La contaminazione da microplastiche è più estesa di quanto si immaginasse
Gli insetti contribuiscono alla diffusione delle microplastiche nella catena alimentare. È questa la conclusione cui è giunto un nuovo studio dell’Università di Reading, Regno Unito, disponibile in versione completa sulla rivista Biology Letters.
Le microplastiche sono particelle di materiale plastico di dimensioni inferiori al millimetro. Sono ampiamente diffuse nei mari e negli oceani dove ogni anno sono scaricati oltre 8 milioni di tonnellate di plastica, ma la nuova ricerca evidenzia anche la loro diffusione nella catena alimentare dei predatori terrestri e in zone precedentemente reputate incontaminate.
In particolare, le larve di zanzara, cresciute in acqua contaminata, accumulano microplastiche nei loro corpi. In età adulta ne espellono la maggior parte ma una parte rimane in corpo. Quando le zanzare abbandonano l’ambiente acquatico in cui sono cresciute, trasportano con sé queste sostanze dannose che, successivamente, sono ingerite da uccelli, ragni, pipistrelli e altri predatori terrestri.
Gli scienziati non riescono a stimare gli effetti sull’ambiente della dispersione della plastica via aria ma sono certi che sarà difficile da contrastare.
La lotta alla diffusione della plastiche è un tema importante anche a livello europeo. L’Unione Europea ha bandito i sacchetti di plastica non biodegradabili e, a partire dal 2019 saranno vietati anche cotton fioc, posate, piatti, cannucce, mescolatori per bevande e aste per palloncini non biodegradabili. Pochi giorni fa, inoltre, l’Europarlamento ha annunciato il divieto di plastiche oxo-degradabili e di microplastiche in cosmetici e detersivi entro il 2020.
Questi provvedimenti, seppure molto utili, potrebbero risultare inadeguati a contrastare un problema di entità così spropositata.
Attualmente le microplastiche sono presenti ovunque: pesci, uccelli, acqua imbottigliata, zucchero, sale marino e in molti altri cibi.
Il nuovo studio chiarisce un altro meccanismo di diffusione della plastica che, in futuro, potrebbe essere presente in quantità maggiore anche nell’organismo umano.
Alessia Cesarano