Insegnamento come spada per la Conoscenza, porta verso altra dimensione

Giovanna Mulas

Di Giovanna Mulas

 

Si narra che alle pendici del Lago di Nemi, sui Castelli Romani e nel bosco sacro in prossimità dell’altare romano; crescesse isolato un albero intoccabile vegliato, con una spada, dal Sacerdote del Tempio della Dea Diana, la Diana dei Boschi.

Un quadro di William Turner, ‘Il Ramo d’Oro’ (1834, olio su tela), riporta, con stile volutamente onirico, il maestoso paesaggio col suo piccolo lago, anche detto lo Specchio di Diana. Lago come porta verso un’ altra dimensione dunque: i confini fra reale e irreale si confondono, trasfigurano, kairos e kronos si sovrappongono.

Il Sacerdote guardiano era il ‘rex nemorensis’; lì a presiedere simbolicamente al ciclo infinito di morte e rigenerazione della vita. Era destinato a vegliare notte e giorno ché un altro uomo, leggenda vuole che fosse uno schiavo fuggiasco, avrebbe potuto ucciderlo utilizzando un ramo spezzato dall’albero sacro. Fronda fatale a rappresentare quel Ramo d’Oro che, per ordine della Sibilla Cumana, Enea coglie prima di affrontare il periglioso viaggio nel mondo dei morti.

Lo schiavo doveva raffigurare Oreste e la sua diserzione, il combattimento col sacerdote (già assassino a sua volta) pare che fosse una reminiscenza dei sacrifici umani offerti alla Diana Taurica. Trovo interessante rilevare che per l’etnologo James Frazer il ramo d’oro è un ramo di vischio. Il vischio infatti, sacro agli antichi e pianta parassita, seccando diviene dorata; non appartiene né alla terra, né al cielo, perché cresce su un’altra pianta, quercia o leccio.

La quercia in greco antico è δρῦς, -υός, ἡ , dove drus è l’albero per eccellenza, come scrive il filologo Adolphe Pictet in una nota dell’Alchimia-Studi diversi di Simbolismo Ermetico e di Pratica Filosofale di Eugène Canseliet.

Se lo schiavo fuggitivo riusciva nell’intento di assassinare il Sacerdote, sarebbe succeduto al trono fino a che, a sua volta, non avesse subito identica sorte.

Avrebbe comunque, tramite forza e astuzia, alimentato il ciclo; garantito continuità alla tradizione.

Ora l’Istruzione, che vedo come apostolato, deve tendere ad un saggio incremento della divulgazione e, pertanto, a correggere in chi la riceve (così come in chi la impartisce) i propri contegni nonché gli atteggiamenti. I passaggi congeniti alle trasformazioni informazione-sapere-conoscenza devono essere progressivi, sequenziali: si conquistano gli strumenti di lavoro e, soltanto in seguito, si lascia spazio alle interpretazioni soggettive di ogni allievo.

Ma vi sono dei confini etici, morali e filosofici che non autorizzano a trattare qualsiasi argomento, innanzitutto laddove questi ultimi possono turbare le coscienze degli studenti e disincentivare l’eterno viaggio verso la Conoscenza, ché l’Universo mi comprende come un punto ma io soltanto da punto, posso comprenderlo.

Lo studente deve sapere orientarsi nella ricerca delle buone informazioni attraverso ogni Fonte a disposizione, e deve inoltre saper tramandare in modo incorrotto i contenuti acquisiti (Informazione); eppure credere non è conoscere, non è sapere. Credere vuole essere solo un atto di fede nell’altrui conoscenza.

Sappiamo che il rapporto insegnante-allievo consiste soprattutto in uno scambio premuroso, fraterno e indulgente, comunque considerando che  la conoscenza esperita è intrasmissibile, e che comunione non significa annullamento o annichilimento dell’individualità dell’allievo. Non è duello incessante tra Rex nemorensis e schiavo pronto a succedergli; sì è spada che passa, è testimone.

Lo scambio deve avere luogo in assolute Libertà e Comprensione, senza imbarazzo da parte dell’allievo e, soprattutto, senza paure di venire giudicato e che quindi questo…giudizio, possa interagire in un modo o nell’altro nel risultato scolastico finale ché gli…astrattismi hanno la cattiva abitudine di farsi ombra in una stanza al buio; tenebra a cui soltanto la nostra immaginazione riesce –e vuole- dare forma.

Concetto astratto come il pettegolezzo, fantasma fugace che inquina le menti non coltivate a dovere.

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