Intervista a Gianluigi Nuzzi: la Chiesa tra misteri, finanza e omosessualità

Intervista Gianluigi Nuzzi

Tra le stanze del Vaticano: le luci e le ombre della Chiesa Cattolica. Dal Libro nero alla fiction su Ratzinger: intervista a Gianluigi Nuzzi

Lunedì 18 gennaio abbiamo ospitato – in diretta Instagram – un’intervista a Gianluigi Nuzzi, giornalista, saggista e conduttore televisivo. Siamo partiti dal suo recente Il libro nero del Vaticano (Chiarelettere 2020), fino ad arrivare alla fiction – che verrà realizzata da una produzione tedesca – sulle dimissioni di Papa Benedetto XVI. L’intervista a Gianluigi Nuzzi ci ha permesso di mettere a nudo alcune criticità del Vaticano: dal rapporto tra i suoi funzionari con la politica, fino ai legami economici con lo stesso Stato Italiano. Tra le luci e le ombre della Chiesa, abbiamo parlato con l’autore anche della presunta esistenza di una “lobby gay”, cercando qualche spunto di riflessione sulla condizione delle persone omosessuali all’interno delle gerarchie ecclesiastiche.

Partiamo dal Libro nero del Vaticano: Gianluigi, quale dei lavori che lo compongono ti dà maggiore soddisfazione?

Difficile dirlo, io lo vedo come un lavoro continuativo e poi man mano sono usciti dei libri. Questa è un’inchiesta che è iniziata quando c’era Ratzinger, quando c’era Bertone. Era un’Italia molto diversa rispetto ad oggi, da un punto di vista politico: un’Italia molto genuflessa nei confronti del Vaticano. Uscivamo dalla Prima Repubblica, dove la Democrazia Cristiana era il partito di riferimento. Non dobbiamo dimenticare che Giulio Andreotti – sette volte presidente del Consiglio – aveva un conto segreto allo Ior. È un conto che ho scoperto io, non intestato a Giulio Andreotti ma a una fondazione benefica inesistente e di cui parlo anche nel mio libro Vaticano S.p.a. Su questo conto segreto è transitata la maxi tangente Enimont, la più grande mai scoperta in Italia: è l’Italia del ’92 – ’94, quella di Falcone e Borsellino e di Mani pulite. In quel periodo si verifica un crollo del sistema che ci fa transitare nella Seconda Repubblica: e cambiano anche gli equilibri politici e i rapporti con il Vaticano.

E a proposito di rapporti: in che modo la finanza vaticana è connessa con quella italiana?

Innanzitutto c’è da dire che qualsiasi momento saliente della politica italiana ha dei riverberi su quella vaticana. Oggi il premier Conte cerca una maggioranza solida in parlamento e passa anche dal Vaticano, perché tutti i partiti più importanti hanno rapporti col Vaticano. Il M5S, il Pd, la Lega, Forza Italia e anche Renzi: sono in molti ad avere dei punti di contatto. Lo stesso premier Conte ha delle relazioni istituzionali con il Vaticano. Nel mio penultimo libro – il “Giudizio universale” –  ho scritto che Papa Francesco ha voluto disporre dei conti interni del Vaticano. E c’era un rischio di default. Una cosa che non può non essere considerata dallo Stato italiano, che dà un importante contributo alla comunità cattolica.

Culturalmente parlando, quanto i politici italiani sono legati alla politica vaticana?

I legami sono storicizzati: il nostro ministro degli esteri Di Maio nutre rapporti importanti con individui della Curia di Papa Francesco, mentre Salvini ha rapporti con esponenti più “freddi” verso il Papa, perché lui è più assimilabile a un ambiente progressista, anche se in un modo più enunciato che concreto. Di certi argomenti lui comincia a parlare, come per esempio del ruolo delle donne, perché la Chiesa è più orientata verso il potere maschile. Mentre il Papa – anche con delle scelte recenti – ha cercato di bilanciare le due cose: tu puoi cambiare le leggi, ma se non cambi la mentalità delle persone non si arriva da nessuna parte.

I nemici di Ratzinger e i nemici di Francesco: sono gli stessi? Bergoglio è stato accusato più volte di eresia…

Da una parte sono gli stessi, perché esiste una parte della Chiesa che pensa più al portafoglio, al potere e alla sua influenza. Questa è una piccola fetta. Poi Papa Francesco si è dovuto scontrare con delle realtà pesantissime, come quella dei conservatori degli Stati Uniti: delle resistenze importanti che Benedetto XVI ha incontrato in minor misura, come quella dei Legionari di Cristo. Poi, durante il pontificato di Ratzinger ci fu anche il rischio di uno scisma. Sono due Pontefici lontani per alcuni aspetti, mentre sono vicini per altri: sono diversi per la gestione temporale del potere. Papa Francesco si occupa delle finanze, della trasparenza e della riorganizzazione della Curia romana, mentre Benedetto XVI non se ne occupava. Vale la stessa cosa per gli appalti e per i conti nelle banche svizzere. Sono simili, invece, nella volontà di rinnovare la Chiesa, anche se molti vedono Ratzinger come un Papa conservatore. Per me non c’è niente di più rivoluzionario di un Papa che rinuncia al proprio pontificato.

