Nel 2020 l’emergenza alimentare nel mondo ha toccato un nuovo record : nell’ultimo anno le persone che si sono ritrovate a fronteggiare insicurezza alimentare acuta sarebbero almeno 155 milioni. Si tratta di una cifra al ribasso che, tuttavia, è la più alta registrata negli ultimi cinque anni, con una crescita di circa 20 milioni rispetto al 2019. Tali allarmati dati emergono dal rapporto annuale della Global Network Against Food Crises (GNAFC), un’alleanza internazionale tra agenzie delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea, ONG e agenzie governative coordinate dal World Food Programme e accomunate dall’impegno nell’affrontare le cause profonde della crisi alimentare mondiale e promuovere soluzioni sostenibili.
I numeri della fame nel mondo: dall’insicurezza alimentare acuta alla fame cronica
Il Global Report of Food Crisis del 2021 ha evidenziato come, nei 39 paesi e territori presi in esame dal rapporto, si sia registrato un incremento del 56% rispetto all’anno precedente nel numero di persone che soffrono di insicurezza alimentare acuta. I numeri della fame nel mondo, tuttavia, sono ben più alti. Secondo gli ultimi dati dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO), la percentuale di abitanti del pianeta costretta a subire la fame è arrivata all’8,9% dell’intera popolazione mondiale, circa 690 milioni di persone.
L’insicurezza alimentare acuta, infatti, differisce dalla più diffusa fame cronica: mentre quest’ultima viene descritta come grave difficoltà nell’accedere regolarmente e agevolmente a risorse alimentari adeguate e sufficienti, sia dal punto di vista nutrizionale che economico e culturale, l’insicurezza alimentare acuta somma a questo quadro l’impossibilità prolungata di accesso al cibo, codificandosi come lo stadio più allarmante della fame cronica, ovvero quello che pone direttamente in pericolo di vita.
Delle 55 crisi alimentari individuate nel Global Report of Food Crisis del 2021, le 10 che si sono distinte per gravità interessano: il continente africano, nella Repubblica democratica del Congo, Sudan, Nigeria settentrionale, Etiopia, Sud Sudan e Zimbabwe; il Medio Oriente con Siria e Yemen; l’Asia meridionale con l’Afghanistan; l’America centrale con Haiti. In questi paesi e territori, la gravità delle crisi alimentari è stata determinata dall’aumento vertiginoso di persone che sono passate nella fase 3 o superiore della Integrated Food Security Phase Classification (IPC) and Cadre Harmonisé (CH), nota anche come Scala IPC, un sistema di classificazione delle condizioni alimentari della popolazione di un paese che prevede cinque livelli: minimo, teso, crisi, emergenza, catastrofe/carestia.
Le cause dell’aumento dell’insicurezza alimentare acuta e le prospettive future
Il numero delle persone che soffrono di insicurezza alimentare e fame cronica nel mondo è cresciuto tanto, nell’ultimo anno, soprattutto a causa della pandemia globale da Covid-19. Le misure di controllo della diffusione del coronavirus e di limitazione negli spostamenti hanno provocato un devastante crollo del mercato del lavoro che, per molti, ha comportato l’impossibilità di accedere a fonti primarie di sussistenza. Tuttavia, va sottolineato come la pandemia abbia solo esacerbato le condizioni preesistenti della fame nel mondo. Vi sono molti altri fattori che, nel corso dei decenni, hanno fatto sì che aumentassero povertà estrema, disuguaglianza sociale e condizioni di vita precarie in specifiche aree del pianeta, incidendo sensibilmente sulle salute alimentare delle popolazioni che le abitano. Secondo quanto riportato dal rapporto 2021 della GNAFC, al di là della pandemia globale, la causa primaria dell’aumento dell’insicurezza alimentare risiede nella presenza di conflitti armati e guerre, che impedisce agli abitanti dei territori colpiti di accedere a adeguate risorse alimentari, sia a livello della qualità che della quantità necessarie al sostentamento. Una seconda causa determinante riguarda i cambiamenti climatici e gli effetti devastanti di questi sulle colture e sull’intera catena di produzione e distribuzione del cibo, nonché l’incremento o inasprimento di eventi atmosferici estremi.
Già nei primi mesi del 2020 diversi attori sociali avevano sottolineato il fatto che la pandemia avrebbe peggiorato drasticamente la già drammatica situazione della crescita della fame nel mondo. Tra questi, Oxfam aveva lanciato l’allarme con il rapporto Il virus della fame: l’impatto del coronavirus su un mondo già affamato, chiedendo che venissero immediatamente stanziati aiuti umanitari per limitare il più possibile la perdita di vite umane. Oggi, il Global Network Against Food Crisis ha messo in chiaro come il raggiungimento del secondo obiettivo dell’Agenda 2030, Fame Zero, invece che avvicinarsi sembri allontanarsi sempre più.
Per far fronte al fatto che le crisi alimentari nel mondo stiano divenendo via via più persistenti e che le possibilità e capacità di recupero da condizioni di precarietà e inedia si stiano facendo sempre più complesse, le agenzie delle Nazioni Unite che si occupano di sicurezza alimentare hanno lanciato un appello alla comunità internazionale affinché vengano prontamente messi a disposizione almeno 5,5 miliardi di dollari per intervenire nelle crisi più estreme. Lo scopo principale, nonché l’unico modo attraverso il quale è pensabile poter perseguire l’obiettivo di ridurre la fame nel mondo, rimane quello di mettere in moto un profondo cambiamento a livello socioeconomico, che possa agire direttamente sulle cause alla base delle crisi alimentari riconoscendo lo stretto legame che intercorre tra queste, i cambiamenti climatici e il mercato mondiale della guerra.
Marta Renno