproca è uno strumento attraverso il quale si tiene completamente la società in pugno da parte della dinastia dei Kim.
Questo sistema diventa uno strumento per far vivere in costante apprensione la popolazione e permette anche di utilizzare la delazione nel momento in cui dovesse servire l’eliminazione di qualche soggetto problematico. In realtà, non sappiamo poi nello specifico come funzionino queste cose. Da quello che emerge dai racconti di chi scappa dalla Corea del Nord, si evince che è un sistema capillare in cui alla tecnologia viene affiancata la delazione da parte dei cittadini, per paura, ovviamente.
In 2100, Pieranni esplora anche come le nuove generazioni cinesi si stiano opponendo a un sistema lavorativo che ha storicamente imposto ritmi estremamente intensi. “Come scrivo in 2100, i giovani non vogliono più sottoporsi ai ritmi di lavoro che hanno sopportato i loro genitori o i loro nonni”. In 2100 si evidenzia come questa trasformazione metta in discussione il confucianesimo. Tuttavia, “ciò non porta a un rifiuto dei valori tradizionali cinesi, ma a una richiesta nei confronti del partito comunista di tornare a fare il partito comunista, accusato da molti giovani cinesi di essere un partito capitalista. Si richiede, invece, un ritorno al socialismo, quindi maggiore uguaglianza e una distribuzione migliore del lavoro”.
Verso il 2100: il futuro dei conflitti tra armi digitali e manipolazione globale
Gli ultimi capitoli di 2100 affrontano una riflessione sul contesto delle guerre moderne. I conflitti non si limitano più solo alla superiorità fisica o militare, ma abbracciano anche dimensioni tecnologiche e cognitive. In 2100, Simone Pieranni riflette su come l’uso di tecnologie avanzate, come la Brain-Computer Interface (BCI), potrebbe trasformare la guerra stessa:
In 2100, nel capitolo dedicato alle tecnologie ci parli di come la BCI potrebbe trasformare il concetto di “guerra intelligente” attraverso il controllo diretto della mente dei soldati o il potenziamento delle loro capacità cognitive.
In che modo una “corsa agli armamenti cognitivi” potrebbe cambiare la natura dei conflitti internazionali, creando una nuova forma di superiorità tecnologica che non si limita al dominio fisico ma si estende alle capacità mentali?
Siamo sempre più in mezzo a guerre ibride, nelle quali c’è una differenza molto ampia tra gli armamenti di uno stato e di un altro. Chiaramente, l’intelligenza artificiale permette di fare quello che è un po’ il sogno di ogni governo, ovvero minare l’opinione pubblica di un paese nemico o avversario attraverso la manipolazione dell’opinione pubblica stessa, e questo attraverso i social è importante.
Direi che l’esempio principale al momento proviene dagli Stati Uniti ed è quello di X di Elon Musk. La capacità di manipolare l’opinione pubblica attraverso quel social, insieme alle ingenti somme di denaro che Musk ha dato a Donald Trump – legalmente, visto che negli Stati Uniti si può fare – hanno avuto un forte impatto sull’esito delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti. In questo caso, si tratta comunque di una sorta di lavoro interno ma, allo stesso tempo, Musk che parla con la leader di AfD è un modo, a mio avviso, per influenzare un altro stato.
Chiaramente, Cina e Russia in particolare, vedono queste possibilità come opportunità molto importanti. Quindi, la corsa all’intelligenza artificiale, da questo punto di vista, va sicuramente anche in questa direzione, ma lo fanno tutti. La verità è questa.
In un mondo in cui la BCI potrebbe avere un impatto significativo sulla guerra, sulla politica e sull’interazione umana, quali normative internazionali dovrebbero essere sviluppate per evitare l’abuso di queste tecnologie, in particolare per scopi che vanno oltre la medicina e la ricerca scientifica?
Siamo in un campo completamente inesplorato. Le difficoltà a regolamentare questo tipo di tecnologia proviene dal non sapere cosa succederà domani. E regolamentare significa comunque che più soggetti stabiliscano quelle che sono le regole.
Mettere insieme, a mio avviso, Stati Uniti, Cina ed Europa su tutta una serie di temi non è così semplice. Io credo che, se sull’intelligenza artificiale Cina e Stati Uniti potrebbero arrivare a un compromesso, su questi scenari ancora più futuribili al momento non credo ci sia la possibilità di farlo. Credo che ogni stato cercherà di tenere sotto controllo questo tipo di sperimentazioni. Di fatto, la Cina, da un punto di vista del partito comunista cinese, ha l’esigenza di monitorare tutto ciò che avviene, perché questi strumenti non devono in qualche modo finire nelle mani di chi potrebbe utilizzarli contro il partito comunista.
Quindi, c’è una duplice fase di regolamentazione. Le difficoltà dipendono dal fatto che, probabilmente, oggi come mai nella storia umana, siamo di fronte ad avanzamenti tecnologici di cui non conosciamo l’impatto e i passi successivi, che potrebbero arrivare in tempi brevissimi. Se ci pensi, da quando è venuta fuori la storia di OpenAI e ChatGPT, il progresso e le novità che sono uscite sono tantissime. Da chiedere a una chat: “scrivi l’incipit di un libro con lo stile dello scrittore X”, siamo passati a fare delle foto che mettono effettivamente in discussione il nostro concetto di verità. Viviamo in un’epoca nella quale, quindi, questi temi saranno fondamentali, ma di difficile regolamentazione.
Con 2100, l’autore svela le dinamiche di lavoro, tecnologia e informazione che accomunano giovani asiatici e occidentali, evidenziando come le divisioni tra Oriente e Occidente siano spesso più costruzioni politiche che reali differenze sociali. Le tematiche affrontate in 2100 invitano a spostare lo sguardo dalle strutture di potere alle persone, dalle istituzioni ai movimenti sociali. L’autore ci invita a superare una narrazione che riduce l’Asia a un blocco monolitico di regimi autoritari e successi economici e che, così facendo, trascurano le voci di coloro che ne vivono le contraddizioni quotidiane.
Elena Caccioppoli