Interfacce Cervello-Computer: questioni di etica e (in)sicurezza nazionale?

Una riflessione sulle BCI e sulla loro applicazione in campo militare e commerciale

L’accelerato progresso nella ricerca neuroscientifica ha portato negli ultimi decenni alla creazione di progetti ambiziosi in tutto il mondo, con gli Stati Uniti e la Repubblica Popolare Cinese in prima linea. È questo il caso delle Interfacce Cervello-Computer (BCI).

Le BCI offrono un potenziale rivoluzionario che spazia da applicazioni mediche e terapeutiche a nuove forme di comunicazione e interazione uomo-macchina. Tuttavia, questa stessa versatilità le rende altrettanto attraenti per scopi militari e commerciali, potenzialmente dando origine a nuove modalità di guerra e controllo.

Margert Kosal e Joy Putney, nel loro studio intitolato “Neurotechnology and international security” e pubblicato sulla Cambridge University Press, hanno presentato uno dei primi quadri analitici che tenta di prevedere la diffusione delle neurotecnologie sia nel settore commerciale che in quello militare negli Stati Uniti e in Cina. Poiché le scienze cognitive si concentrano sugli esseri umani e sono quindi strettamente legate allo studio dei processi sociali, compresi gli ambiti della politica e della sicurezza, anche organismi scientifici internazionali, tra cui la National Academy of Sciences degli Stati Uniti e la Royal Society del Regno Unito, si sono impegnati in discussioni sulla rilevanza politica del settore.

Secondo le due ricercatrici, gli Stati Uniti e la Cina emergono come due dei principali protagonisti di queste iniziative di ricerca, entrambi investendo ingenti risorse nei rispettivi progetti noti come “U.S. Brain Inititive” e “China Brain Project”.

Queste iniziative coinvolgono un vasto insieme di stakeholder, inclusi rappresentanti del governo, del mondo accademico, dell’industria e delle forze armate, i quali direzionano centinaia di milioni di dollari verso obiettivi di ricerca specifici. Per questo le BCI possono essere interpretate come componenti fondamentali di una strategia nazionale per l’innovazione e il primato tecnologico.

L’attenzione specifica sulle BCI è dovuta principalmente al loro potenziale di elevata adozione da parte di persone in salute (quindi non affette da nessun tipo di patologia grave) per scopi sia civili che militari, pertanto il loro sviluppo solleva importanti questioni etiche, come la privacy dei dati e l’autonomia individuale. Tale è l’importanza attribuita a queste tecnologie che il Servizio di Ricerca del Congresso degli Stati Uniti le ha identificate come soggette a controlli rigorosi sulle esportazioni (soprattutto in paesi come la Cina).



Stati Uniti e Cina, due diversi approcci alle BCI

La BRAIN Initiative degli Stati Uniti è stata avviata nel 2013 sotto l’amministrazione Obama, con l’obiettivo di canalizzare fondi considerevoli, stimati in 6 miliardi di dollari USA fino al 2025, verso la ricerca sugli impianti cerebrali. Dall’altra parte del globo, la Cina ha annunciato il suo Brain Project nel 2016, durante il Dodicesimo Piano Quinquennale del paese, con un finanziamento previsto di circa 1 miliardo di dollari americani fino al 2030.

Gli obiettivi delle iniziative nei due paesi riflettono differenze significative nella strategia di ricerca e sviluppo tecnologico. Mentre gli obiettivi principali dell’iniziativa statunitense riguardano esclusivamente la comprensione del cervello e il miglioramento del trattamento dei disturbi cerebrali, oltre a concentrarsi sullo sviluppo di tecnologie che consentano la ricerca di base e le applicazioni cliniche, la Cina ha espresso più chiaramente la propria intenzione di utilizzare le interfacce cervello-computer sia per scopi civili che militari.

La struttura del Progetto cinese, definita come “un corpo con due ali”, sottolinea la sua parità di attenzione sia alla comprensione del cervello che allo sviluppo di applicazioni pratiche, compresi i trattamenti per i disturbi cerebrali e l’integrazione di tecnologie di intelligenza artificiale cervello-macchina.

