Insegnare tecniche di intelligence salva la libertà dell’eccesso di informazioni del web

Di Pino Aprile

 

Sappiamo quasi tutto di quasi tutti e sempre meno su come riuscire a convivere. Se vi sembra filosofia, state sbagliando: è roba da 007, ma dell’era digitale. La riflessione che scaturisce dalla lettura di un libro di piccole dimensioni (98 pagine) ma di grande importanza: “Cyber intelligence: tra libertà e sicurezza”.

Ovvero, in altri termini: come può salvarsi la democrazia (ok, quello che ne resta, e non a caso) in un mondo che, entro pochi anni, avrà una popolazione “virtuale”, 50 miliardi di identità, cinque volte più grande della popolazione reale del pianeta? E in un mondo in cui quel che si può sapere su ognuno di noi è talmente tanto, che ad altri sarà dato conoscere di noi, più di quello che noi stessi siamo capaci di ricordare?

Già ora, il “web oscuro”, ovvero la quantità di informazioni recuperabili, è 500 volte maggiore di quel che è visibile su internet e sono “ascoltabili” i telefoni del 70 per cento della popolazione.

 

Vuol dire che con i dati disponibili nulla è ignoto dei nostri gusti, delle nostre relazioni, delle nostre idee. E, in base a quelle, è possibile anticipare con altissima attendibilità quel che faremo. Per esempio, dice Caligiuri, “osservando i numeri di telefono si possono prevedere gli spostamenti futuri al 90 per cento e le telefonate successive con un’accuratezza del 98 per cento”.
È un bene? È un male? È un fatto. E come tale va affrontato. I fatti sono figli delle azioni degli uomini e la loro qualità discende dalle intenzioni. Quello che si sa e si può sapere, se usato per prevenire crimini, terrorismo, sventare pericoli, può migliorare la nostra sicurezza, quindi i livelli di libertà, democrazia. Le cose, insomma, non sono buone o cattive in sé, solo l’uso che se ne fa può esserlo (alcuni dei più potenti veleni, usati in dosi giuste, sono farmaci).
Per questo, Mario Caligiuri, che fu il più giovane sindaco d’Italia (a Soveria Mannelli, in Calabria, Comune con trecento aziende su tremila abitanti, criminalità zero), docente all’università della Calabria (uno dei suoi maestri fu Francesco Cossiga), propone che le tecniche di intelligence divengano una disciplina universitaria.
Naturalmente, bisogna superare la prevenzione diffusa contro l’intelligence, considerata un’arma del potere ai nostri danni (e tanti esempi ci dicono: non a torto), per spiarci, usarci, controllarci. Per Caligiuri, proprio la divulgazione di quelle tecniche può garantire maggiore democrazia, perché la maggior conoscenza condivisa è l’arma migliore per difendersi dal cattivo uso di conoscenza usata da pochi: “Intelligence non è una brutta parola ma un metodo di trattazione delle informazioni”
Un libro che sarebbe stupido limitarsi a leggere: è solo uno spunto per riflessioni sul nostro futuro insieme.

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