Charlie Barnao è professore di sociologia della sopravvivenza presso l’Università Magna Graecia di Catanzaro. Da alcuni anni si occupa di studiare la diffusione della cultura militare nella società, soprattutto nelle sue forme meno esplicite.
L’interesse per la sociologia è nato grazie al servizio di Leva che scelse di fare nella Folgore.
Durante quell’anno ho visto delle cose da mettere a posto di me. Avevo sviluppato delle caratteristiche che sono latenti in ognuno di noi, ma l’addestramento militare aveva lavorato su di me per rinforzarle. Parlo di tutte quelle capacità per non essere riflessivo quando si prendono decisioni. Volevo capire cosa mi era successo.
Barnao inizia a studiare i manuali di addestramento militare, è una ricerca autoetnografica perchè parte dalla sua esperienza personale. Rilevazione dei dati, interviste approfondite ad agenti di polizia, ex militari, studio dei manuali di come si trasforma l’identità dell’individuo da civile a militare. Come ad esempio il Kubark manual, il manuale di tortura della CIA desecretato alla fine degli anni ’90.
Esiste un collegamento profondo tra tortura e istituzione militare. La tortura è ufficialmente condannata dalle convenzioni internazionali ed è anche pubblicamente condannata dai militari e dalla maggior parte dei governi. Nonostante ciò la tortura è una pratica diffusissima.
Il risultato della ricerca di Barnao è la convinzione di una correlazione tra modelli addestrativi ed episodi di violenza da parte delle forze dell’ordine. Quando nel 2012 pubblica l’articolo Costruire guerrieri. Autoritarismo e personalità fasciste nelle forze armate italiane alcuni gruppi, per lo più ex militari insorgono e avviano una raccolta firme contro Barnao. I direttori della rivista decidono di fare autocensura e ritirano l’articolo che poi è uscito nel 2014 su un’importante rivista americana. Non è l’unico episodio di autocensura che ha subito la ricerca di Barnao. Il tema è dunque delicato. Sembra non esserci spazio per una sociologia che si occupi di educazione militare. Eppure gli episodi di violenza sono numerosi e in tutto il mondo: lo scandalo Somalia, Abu Ghraib, Federico Aldrovandi, Gabriele Sandri e Stefano Cucchi per citare i più noti.
Bullet proof mind
Qualsiasi processo addestrativo iniziale di socializzazione militare della recluta è caratterizzato da tre fasi che servono a realizzare il passaggio dall’identità civile e all’identità militare:
- una fase preliminare o di separazione : separazione da identità e abitudini precedenti
- una fase di transizione: è una fase in cui tra l’istruttore e le reclute si instaura una relazione particolare che oscilla tra quella del “padre accogliente” e quella del “carnefice”
- una fase di aggregazione: in cui l’individuo viene “introdotto nella società”
Come Barnao spiega dettagliatamente nel suo articolo Il Soldato (Im)perfetto c’è una forte corrispondenza tra addestramento militare e tortura. Uno dei riferimenti per la sua indagine è il modulo addestrativo SERE, il modulo addestrativo delle forze speciali in cui si viene addestrati a resistere nelle situazioni più estreme, compresa la tortura se si viene catturati o presi in ostaggio. Le fasi dell’addestramento militare coincidono in modo preciso con quelle della tortura, le dinamiche interazionali che si sviluppano tra addestratore e recluta, da una parte, e torturatore e vittima, dall’altra, sono molto simili; il modello psicologico di riferimento è lo stesso per tortura e addestramento.
La necessità di un addestramento militare di questo tipo è emerso a seguito della guerra in Corea e si è rafforzato dopo il Vietnam. I soldati erano addestrati per una guerra tecnologica, la technowar, l’illusione secondo cui il soldato non avrebbe più dovuto stare vicino al nemico, ma combattere a distanza. Il Vietnam fu un fallimento e una sconfitta di questo modello. I soldati manifestarono problematiche gravissime: diserzioni, post traumatic stress disorder, soldati che rinnegavano il proprio paese perché non resistevano alle torture. Alcuni divennero pacifisti.
Le istituzioni militari capirono che la mente non poteva essere cosi vulnerabile, ci volevano nuovi processi addestrativi che creassero una mente a prova di proiettile.
Tra le caratteristiche della personalità che si vuole formare, l’obbedienza è al centro. Serve un soldato obbediente e che risponda in modo automatico all’ordine ricevuto. Una caratteristica per resistere in condizioni estreme è la riduzione delle capacità empatiche, per proteggersi. L’eccessiva empatia per il nemico può ridurre la velocità della risposta. Per questo vengono inseriti veri e proprio moduli per allenare il soldato alla tortura.
Un altro valore della cultura militare è il darwinismo sociale, la lotta per la sopravvivenza che vede i più capaci trionfare sui meno capaci, un modello pedagogico sempre più presente in ambiti che non sono legati al mondo della guerra.