Nel contesto militare, anche gli Stati Uniti hanno tuttavia finanziato diverse iniziative di ricerca neuroscientifica attraverso enti come DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency), con programmi volti a sviluppare BCI non invasive per scopi militari, come il programma N3 (Next-Generation Nonsurgical Neurotechnology) e il programma NESD (Neural Engineering Systems Design). Anche altre branche militari, come l’U.S. Air Force, l’Esercito e la Marina, hanno investito in programmi di sviluppo di neurotecnologie. Uno studio del Centro di Comando per lo Sviluppo nelle Capacità di Combattimento (DEVCOM) dell’esercito americano ha evidenziato quattro applicazioni per futuri ambienti operativi delle BCI, tra cui il potenziamento visivo e uditivo, esoscheletri indossabili con controllo muscolare programmato, controllo diretto di sistemi d’arma tramite BCI e sistemi di comunicazione cervello-cervello tra i membri del servizio militare.

Le ricercatrici specificano però che gli Stati Uniti presentano una discrepanza evidente tra gli obiettivi militari dichiarati e gli obiettivi della ricerca di base sulle BCI che guidano la Brain Initiative. Diverso sarebbe il caso del China Brain Project, i cui obiettivi sembrerebbero più coesi, guidati probabilmente in parte dalla strategia generale del Paese di fusione militare-civile.

Uno degli ostacoli principali nell’implementazione delle BCI negli Stati Uniti rimane la mancanza di fiducia tra i membri del servizio e la popolazione civile. Questo scetticismo è stato evidenziato da una serie di sondaggi condotti dal Pew Research nel 2016, nel 2021 e poi nel 2024 (dopo l’annuncio di Elon Musk e della sua nuova azienda Neuralink), rivelando che per più della metà degli intervistati (56%) l’uso di chip cerebrali per migliorare le funzioni cognitive sarebbe una cattiva idea per la società, mentre una grande maggioranza (78%) ha affermato che non vorrebbe un impianto per sé.

In contrasto, la Cina mostra un maggiore entusiasmo nel promuovere l’uso delle BCI, spinto anche dalla capacità del governo di imporre tali tecnologie sia nel settore civile che in quello militare. Ci sono già resoconti dei media che documentano l’obbligo dell’uso delle BCI da parte delle aziende in Cina, una mossa che finora non è stata riscontrata negli Stati Uniti. Questa discrepanza, secondo le ricercatrici, evidenzia le differenze nei sistemi politici e nelle libertà individuali tra i due paesi.

Le preoccupazioni sulla privacy e sull’anonimato dei dati giocano un ruolo cruciale nell’atteggiamento degli statunitensi nei confronti delle BCI. Poiché queste tecnologie richiedono la raccolta di dati personali e possono persino influenzare l’attività cerebrale degli individui, molti cittadini sono restii ad adottarle. Al contrario, in Cina, dove la sorveglianza statale è più pervasiva, l’opinione pubblica sembra essere più incline ad accettare un maggiore monitoraggio e controllo.

Kosal e Putney mettono in guardia circa gli effetti dell’applicazione delle BCI, non solo in relazione a grandi potenze come Cina e Stati Uniti, ma più in generale sul panorama della sicurezza internazionale. I primi innovatori e utilizzatori delle BCI potrebbero avere l’opportunità di stabilire infatti norme internazionali per il loro utilizzo in contesti sia civili  che militari. Ciò è dovuto anche al fatto che i trattati o le convenzioni internazionali esistenti sulle armi non coprono le neurotecnologie, pertanto spetterebbe ai governi, alla comunità internazionale, ma anche alla comunità scientifica confrontarsi quanto prima con le implicazioni etiche, legali e sociali delle BCI man mano che iniziano a vederne un uso diffuso da parte di civili e personale militare.

Una riflessione attuale sulle BCI

Le BCI (Brain Computing Interface) ci si presentano come ai limiti della fantascienza. L’idea stessa che un dispositivo sia capace di interfacciarsi con il cervello umano rimuovendo l’utilizzo prostetico dell’onnipresente “device” sembra assurdo, e quanto meno favolesco.

Ma la realtà è che le BCI sono soggetto di sperimentazione da ormai un decennio. Seppure in uno stadio ancora molto embrionale, l’ibridazione fra uomo e macchina non è solo una realtà possibile in tempi più brevi di quanto ci aspettiamo, ma anche una prospettiva auspicata a livello industriale.

