Di Isabella Rosa Pivot
Se vi siete mai chiesti cosa significasse la sesta lettera della sigla LGBTQI+, ecco qui la risposta: sta per “intersex”, una categoria assai ampia, che rappresenta circa l’1% (30 milioni di persone) della popolazione globale.
“Intersessualità” è un termine ombrello, utilizzato per descrivere quelle persone che hanno i caratteri sessuali primari e/o secondari che non sono definibili esclusivamente come “maschili” o “femminili”.
Non è un orientamento sessuale, né un’identità di genere: le persone intersessuali, come tutti, possono essere cis-gender (a proprio agio con il genere a loro assegnato dalla nascita) o transgender (ossia avere un’identità di genere diversa da quella assegnata alla loro nascita). Non si tratta nemmeno di una malattia nonostante le credenze comuni, poiché possedere cromosomi di genere diverso rispetto ad altri componenti del corpo, avere genitali cosiddetti “ambigui”, o variazioni dei caratteri sessuali non rientra nei parametri collegabili ad alcuna patologia. Inoltre le variazioni intersex, di solito, non minacciano la salute fisica.
Gli intersessuali sono ancora molto poco conosciuti e compresi ed è per questo che bisogna aumentare il dialogo sul tema: non è facile vivere, in una società che ama etichettare, senza linee guida e informazioni concrete e accessibili, utili a capire la propria identità.
Spesso, a causa dell’ignoranza ancora altamente diffusa sul tema anche in ambiente medico, gli intersex subiscono traumi sessuali associati a continui interventi, per via delle implicazioni della loro condizione rispetto al genere sociale.
Pensate che il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità ha ammonito l’Italia nel 2016 per le pratiche di mutilazione genitale intersex: sono moltissime le persone intersessuali che hanno denunciato abusi e violenze collegate ad operazioni chirurgiche non realmente necessarie.
A queste problematiche si aggiunge il giudizio sociale: essendo una situazione poco conosciuta e considerata “particolare”, viene ancora troppo di frequente mantenuta la segretezza sulle loro condizioni, portando a forti sentimenti di vergogna ed esclusione.
Piano piano, intersex famosi o meno stanno raccontando la loro vita, per rompere i tabù ancora legati all’intersessualità e far conoscere meglio questa minoranza genetica.
Viviamo in una società che tende a mettere le persone all’interno di scatole precise e pretende di poterle ingabbiare. Quando risulta impossibile una definizione netta e concreta, ecco che si cerca di modificare gli elementi che risultano incongruenti alle linee generali; si tenta di “inquadrare” in ogni modo possibilità la diversità, invece di cercare di comprenderla in tutta la sua bellissima complessità.
Per citare Emily Quinn, animatrice per Cartoon Network e attivista intersessuale:
“come se ciò che uno ha in mezzo alle gambe possa dire veramente qualcosa su quella persona”.