La diffusione della cultura militare nella società civile
Ci sono reality show esplicitamente militaristi come Il Collegio che parla di giovani che vanno raddrizzati. Barnao ha contato 174 reality e programmi sul tema del survivalismo: questo è un movimento fortemente militarista. Nel mondo dello sport, tutti gli allenamenti ad alta intensità hanno origine militari. Così come l’MMA, il terzo sport più diffuso al mondo, nasce nel mondo militare. Per non parlare dell’intreccio tra giocattoli e mondo militare. I videogames non hanno solo un esplicito contenuto militare, riproducono esattamente il modello addestrativo militare creando delle conseguenze gravi, come il post traumatic stress disorder.
Liberi di obbedire
Importante anche la managerial science: Charlie Barnao mi fa scoprire il lavoro di Johann Chapoutot. Lo storico della Sorbona nel suo libro Nazismo e management. Liberi di obbedire (Einaudi 2021) mette in relazione il management con il nazismo, approfondendo la figura di Reinhard Höhn gerarca nazista che alla fine della Seconda guerra mondiale fonderà l’accademia di Bad Harzburg dove istruirà i più importanti manager del mondo con il suo metodo della delega di responsabilità: i protagonisti, come nella Germania nazista, sono liberi di obbedire. E’ il superiore che sceglie obiettivi e scadenze, il subordinato è libero solo di scegliere gli strumenti per realizzarli, la responsabilità dell’eventuale fallimento è tutta individuale. Questo modello verrà poi denunciato nell’autobiografia di Andrea Straub, ex manager della catena tedesca Aldi, il cui dirigente si era formato alla scuola di Reinhard. Attualmente Amazon ha lanciato in rete un programma che prevede di assumere manager dai veterani di guerra.
Ci sono fondazioni culturali come Med’or che diffondono cultura militarista negli atenei. Anche le politiche sociali diventano politiche sicuritarie, pensiamo a Cutro. Aldilà delle responsabilità individuali il fatto è che si è preferito un intervento securitario a un intervento di aiuto.
Per Barnao è importante anche osservare il mondo della Giustizia: è il fenomeno del populismo penale, ovvero la promessa dell’espansione del diritto penale per ottenere consensi. Si sceglie una categoria da colpire che siano immigrati o mafiosi.
Questa cultura comune produce disposizioni come il 41bis che è uno strumento di tortura, aldilà delle considerazioni morali.
Di questo ne parla uno dei detenuti che si è laureato con Barnao, Salvatore Curatolo, un ergastolano ostativo da trent’anni detenuto nelle carceri italiane. La sua tesi di laurea si intitola Ergastolo ostativo (Rubettino, 2022)ed è un’autoetnografia in cui l’autore descrive le proprie strategie di sopravvivenza. Infatti Barnao è delegato del rettore per l’insegnamento in carcere a Catanzaro dove insegna Sociologia della sopravvivenza
Si sono iscritti in tantissimi. Inaspettatamente, facendo lezione a detenuti dell’alta sicurezza, è emerso che avevano subito molte delle torture di cui parlavo a lezione. Il collegamento tra il tema della tortura militare e il carcere era chiaro ed è diventato un altro filone della mia ricerca.
Il motivo per cui la società civile stia accogliendo la cultura militare al suo interno è anche legato all’incertezza del periodo storico. L’individuo globalizzato ha perso i punti di riferimento tradizionali: identità nazionale, sessuale…la perdita di questi punti di riferimento porta alla richiesta di autoritarismo, una figura che metta ordine. Da qui tutta la crisi della democrazia e la cultura autoritaria. Chiedo a Barnao se una riforma dell’addestramento militare è possibile
Ho trovato più aperture dal mondo militare che da quello politico su questo argomento. Sono in tanti che sono interessati alla mia ricerca, il modello addestrativo non è adeguato. Ci sono danni collaterali. Sono convinto che questo modello addestrativo non funzioni bene, non raggiunge neanche il motivo primario.
Come ho potuto comprendere leggendo le ricerche di Barnao, il metodo su cui si basano i manuali di addestramento è la psicologia comportamentista, che si basa sul condizionamento operante di Skinner. Il condizionamento operante consiste nella messa in atto di un comportamento, che se rinforzato positivamente si ripresenta con una maggiore frequenza, fino a diventare automatico. E’ lo stesso che viene utilizzato per addestrare i cani. Non è sbagliato in sé, ma non è funzionale all’addestramento militare. Uno dei motivi è che la realtà per cui i militari vengono addestrati avrà stimoli molto più complessi e imprevedibili e in questo caso la risposta automatica può creare dei disastri, come sparare sui civili. Ma prima di pensare a una riforma, bisogna conoscere a fondo ciò che si vuole cambiare
Perché voler cambiare le cose vuol dire che si pensa già che non vanno bene. E’ un fatto metodologico. L’intervento più efficace è scindere il momento della comprensione da quello dell”intervento. Adesso mi sto occupando di studiare il fenomeno.