Intervista a Raimondo Etro, ex brigatista: “Giletti? A nessuno interessa la verità”

raimondo etro

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Sui social c’è chi lo definisce “squilibrato”, “ignobile”, “indecente” e “vergognoso”. Lui, dal canto suo, non accenna a far cadere le polemiche nei suoi confronti, riguardo soprattutto al pesante fardello giudiziario che si porta dietro, e tuona dalla sua pagina Facebook critiche aspre verso i politici e i giornalisti. Stiamo parlando di Raimondo Etro, oggi cittadino libero che ha saldato i suoi conti con la giustizia. Che conti? Etro ha fatto parte delle Brigate Rosse, ha partecipato all’organizzazione del sequestro di Aldo Moro, che portò alla strage di via Fani. Ha preso parte anche all’assassinio del giudice Riccardo Palma, rifiutandosi di sparare al momento dell’agguato. E’ stato condannato a 20 anni dalla prima Corte d’Assise d’appello di Roma nel 1988.




Oggi Raimondo Etro è un cittadino libero, libero di muoversi per la città, di scrivere su Facebook e libero di partecipare alle trasmissioni televisive a cui viene invitato. Libero anche di essere dimenticato, volendo. Ma sembra che Etro non possa essere dimenticato. Spesso ospite a Non è l’Arena di  Giletti per discutere del reddito di cittadinanza che ha richiesto allo Stato, i suoi interventi sollevano sempre dei polveroni social per il contenuto delle sue affermazioni.



Ultimo in ordine di tempo quello di domenica 16 febbraio. In studio sono presenti Etro, il giornalista Luca Telese e, in collegamento, Daniela Santanché di Fratelli d’Italia. La discussione degenera in pochi secondi: Etro arriva a dire “Preferisco le mani sporche di sangue che di acqua come Ponzio Pilato, come gente che nella vita non c’ha mai provato”. Immediata la reazione degli altri partecipanti, che intimano a Etro di ritirare la frase e scusarsi. Etro controbatte parlando di una “battuta con un riferimento letterario” a un romanzo di Graham Greene. Scuse non pervenute, anzi. “Scusa il cazzo” rincara, rivolto a un’indignatissima Santanché.

Noi di Ultima Voce lo abbiamo raggiunto per farci spiegare l’episodio.

Innanzitutto, chi è oggi Raimondo Etro?

Raimondo Etro oggi è una persona che vive una vita semplice. Percepivo il reddito di cittadinanza, che mi è stato tolto in seguito alle polemiche. E ho accettato il provvedimento.  Ho pagato il mio debito con lo Stato fino all’ultimo giorno e mi  sono allontanato dalle BR già nel 1980. Successivamente, ho tenuto sempre una posizione estremamente chiara con la giustizia. Oggi non avrei problemi a denunciare chi si macchia di reati come quelli che ho compiuto io.

 

Che rapporto ha lei con la televisione e in generale con i mezzi di comunicazione? Leggiamo su Facebook i suoi interventi e i suoi toni piuttosto aggressivi nei confronti del nemico di turno.

No, aggressivi mai. Sarcastici, ironici, ma mai aggressivi né mai minacciosi. Facebook mi ha bloccato persino l’account, dove avevo un pubblico prima molto vasto che poi ho però ridotto a 20 o 30 persone al massimo. Io su Facebook parlavo e parlerò sempre e solo per i miei amici, come se fossi nel salotto di casa. Poi però c’è chi entra nel mio salotto virtuale per insultarmi e per fare il giustiziere da tastiera. Da Fratelli d’Italia e da Casa Pound sono arrivati insulti molto pesanti non solo a me, ma anche a mio figlio, che è italo-thailandese, e alla mia nipotina.



In un’occasione ha definito una donna che non condivide le sue idee “zoccola”. Non crede che l’insulto delegittimi il contenuto delle sue critiche?

Io “zoccola” lo dico come battuta da osteria. Se si riferisce al post in cui ho citato Rachele Mussolini, nipote del duce,  il mio era un discorso generale e, come sempre, si è fatto in modo di ottenere visibilità anche su questo. Ho visto che la signora in questione ha comunque parlato di questo attraverso dei contenuti sponsorizzati su Facebook: alla fine il discorso è sempre e solo uno, valido per destra e per sinistra. Tutti sono alla ricerca della visibilità e a nessun talk show, giornalista o politico sembra interessi di trovare la verità. E’ la politica del tifo. La cronaca della viralità e del protagonismo.

