Lara, 17 anni, è stata esclusa dalla foto di fine anno perchè disabile. Sua madre denuncia la mancata integrazione di sua figlia con una lettera al giornale Alto Adige.
Si parla tanto di integrazione, a tutti i livelli. Integrazione per i migranti, integrazione per i disabili, integrazione per le persone sfortunate. La politica e le persone inneggiano all’integrazione, perchè siamo in una società moderna, evoluta, multiculturale. Ma nella realtà dei fatti, quanto di tutto ciò è vero?
Integrare cosa significa esattamente? Dalle scienze sociali apprendiamo che la parola integrazione indica “l’insieme dei processi sociali e culturali che rendono l’ individuo membro di una società. L’integrazione dipende anche dalla capacità di socializzazione di ogni individuo“. L’integrazione, apprendiamo ancora, dipende da due elementi importanti: la socializzazione e la solidarietà.
La socializzazione viene indicata come “ la trasmissione al neonato e successivamente al bambino da parte della famiglia di quell’insieme di competenze sociali, valori, norme attraverso il quale la società riproduce sé stessa, venendo interiorizzata dall’individuo. Successivamente, questi andrà incontro ad altri tipi di socializzazione praticati da agenzie sociali differenti (la scuola, le cerchie amicali, il lavoro), accumulando e specializzando le sue competenze di definizione del mondo ed interazione con esso“.
Scrivendo di socializzazione, apprendiamo come sia innanzitutto un insieme di valori trasmessi dalla famiglia, il primo vero nucleo sociale, al bambino e secondariamente da altri nuclei sociali come la scuola, gli amici, ecc…
Secondo Emile Durkheim, uno dei più importanti sociologi e antropologi del secolo scorso, la solidarietà entra in gioco nelle cosiddette società che invece si fondano sull’appartenenza, ossia quelle società in cui “ l’integrazione è garantita dalla caratteristica delle singole “anime” individuali di essere articolazioni di un'”anima collettiva” con la quale vi è un legame di dipendenza/appartenenza forte e totalizzante “.
La nostra società, quella odierna, può dirsi formata da anime individuali che apprendono i valori della socializzazione ma che si trovano a vivere in una società complessa, composta da un’alta divisione del lavoro, per rimanere nella teoria di Durkheim, in cui ogni anima individuale dipende dall’altra in un sistema che deve rispondere ai principi di etica e morale, codificati anche dal punto di vista normativo.
Ebbene, questi principi di etica e di morale non vengono sempre rispettati dagli individui “socializzanti”. Lo sa bene Lara, una ragazza disabile di 17 anni che si è vista discriminare dalla sua stessa scuola. Da quell’istituzione inserita nella società dell’appartenenza che ha il dovere etico e morale di garantire l’integrazione tra tutti i suoi individui.
L’Istituzione scolastica che è il secondo nucleo sociale, dopo la famiglia, deputato a formare gli uomini di domani. L’Istituzione scolastica che favorisce la socializzazione tra gli individui “ accumulando e specializzando le sue competenze di definizione del mondo ed interazione con esso“.
Come definiscono il mondo e come interagiscono con esso gli alunni, i compagni di classe della scuola di Lara?
La risposta si può dedurre da sola. Lara, ragazza disabile di Bolzano ha subito una discriminazione dalla sua stessa scuola, vedendosi esclusa dalla foto di classe che generalmente si fa a fine anno con tutti i compagni di classe e i professori per avere un ricordo dell’anno appena trascorso.
La fotografia che noi tutti possediamo, quella un pò odiata e un pò amata, quella che vorremmo bruciare perchè ci ricorda come eravamo goffi e impacciati da adolescenti, ma anche quella che ci fa provare nostalgia di anni in cui tutto era speranza, libertà, e spensieratezza. Emozioni che Lara non potrà provare, emozioni che le sono state tolte senza chiederle il permesso. Perchè sì, a Lara non è stata data la possibilità di scegliere, o meglio la possibilità di vivere, di ricordare.
La mamma di Lara ha compreso tutto ciò quando nell’androne della scuola di sua figlia ha visto la foto di classe senza un componente, e quel componente era proprio Lara, tagliata fuori come se non facesse parte di quella classe, di quella scuola.
Daniela Plazer, mamma di Lara, ha scritto una lettera, pubblicata dal giornale Alto Adige, in cui spiega i tre anni di finta integrazione vissuti dalla figlia, in cui più volte lei ha chiesto al preside e ai professori di favorire l’integrazione di Lara nelle attività della scuola, con i compagni di classe senza mai avere un esito positivo. Con il risultato che Lara è rimasta esclusa dai suoi compagni e da ogni attività, desiderando addirittura non tornare più in quella scuola. Un risultato palese e posto in bella vista in quella foto. Una foto sbattuta in faccia ad una madre, la cui mancanza di un figlio pesa come un macigno sul cuore.
Una foto che conferma la noncuranza delle istituzioni, che conferma come l’integrazione sia solamente una bella parola. Le parole stesse di spiegazione date alla madre sono più chiarificatorie di questa faccenda: “nostra figlia non poteva fermarsi in classe, perché gli insegnanti non se la sentivano e comunque si sarebbe annoiata. Ma la migliore scusa è stata che i compagni erano in un’età difficile e non sarebbero riusciti a comportarsi in modo tale da stare assieme a lei. Forse, mi dico, gli insegnanti avrebbero potuto insegnare a questi ragazzi un po’ di umanità e senso civico “.
Umanità e senso civico. Questo la scuola dovrebbe insegnare oltre alle nozioni di italiano, fisica, matematica e storia. Il rispetto verso l’altro, l’opinione altrui, l’arricchimento personale dato dal confronto, dallo stare insieme. Questo significa socializzare, questo significa comprendere il mondo e interagire con esso, solo conoscendo l’altro si conosce se stessi. A quanto pare la direzione che sta prendendo la società contemporanea non è affatto quella di fornire gli strumenti per una migliore comprensione di se stessi e delle proprie possibilità cognitive e sociali, piuttosto quella di dividere e stigmatizzare, di favorire l’esclusione, la solitudine, la non comprensione, l’odio ed è preoccupante come tutto ciò passi e si trasmetti in seno a quelle istituzioni stesse deputate a fare l’esatto contrario.
Quando l’integrazione è solo una bella parola.
Laura Maiellaro