Le giovani generazioni conoscono la storia di Anastasia Romanov (1901-1918) attraverso il cartone del 1997 di produzione Fox. Le voci di Tosca e Fiorello doppiavano i protagonisti ma non erano i primi a dare consistenza sul mito poi sfatato della principessa sopravvissuta.
Nel 1956 la stessa casa di produzione comprò i diritti del testo teatrale di Marcelle Maurette per trarne un film. Il regista scelto fu Anatole Litvak, lo sceneggiatore fu Arthur Laurents, già autore del testo di West Side Story e Gypsy a Broadway.
Non era affatto insolito per Hollywood puntare a gente di teatro: Broadway è sempre stata una bella fucina di talenti e terreno di caccia per i talent scouts. Orson Welles è l’esempio più importante ed eversivo di questo fatto.
La storia partiva da un pretesto curioso quanto famoso: le voci della sopravvivenza di Anastasia avevano favorito l’efflorescenza di tante sedicenti principesse, cosa non affatto rara nel contesto delle vecchie e decadute dinastie europee. Nel caso della Romanov vi fu soprattutto un’impostora a farsi notare: Anna Anderson (1896-1984), la cui figura salì alle luci della ribalta negli anni ’20.
Il suo tentativo di suicidio, la sua permanenza in vari manicomi e la sua pretesa d’essere la figlia dello zar influenzarono la Maurette e così le versioni romanzate della storia. Per interpretare il suo ruolo modificato apposta per il grande schermo fu scelta Ingrid Bergman.
L’attrice fece con il film del 1956 il suo ritorno nello star system hollywodiano attorniata da Yul Brynner, Helen Hayes e Akim Tamiroff in una super produzione: girato a Londra con esterni a Parigi e Copenhagen, il film le portò il secondo Oscar della sua carriera. Ironia della sorte, Brynner che era suo partner nel film vinse sempre quell’anno come miglior attore per il film The King and I con Deborah Kerr.
La storia vede la Bergman nei panni di Anna Koreff, donna sofferente d’amnesia, già più volte scappata da istituti psichiatrici, salvata prima che si butti nella Senna da tre intriganti russi. Il generale Bounine (Brynner) ed i suoi soci Boris Chernov (Tamiroff) e Piotr Petrovin (Sacha Pitoeff) vogliono mettere le mani sull’eredità dell’ex-imperatrice madre Maria Feodorovna (Hayes) e notando la somiglianza tra Anna ed Anastasia lavorano per renderla plausibile agli occhi dei superstiti della corte.
Il film è abile, in pompa magna, accademico, sagace nei suoi dialoghi taglienti. Il modello però viene più dalla letteratura che da fatti reali: la trama è infatti vicinissima a Pigmalione di Shaw e la sua versione musicale My Fair Lady. Si tratta sempre di una trasformazione, di una plasmazione che assume i tratti di un riconoscimento, con uno psicologismo più marcato, con un lieto fine da manuale ed una struttura che ricalca moltissimo il modello non dichiarato.
Gli attori sono ben diretti e oltre alla Bergman si dovrebbe ricordare anche la presenza della Hayes (ingaggiata per errore ma rivelatasi una scelta ottima) che sa far empatizzare con la coriacea imperatrice. Sconfinante nel melò, il film può sembrar lontano dai gusti di oggi ma lo si può apprezzare pensando alla maestria della confezione e all’importanza che ha avuto nella carriera della sua protagonista.
Antonio Canzoniere