Gabe Newell, CEO di Valve e storico rappresentante delle innovazioni a livello tecnologico e dell’intrattenimento, vede la diffusione pubblica delle BCI come il successivo stadio societale post-internet, uno strumento tecnologico le cui potenzialità appaiono tali da creare un distinguo storico fra un “prima e dopo” della diffusione pubblica delle interfacce neurali.

La corsa all’innovazione del mercato occidentale si fa inoltre carico di questioni di natura post-umanista: sia Musk, nella presentazione “Show and Tell” di Neuralink che Synchron, la compagnia di BCI fondata da Jeff Bezos e Bill Gates, presentano la ricerca a riguardo come un “metodo per permettere all’essere umano di tenere testa allo sviluppo delle intelligenze artificiali”.

L’idea sottostante non può che attrarre a livello di mercato: gli sviluppi tecnologici degli ultimi dieci anni presentano infatti le fondamenta per rivoluzionare ulteriormente lo spazio digitale, in una rinnovata corsa all’oro simile a quella del Web 2.0 e dei Social Media: la Blockchain veniva presentata come il sistema per decentralizzare l’economia mondiale, e i concetti di realtà virtuale ed aumentata, culminanti nel Metaverso, un’impresa così grande da aver spinto il colosso tech Facebook a un rebranding da cima a fondo, avevano come obiettivo di rimuovere il distinguo fra spazio fisico e digitale. Realtà che, ormai a qualche anno di distanza, possiamo definire fallimentari non in nome della tecnologia in sé (ancora prototipica) ma per le applicazioni quasi interamente dedicate al guadagno ancora prima che fossero ultimate. Nelle parole di Dan Olson, divulgatore e saggista, nel suo saggio relativo al Metaverso e a Decentraland, “il futuro è un centro commerciale abbandonato”.

Per le stesse motivazioni, possiamo argomentare che le BCI presentino oggettivamente le possibilità di cambiare la situazione umana per il meglio: è il motivo per cui compagnie come Neuralink e Syncrohn o le università cinesi hanno dedicato il loro RnD nell’ambito medico, e pubblicizzino il proprio prodotto (non dimentichiamoci mai che sempre di prodotto si parla) come un significativo passo avanti nel trattamento di malattie debilitanti quali la SLA o la paralisi cerebrale laterale. Lo sviluppo in ambito sanitario è infatti un ottimo modo per rendere una tecnologia possibilmente rivoluzionaria innocua al pubblico.

Ma l’implementazione di BCI per il trattamento di malattie croniche (e non solo, come si vedrà più avanti) non è una novità, e precede la fondazione della compagnia Neuralink Corporation di quasi un decennio. La rinnovata attenzione all’argomento ha tutto a che fare con la personalità di Musk, la quale attraverso due semplici Tweet non solo ha presentato, come è solito fare, il futuro come molto più vicino a noi di quanto non sia in realtà, ma anche delle prospettive future di Neuralink. Telepathy, il primo prodotto per Neuralink, servirà ad accedere e a usare i device solo pensandolo.

 

 


Ed ecco che la BCI smette di essere una nuova tecnologia medica, e si trasforma nel futuro del bene di lusso in grado di modificare il tessuto sociale in maniera non dissimile dall’ iPhone
, proponendo un oggetto (lo smartphone in generale) il cui impiego en masse ha direzionato le sorti dell’umanità, nel bene e nel male.

E proprio come con il nostro rapporto con il telefono, si palesano questioni come quella dei personal data in maniera assillante.

Il trattamento dei dati personali è particolarmente sensibile nel momento storico in cui ci troviamo per via, anche, di una percezione intrinseca all’ambiente digitale: l’aleatorietà dell’oggetto. Accettare di condividere posizione cookies, tracker, ci risulta come un’azione quasi scontata, anche per via del fatto che, a livello di interfaccia, ogni sito online presenta l’opzione di cedere i nostri dati attraverso un design malevolo, il cosiddetto dark pattern.

Eppure, è importante ricordare che il periodo storico, non casualmente definito come Information Age sussiste proprio di quei dati personali, che in mano a chi è capace di districarli e trasformali in informazioni, ha permesso di cambiare drasticamente le sorti politiche di un paese, come fu per quanto riguarda lo scandalo del Cambridge Analytica e del suo ruolo nelle elezioni statunitensi del 2016.

