Debora Attanasio, romana d’origine e milanese d’adozione, è una scrittrice e giornalista del mensile al femminile Marie Claire.
Attanasio è diventata celebre per il suo libro Non dite alla mamma che faccio la segretaria (Sperling & Kupfer, 2013), dove racconta la sua esperienza di nove anni come segretaria di Riccardo Schicchi (1953-2012), agente di attrici a luci rosse.
Un libro che riporta il dietro le quinte di ciò che accadeva negli anni ’90 nel residence che ospitava gli uffici di Diva Futura: un vero e proprio diario incentrato principalmente sulla figura, assai chiacchierata, di Schicchi, “irrequieto folletto in giacca e cravatta che irrompe negli uffici, sbuffa, pensa continuamente a slogan, spettacoli e nuove starlette, sempre attaccato al suo ingombrante cellulare Nec P3 dal costo di due milioni”.
Attiva femminista, Attanasio tratta speso temi riguardanti le donne e denuncia una situazione italiana non più concepibile nel 2017. Ultima Voce ha avuto l’onore di intervistare questa grande scrittrice, semplice e alla mano, ma con le idee nette e ben chiare.
*Marie Claire- Debora Attanasio*
Come mai ha deciso di scrivere della sua esperienza con Schicchi?
Perché penso di essere l’unica ad averla fatta.
Come erano le attrici hard?
Erano una diversa dall’altra: c’era quella simpatica, quella cafona… in fondo sono persone normali, fanno solo un lavoro fuori dal comune, ma non hanno nulla di diverso.
Ha sempre pensato che sarebbe diventata giornalista?
Sì sì, da sempre, fin da bambina: scrivevo già dei romanzi ed ero direttore del giornalino scolastico.
Obiettivi per il futuro?
La pensione (ride). Sicuramente un nuovo libro, uno spin off di quello sugli anni con le attrici hard. Non so quando, perché il giornale mi impegna parecchio, ma me lo stanno chiedendo parecchi editori.
Femminicidi, stupri: perché pensa sia ancora così arretrata l’italia?
Il nostro è un problema culturale. Dagli anni 40 anni a oggi, gli omicidi in generale si sono dimezzati, un tempo ci si ammazzava fuori dall’osteria o per una partita a carte, oggi gli uomini sono meno violenti fra loro. Nonostante quello che alcune formazioni politiche vogliono far credere la violenza e la delinquenza diminuiscono. Ma anche se l’Italia è un paese più sicuro, il numero di donne uccise da uomini per motivi “di genere”, per gelosia, perché vengono lasciati, il cosiddetto femminicidio, è rimasto lo stesso di allora.
Quindi il problema principale, il mostro, è in casa: l’uomo “nero” è spesso proprio un parente, il marito, un fidanzato, un ex, una persona teoricamente fidata. Non il delinquente nel vicolo buio. E questo perché, fino a pochi anni fa, 1982, esisteva ancora il delitto d’onore e uno stupratore veniva assolto se si offriva di sposare la vittima. Sistema che persiste ancora in alcuni paesi in via di sviluppo come Haiti.
Sicuramente, la colpa di questo sistema culturale è da ricondurre all’educazione. La colpa è delle famiglie, che imbevono i figli maschi di una cultura machista, dove la donna un oggetto di utilità per l’uomo invece che un individuo col suo ruolo nella società, che non è solo quello di fare da incubatrice e da colf al marito come credono molti.
A scuola andrebbe insegnato un maggior rispetto delle diversità, e mi dispiace molto vedere le donne impegnate anche nella difesa dei diritti degli omosessuali e pochi gay maschi contraccambiare scendendo in piazza con noi per la violenza che subiamo. I gay sono disprezzati dalla parte peggiore della società in quanto incarnazione della femminilità: abbiamo un problema in comune. Si sentono polemiche verso l’insegnamento del gender, che tutti credono chissà cosa sia e invece è il semplice rispetto delle diversità di genere. La verità è che tutto ciò andrebbe a scombinare l’equilibrio patriarcale, e si osteggia.
