L’emergenza Coronavirus ha portato a notevoli cambiamenti in diversi settori. Dai trasporti pubblici a quelli privati, la riduzione degli spostamenti sta giovando notevolmente all’ambiente, con una riduzione anche dell’inquinamento aereo. Non a caso, la settimana scorsa hanno fatto il giro del mondo le foto dell’Himalaya finalmente visibile dai territori indiani. Un evento che non si verificava da più di trent’anni.
Eppure, nonostante ciò, ci sono aree geografiche dove continua un inutile processo di inquinamento atmosferico. Infatti, negli Stati Uniti il traffico aereo è ancora piuttosto intenso. Il governo ha ridotto di più del 50% i voli nazionali e internazionali, ma ne sono rimasti attivi ancora moltissimi e viaggiano semivuoti. Di fatto, il problema dell’inquinamento aereo continua.
Inquinamento aereo: vale la pena decollare per così pochi passeggeri ?
Secondo il portale Flightradar24, il traffico aereo è passato, nel periodo fra inizio marzo a oggi, da più di 200’000 a circa 60’000 voli. Anche negli Stati Uniti si è assistito a una sensibile rivisitazione della circolazione aerea, ma per quanto molti voli siano stati cancellati, tanti sono rimasti confermati. I motivi sono quelli di garantire il trasporto di certi professionisti e soprattutto delle merci. Ma il problema si riflette nell’effettiva utilità di lasciarne ancora così tanti. Pretendo i dati descritti dal Guardian, in media ci sono meno di un passeggero ogni dieci posti. Questo significa che in un Boeing 747 – uno dei modelli più attivi – potrebbero esserci meno di sessanta passeggeri su 660 posti disponibili.
Sui social ci sono molte testimonianze di viaggiatori che – per lavoro – si spostano da una parte all’altra dell’America. Ma non solo. Un volo intercontinentale partito da Londra con destinazione New York ha trasportato solo dieci passeggeri. La Transportation Security Administration (TSA) ha confermato una riduzione del 96% dei viaggiatori, ma appunto, a ciò non corrisponde un drastico calo del trasporto aereo. E Dan Rutherford, direttore dell’aviazione del Consiglio internazionale della correttezza dei trasporti, afferma:
“Le prove suggeriscono che il numero di persone in volo sta diminuendo più velocemente dei voli, quindi ci sono molti aerei vuoti. Le compagnie aeree sono lasciate a gestire il problema da sole e stanno cercando di recuperare. Ma è un enorme spreco ambientale”
Le compagnie americane stanno ricevendo incentivi molto alti
Il faraonico piano di assistenza economica firmato da Trump ha messo a disposizione di privati e aziende duemila miliardi di dollari. Di questa cifra, venticinque miliardi sono stati destinati alle compagnie aeree. Queste si sono impegnate con comunicati e annunci di attuare modifiche per le proprie tratte, ma da parte loro, chiedono altre riforme per fronteggiare questa crisi.
Le emissioni di carbonio sono un aspetto non secondario nella questione dell’inquinamento, e infatti, è attivo un piano per la riduzione di queste emissioni circa il traffico aereo. Eppure, molte compagnie aeree lamentano che questo accordo debba essere rivisto alla luce dell’emergenza in corso e, in sostanza, chiedono di modificare il tetto massimo di emissioni. Effettivamente, molte aziende (di ogni settore) stanno soffrendo i colpi della crisi economica, e tutte sono costrette a tagli del personale e a rivedere i propri conti in banca. E da questo punto di viste, tutte sono portate a compiere sacrifici monetari, comprese quelle del settore dei trasporti.
Per una compagnia americana, oltretutto, i costi per mantenere un aereo fermo sono più alti di quello che si pensa. Le aziende aviatrici, secondo le stime di American Airlines, stanno bruciando dieci miliardi al mese tenendo fermi i propri aerei. Per questo da parte loro c’è una tendenza a mantenere un certo numero di aerei in volo, ma è proprio in questo modo che le emissioni di carbonio continuano.