Si tratta di dati che, fra l’altro, sono accessibili a terze parti e costantemente venduti, ceduti, trattati anche da enti palesemente malevoli, come dimostra l’aumento di frodi online negli ultimi anni, quasi tutte coadiuvate proprio dall’appropriazione di informazioni personali. Se avete mai ricevuto una mail fraudolenta in cui il mittente sapeva il vostro nome, cognome e indirizzo, sapete il perché.

Si pensi, allora, alle conseguenze che l’implementazione di un chip subdermale può avere a livello istituzionale come un ulteriore strumento di controllo. Senza cadere nel complottismo, consideriamo un esempio estremamente plausibile, ossia come i dati diagnostici che Musk dichiara Neuralink possa registrare ed elaborare abbiano il potenziale di venire utilizzati nel sistema delle assicurazioni sanitarie per effettuare un ricalcolo del premio assicurativo, o ancora, come plausibilmente simili tecnologie possiederanno un geolocalizzatore capace di tenere costantemente traccia della nostra posizione.

Ma le questioni di controllo non riguardano solo istituzioni ed enti governativi. La crescita del settore della Cbyersecurity nel privato dovrebbe provvedere a dare alcuni campanelli di allarme. Casi di vero e proprio hacking e manomissione delle BCI esistono infatti già, tanto da essere documentati e avere un proprio nome, preso a piene mani dalla letteratura distopica: Brainjacking. La possibilità di sospendere le funzioni di un’interfaccia neurale in un paziente affetto da paralisi costituisce un significativo rischio all’autonomia individuale.

“Autonomia” e “individualità” diventano termini cardinali. La capacità di controllare in remoto le azioni di un altro essere umano, anche “solo” di terminare le sue capacità motorie, ha implicazioni ramificate e pericolose. L’esempio fornito dall’articolo scientifico  “BrainJacking in Deep Stimulation and Autonomy” è quello di un malato di SLA, spinto attraverso Brainjacking a molestare sessualmente una persona. L’azione, sebbene non volontariamente condotta, non può che avere forti ripercussioni a livello psicologico sulla sfera identitaria della persona coinvolta.

Si è inoltre precedentemente discusso degli impieghi documentati in ambito militare delle interfacce neurali. Un’altra realtà è che affidare lo sviluppo di simili sistemi alle mani di aziende il cui obiettivo è quello del guadagno presenta inoltre significative questioni riconducibili anche all’ eugenetica.

Nell’intervista a Putin condotta da Carlson Tucker, di cui si è discusso su Ultima Voce  il presidente della Russia ha infatti affermato di stare osservando con attenzione sviluppi come quelli di Neuralink, da lui presentati come “scienze genetiche”. Per quanto il termine “genetica” non sia effettivamente riconducibile alle tecnologie di BCI, è però vero che presentano una simile tipologia di problematiche etiche.

Fra le prospettive delle interfacce neurali ci sono infatti numerose visioni di balzo umano a uno stadio successivo di evoluzione sociale (non dissimile, come ricordiamo, da Internet): documentazioni discutono infatti del potenziale delle interfacce neurali per quanto concerne apprendimento migliorato, accrescimento dell’interazione fra uomo e macchina, fra cui possibilità di collegamento con l’elemento digitale e assunzione del controllo diretto su varie tipologie di macchine.

Esiste dunque il rischio che tecnologie come Neuralink possano essere usate in futuro per aumentare il già enorme divario di classe, creando un bene di lusso che possa incapsulare ed elevare il sistema di privilegio.

In ultima considerazione, si prega lə lettorə che consideri quanto qui presentato come fantascientifico, di controllare le fonti presentate e incluse nell’articolo. Sebbene termini come “cyborg” suonino ridicoli, si ricorda che fino a dieci anni fa lo stesso valeva per “intelligenza artificiale”, e per quanto manchi ancora molto tempo fino a che prodotti commerciali di interfaccia neurale vedano un’effettiva realizzazione e diffusione, è necessario informarsi per tempo, in modo da evitare gli effetti peggiori che lo sviluppo tecnologico può avere quanto non sufficientemente moderato da un sistema di leggi.

Aurora Compagnone
Roberto Pedotti

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