Quando sui social scrivo dei post al riguardo, c’è sempre quel mucchietto di uomini che scatta subito a dirti “ma guarda che non siamo tutti così”. Certo, ma nessuno di loro scende mai nemmeno in piazza: gli uomini, in ogni caso, restano sempre e comunque neutrali, come se fosse una battaglia decisamente non loro. Solo delle donne.
Viviamo in un paese dove Pippo Civati ha detto che non è giusto tassare così tanto gli assorbenti perché sono beni di prima necessità, non superflui, e tutti lo hanno preso in giro. È il machismo. E la cosa più triste di tutte è che vi sono anche molte donne che, per compiacere gli uomini, finiscono per mettersi contro le altre donne.
Altra analisi da fare sull’argomento è questa: sono i casi di femminicidio ad essere aumentati o, forse, ci sono solo più donne che vanno a denunciare rispetto a prima? Una volta ho letto i risultati di un’indagine secondo cui il 47% delle donne italiane ha ricevuto in vita sua almeno uno schiaffo dal proprio uomo. Non è bello da sapere. E lasciare il violento a volte non serve a nulla, se pensiamo che Lucia Annibali è stata sfigurata sotto casa sua a storia finita.
Che, poi, il mostro al processo è raramente pentito. Spesso è orgoglioso della sua azione contro la donna che ha avuto l’ardire di lasciarlo. A volte l’imputato cade dalle nuvole, convinto di aver esercitato un suo diritto. Questo è il nucleo del problema: l’orgoglio. Se vogliamo cambiare la mentalità, dobbiamo cambiare l’educazione maschile secondo cui un uomo che viene lasciato o cornificato, o non comanda sulla sua compagna, fa una figuraccia con amici e parenti maschi. Sente la sua virilità compromessa. È ridicolo. Sottomettere qualcuno fisicamente più debole non fa apparire in nessun modo virili. Caso mai il contrario.
Ultimamente, infine, è spuntata una nuova forma di violenza sulle donne, quella negazionista. I social network sono pieni di uomini pronti a giurare che anche le donne uccidono gli uomini nella stessa misura e con la stessa ferocia. Una menzogna che fa ridere amaramente le dottoresse che lavorano nei pronto soccorso, così come le donne di Telefono Rosa. Anche perché fra le donne c’è sicuramente una quota di malvagie da punire duramente, ma quasi tutte le donne che uccidono un uomo lo fanno per legittima difesa, o dopo anni e anni di soprusi e botte, tanto da venire spesso assolte. Le donne si ribellano e si difendono. È molto diverso dallo strangolare la moglie per una minestra servita fredda (sì, c’è anche chi ha ucciso per questo).
Non riesco a credere che nel 2017 stiamo ancora manifestando per gli stessi problemi di 40 anni fa, per l’aborto, per il diritto di lasciare un uomo senza rischiare la vita, o di poter mettere una minigonna senza sentirsi dire “eh, ma se l’è cercata”. Nulla è cambiato? Allora bisogna cambiarlo adesso. E in fretta.
Isabella Rosa Pivot
Vorrei concentrarmi sulla parte che Debora ha chiamato “negazionismo” . Prima di tutto , già il termine negazionismo non mi piace, visto che quello che lei ha scritto è il negazionismo (della violenza sugli uomini) . Secondo la invito a leggere meglio su internet i casi di cronaca con protagoniste le donne, a meno che il caso di William Pezzullo o casi come questo :
http://www.liberoquotidiano.it/gallery/sfoglio/12387161/lavinia-woodward-studentessa-oxford-accoltella-fidanzato-libera-milano.html*
ha il coraggio di classificarli come autodifesa ( ma tanto già lo fanno i media) . Sarebbe più onesta se dicesse che non si occupa delle violenze degli uomini , anzichè delegettimarle con post poco informati .Ok, va bene, ma in tal caso evitasse di parlare di quelli che lei chiama “negazionisti” (che di negazionista non hanno proprio nulla, semmai negazionista è chi nega la violenza sugli uomini che viene continuamente giustificata)
*Di sentenze come quella della studentessa modello inglese ce ne sono a centinaia ogni anno, questo nel mondo “maschilista” .