“Siamo nell’era della digitalizzazione, del virtuale,degli internauti.”
Ormai, passiamo molto più tempo con i nostri “amici” in formato tascabile, che con quelli in carne ed ossa. “Ma nel mio caso sono gli stessi” direbbero alcuni internauti con tanto di sorrisetto beffardo… “ne siamo proprio sicuri ?” Quante volte ci ritroviamo stupiti nel leggere post e commenti aggressivi, di gente che conosciamo nella vita reale, e fino a quel momento avevamo considerato: dei tipi pacifici e innocui ? Il social, ponendo una distanza fisica e percettiva con la, o le persone che sono dall’altra parte, dando l’illusione della mancanza di identità, “non mi avrete mai…” disinibisce meglio di una bottiglia di latte di suocera, facilitando gli approcci di qualsiasi genere e permettendo alle persone di indossare la maschera del: “ciò che vorrei essere”, ed è qui che dovremmo farci una domanda: “del vorrei essere o sono ?”
Patricia Wallace.
Insegnante della Graduate School del Maryland University College, che si occupa di psicologia delle relazioni e dell’apprendimento, autrice del libro: “la psicologia di internet” dice:
“Abbiamo avuto migliaia di anni di evoluzione per prendere confidenza con le interazioni umane in contesti faccia a faccia, ma appena due decenni per il mondo online diffuso su larga scala, ed ora è il luogo dove si svolge molta dell’interazione umana, con strumenti del tutto diversi. Non solo manca il contatto faccia a faccia, ma c’è anche la distanza fisica, l’incertezza sul pubblico che ci vede e ci ascolta, la percezione dell’anonimato, la mancanza di un feedback immediato e gli strumenti di comunicazione che usiamo si basano principalmente su testo e immagini. Al tempo stesso Internet è un motore senza precedenti di innovazione, connessione e sviluppo umano.Un motore che può, sotto certi aspetti, trasformarci anche in persone (un po’) diverse. Non possiamo dire di diventare una persona diversa online, ma proprio come ci comportiamo diversamente in spiaggia o in ufficio, siamo influenzati dalle caratteristiche della rete. La maggior parte delle persone si costruisce e mantiene online, una persona che è una versione in qualche modo potenziata di se stessa.”
La Wallace parla poi di: “narcisismo”, del grande “palcoscenico” virtuale dove si può dire di sé ad un pubblico che interagisce e quindi, ci asseconda.
Poi continua, con la “polarizzazione di gruppo” e il conseguente “echo chambers” ossia, quelle stanze virtuali dove gente d’accordo si accanisce nella denigrazione di altre forme di pensiero.
Ma facciamo un piccolo passo indietro
Concentriamoci su di una frase: “una persona che è una versione in qualche modo potenziata di se stessa.” Ora, chi frequenta assiduamente i social network, sa perfettamente che sono popolati da un numero spropositato di “str*nzi”.
“No, non indignarti, non è riferito a te che ti affacci alla finestra e urli la tua rabbia perché la fidanzatissima ti ha lasciato per un affascinante avatar conosciuto in rete. Tu stai solo dicendo al mondo di essere cornuto. Bravo il furbacchione.”
E’ riferito invece, a chi insulta, aggredisce, sminuisce, denigra, minaccia, tutto e tutti quelli che la pensano diversamente da lui, o che più semplicemente, non gli hanno concesso l’amicizia. Stando al discorso della Wallace, quindi, chi è str*nzo in rete e nella vita reale è diciamo: “pacato” lo è soltanto perché in un faccia a faccia, non può permettersi il lusso di essere str*nzo, magari perché ha paura di prendere legnate sui denti ?”
Quindi, il dilemma Marzulliano è: “ il virtuale ci rende reali, o il reale ci rende virtuali ? ”.
Verrebbe da pensare che il mondo sia popolato maggiormente da gente brutta, ma brutta, brutta, brutta, e invece no, sappiamo per esperienze e statistica che i “brutti” fanno solo tanto rumore in più. Questo però non risolve il dilemma, al massimo ridimensiona l’apparente soprannumero di internauti “str*nzi”.
Arriviamo al dunque…
“Quando i vostri amici internauti, quelli che conoscete di persona da millemila anni, che sono stati vostri compagni di banco, di squadra, di bevute, “compagni di scuola, compagni di niente” esultano perché un barcone carico di immigrati affonda, pregando perché non se ne salvi nessuno, e voi li giustificate dicendo: “No ma io li conosco dicono così, ma poi sono dei pezzi di pane, garantito !!!” Pensate che forse, ad essere pezzi, sono pezzi, ma non proprio di pane, e che magari “gli amici virtuali” sono quelli che avete conosciuto dal vivo…”.
Andrea Ianez