Si è diffusa l’idea che i cosiddetti “corvi” favorissero l’uscita di informazioni. Cosa ne pensi?

Io penso una cosa diversa: con Benedetto XVI c’era un silenzio pneumatico sull’argomento e chi ne scriveva rischiava il collo. Come è successo a me e a Fittipaldi. Oggi se ne parla di più: sono passati 11 anni e qualche progresso c’è stato.





Sarai Head Consultant per una serie tratta dal tuo libro “Sua Santità. Dalla scrivania del papa, le prove degli scandali del Vaticano” (2012): in cosa consisterà la tua consulenza e quali parti del libro esaminerà la fiction?

È una fiction che sto realizzando con un gruppo tedesco, di Berlino, che affronterà la rinuncia di Benedetto XVI al pontificato, uno dei momenti più enigmatici. Scrissi un libro alla vigilia della sua rinuncia, evidenziando tutti i problemi che stava affrontando il Papa. In quel periodo il suo maggiordomo [Paolo Gabriele] fu arrestato perché mi passava delle notizie. Ma siamo comunque in una fase prodromica, ci sarà prima un lavoro di scrittura e di analisi.

Si parla – a volte – di un presunto legame tra pedofilia e omosessualità: purtroppo è anche il pensiero di alcuni cattolici. Tu cosa ne pensi?

Secondo me queste sono persone un po’ ignoranti: lo dico con un filo di ironia.

E a proposito di pregiudizi: cosa ne pensi del dibattito sul coming out del monsignor Charamsa, nel 2015? Lanciò un segnale importante alla Chiesa, ma fu subito allontanato. E alcuni parlarono dell’esistenza di una “lobby gay” in Vaticano…

Allora, quando quel monsignore fece coming out, fece un grande danno alla comunità omosessuale che vive nella Chiesa. Perché se la sua volontà era che si discutesse di certe questioni, visto il sinodo che di lì a poco si sarebbe celebrato, quell’atto fece sì che vincessero i dogmatici: a livello temporale fu una scelta sbagliata. Questo è il primo aspetto: il secondo è che esiste nella Chiesa il divieto di essere omosessuali. E dato che capita che degli omosessuali entrino in seminario, ecco che alcune persone custodiscono un segreto: un segreto che avvicina altri che ne hanno uno simile, e che li espone a dei ricatti. “Lobby gay” è un termine improprio, perché magari si aiutano pure, ma sono vittime di ricatti e pressioni. Io conosco moltissime personalità del Vaticano che sono omosessuali. Sono tanti e a volte lo negano persino a loro stessi. Alcuni sono persino omofobi di giorno e omosessuali di notte: personalmente considero tutto questo molto deprimente.


E queste persone esercitano delle pressioni a livello finanziario?

Se noi immaginiamo una lobby strutturata che possa somigliare a una loggia massonica coperta, deviata e organizzata con un rito di iniziazione, no. Penso però che questa particolarità possa essere strumento di potere, da una parte, in maniera attiva: il primo a destrutturare questa “lobby” è stato Benedetto XVI pochi mesi prima di rinunciare al pontificato. Lui ha allontanato alcuni alti prelati con il sospetto – si disse all’epoca – che appartenessero a questa “lobby gay”. È uscito un libro di un collega francese – pubblicato da Feltrinelli – intitolato “Sodomia“. Dove l’autore dedica la sua inchiesta proprio a individuare questa lobby gay: lui è uno scrittore omosessuale, e quindi non è stato tacciato. Se lo avesse fatto qualcun altro forse sarebbe stato tacciato di omofobia. Sai, è un argomento molto scivoloso perché – giustamente –  l’orientamento sessuale della persona fa parte della vita privata.

Tornando al tuo “Libro nero del Vaticano”: quale politico italiano è stato più coinvolto con la finanza vaticana?

Andreotti, sicuramente. Il sistema finanziario vaticano per anni ha fatto delle importanti alleanze con delle banche private italiane. A partire da quella di Michele Sindona, quando non c’era la legge antiriciclaggio in Vaticano. Che è una legge di pochi anni fa: prima non era previsto il reato di riciclaggio. Il che ti dà un’idea di come fosse difficile fare pulizia, prima: lo stesso Giovanni Paolo I fu spazzato via da un sistema incompatibile con quella visione “francescana” di trasparenza.

E quali sono le criticità dello Ior?

Da un punto di vista normativo lo Ior si sta lentamente adeguando alle normative europee, anche se ha sempre avuto un ruolo a sé. Chi ci lavorava vedeva sempre arrivare dei correntisti di un certo tipo: da Madre Teresa di Calcutta ad alcuni politici italiani. La conversione industriale di una banca dei misteri inizia nel 2009 con Ratzinger, cioè quando al vertice arriva Ettore Gotti Tedeschi, poi defenestrato e trattato come un ladro, mentre era una persona per bene. Poi un ulteriore impulso è arrivato nel 2014 da Papa Francesco, ma il percorso è ancora lungo da fare.

L’intervista a Gianluigi Nuzzi è presente sulla pagina Instagram di Ultima Voce.

Francesco Nicolini

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