E delle minacce che sono arrivate a Giletti dopo che l’ha cacciata dallo studio?

Chi ha minacciato Giletti è un imbecille, punto. Non mi piace il suo modo di condurre e di cercare sempre lo scandalo e il polverone a tutti i costi, figlio delle inchieste alla Barbara d’Urso. Ma chi lo ha minacciato è un imbecille, lo ribadisco.

Perché quindi accetta gli inviti in televisione? Non vuole beneficiare del diritto all’oblio, a essere dimenticato? Come fa a non temere ogni volta di finire in un tritacarne? Non è stanco?

Io sono uscito dal carcere e per un po’ di tempo nessuno mi ha più cercato. Poi, sono cominciate queste trasmissioni sempre alla ricerca dello scandalo e il mio nome, evidentemente, è finito nelle liste delle redazioni televisive per poter creare il polverone, in questo caso attorno al reddito di cittadinanza che percepivo. Pensavo che andando in televisione e parlando della mia storia e delle Brigate Rosse avrei potuto aiutare a fare chiarezza e ancora mi illudo di questo, ma ripeto: la televisione non è alla ricerca della verità.

Veniamo al dunque. Non è pentito di quel che ha detto, relativamente alle “mani sporche di sangue”?

La frase è una citazione dal capolavoro “Una pistola in vendita”, scritto dal romanziere inglese Graham Greene. Volevo semplicemente dire che noi brigatisti, sbagliando, chiaramente, ci siamo macchiati le mani perché non siamo rimasti indifferenti. Tutto qui.

Io mi sono distaccato da quel che ho fatto quarant’anni fa. Eravamo guidati da un’ideologia che, alla fine, ha fatto un male non paragonabile rispetto alle idee iniziali. La frase non era una rivendicazione del mio passato, non era nulla di questo.

 

Non pensa sia una mancanza di rispetto per i famigliari delle vittime, come ha sostenuto Daniela Santanché? Non è d’accordo?

La Santanché è un’altra che sfrutta il dolore delle famiglie per fare politica. A nessuno interessa nulla e non sopporto sinceramente la retorica di coloro che parlano a nome dei famigliari delle vittime. Io con alcuni di questi famigliari ho avviato un percorso personale. Altri, come ad esempio il figlio del giudice Coco (che le Brigate Rosse uccisero in un agguato l’8 giugno 1976, colpendo anche due uomini delle forze dell’ordine, ndr), so che hanno idee opposte e non hanno alcuna intenzione né di avvicinamento, né di confronto. Io questi li capisco e li rispetto.

Poi c’è chi fa il doppiogiochista. Qualche giorno fa, su La Stampa, Potito Perruggini, nipote di Giuseppe Ciotta, brigadiere della polizia ucciso a Torino nel 1977 da Prima Linea, mi ha definito uno “squilibrato”. Qualche tempo fa, in una trasmissione televisiva mi aveva offerto un lavoro. Sarebbe stato impossibile materialmente, ma avevo creduto in questo percorso di riavvicinamento. Poi, più sentito: legittimo, per carità. Ho saputo però che si è lanciato in politica. Anche qui la regola si conferma: ancora la ricerca della  visibilità.

Sul suo intervento le opinioni si dividono. C’è chi ritiene che la redazione televisiva di turno cerchi volutamente il polverone social, invitando il Raimondo Etro di turno in tv e sapendo di contare sulla sua “irruenza verbale”. C’è invece chi allude al fatto che possa esistere una cerchia di terroristi protetti all’interno di partiti e giornali. Lei che ne pensa?

Effettivamente ci sono stragisti e brigatisti riassorbiti da formazioni partitiche, giornali e altre realtà. Io mi sono distaccato da tutto e da tutti. Vivo una vita semplice e ho sempre offerto piena collaborazione ai giudici, mettendomi a disposizione dello Stato ad esempio anche nel caso dell’omicidio D’Antona, nel 1999 e in casi più recenti. Io posso dire solo per me: vorrei che su questi temi ci fosse attenzione storica da parte dei media. Il problema diventa sempre quello di distinguere la qualità dall’esibizionismo. Aiutare a fare chiarezza non è quel che vuole la televisione da me.

Elisa Ghidini

 

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