Inglesi e migranti: come nasce una superpotenza economica

Inglesi e migranti

Una storia per ricordarci di come l’immigrazione rappresenti una risorsa per il rilancio di un’economia sottosviluppata

La storia che voglio raccontarvi ha due protagonisti principali: inglesi e migranti. Non ci troviamo però nel nostro mondo contemporaneo. Quel mondo fatto di globalizzazioni traballanti e per molti incomprensibili. Ci troviamo in una realtà più piccola, forse più semplice e, di sicuro, meglio analizzabile.

Tutto parte sul finire del XV secolo, nella povera e spopolata Inghilterra. Un triste paesino di pastori e contadini alla periferia dell’Europa. Un paesino incapace di stare al passo dei giganti del tempo:  gli stati italiani, la Francia, la Spagna appena nata (1469) e persino quel tugurio di staterelli in perenne disgregazione che prende il nome di Sacro Romano Impero.  In confronto a queste formazioni politiche l’Inghilterra pareva una formica senza zampe. La popolazione era scarsa, povera e improduttiva. Le città erano piccoli ammassi di baracche, case di legno, fango e malattie.

Se volessimo dare un’idea numerica della debolezza inglese basterebbe ricordare un piccolo dato. Il 40%  del commercio interno britannico era in mano a italiani e tedeschi. Non a causa di particolari imposizioni di carattere militare o politico ma solo perché l’Inghilterra, quel 40%, non poteva proprio gestirlo, sia per mancanza di mezzi economici sia per l’assenza di personale specializzato. E’ il tipico caso in cui lo spazio che non occupi te, lo occupa qualcun altro, con maggiori guadagni e profitti.

L’economia delle pecore

Se dovessimo cercare un qualcosa di valido nell’economia inglese del tempo faticheremmo moltissimo a trovarlo. L’unico punto a loro favore è infatti segnato da un solo ed unico prodotto: la lana. Gli Inglesi producevano la miglior lana d’Europa e non parlo di panni lavorati, parlo di lana grezza. Non era la produzione ad essere eccelsa bensì, semplicemente, le pecore. Viene quasi spontaneo, in questo caso, un parallelo con la nostra Italia attuale e con le sue materie prime di altissima qualità. Materie spesso svalutate da metodi di lavoro inappropriati o poco profittevoli.

Va anche detto che questa lana di alta qualità non aveva quasi mercato in Europa. In pochi erano disposti ad acquistare gigantesche matasse di lana grezza quando, nei territori italiani, si producevano lussuosi panni raffinati e, nelle fiandre, modernissimi capi di vestiario a prezzi contenuti. Con l’inizio del 1500, però, scoppia un mutamento improvviso. I francesi valicano le Alpi. Cominciano le guerre d’Italia. In pochi anni l’industria della lana italica viene ridotta a brandelli e i mercanti, in prevalenza tedeschi, sono quindi costretti ad abbandonare Genova e Venezia per cercare profitti da qualche altra parte: ad Amsterdam ed Anversa. Ecco quindi che, per la prima volta, il ricco mercato europeo si volta in direzione dei gelidi mari del nord, dove l’Inghilterra può finalmente farsi notare.

La ricchezza Inglese, però, non dura poi molto. Già verso il 1580 le esportazioni di lana cominciano a calare. L’industria italiana è in ripresa. I mercanti tedeschi sono ormai decaduti.  Mentre imperversa la guerra degli 80 anni tra Paesi Bassi e Spagna, il cui esercito, nel 1576, saccheggia e devasta la città di Anversa. Un saccheggio così violento che il più grande emporio commerciale del nord europa non riuscirà più a recuperare la posizione perduta.

Inglesi e migranti

Con il crollo del commercio laniero il destino economico inglese sembra definitivamente segnato, ma una nuova “rivoluzione” modifica ancora una volta le aspettative. E’ proprio in questo momento che prende avvio la storia che voglio raccontare: inglesi e migranti. Nel XVI secolo, infatti, l’Europa è una polveriera di guerre e scontri costanti. Non solo le guerre d’Italia e quelle tra Spagna e Paesi Bassi funestano il continente. Le persecuzioni e le numerose guerre di religione tra cattolici e protestanti sconquassano, infatti, il territorio francese e tedesco. Solo l’Inghilterra riesce a salvarsi dalla devastazione e, per questo motivo, viene eletta come meta d’immigrazione da chi, stanco delle guerre e delle persecuzioni, decideva di fuggir dall’Europa.

Scappare dalla guerra e dalla persecuzione nel XVI secolo non era affatto semplice. Provate a immaginare queste folle impoverite. Masnade che, spesso a piedi, percorrevano chilometri e chilometri tra miseria e malattia per poi imbarcarsi, di nascosto, in qualche battello inglese nella speranza di esser condotti a Londra.  In fin dei conti è una storia che conosciamo tutti.

Ciò che mi preme sottolineare è che non si trattava di benestanti alla ricerca di un luogo dove trascorrere gli ultimi anni della pensione.  Si trattava di individui impoveriti dalla guerra, spesso con un grande bagaglio di conoscenza e know-how ma con una tale scarsità di mezzi da renderli simili, in tutto e per tutto, a degli straccioni acculturati.  Le scelte del governo inglese davanti a queste folle maleodoranti erano semplicemente due: rimandarli a casa o sfruttarli nel migliore dei modi.

I risultati dell’accoglienza

I rapporti tra inglesi e migranti non furono mai semplici, come possiamo immaginare. Fortunatamente, però, i britannici scelsero quella che si rivelò essere la migliore delle opzioni. Scelsero di accogliere quelle masse impoverite, scoprendo poco a poco che, se ascoltate, avrebbero avuto molto da insegnare.  Ecco quindi che in pochi anni l’economia inglese poté beneficiare di uno sviluppo del tutto inaspettato.




Gli immigrati valloni, in fuga dalla guerra contro la Spagna, importarono sul suolo inglese le loro tecniche di lavorazione della lana. Impiantarono sul suolo britannico l’industria dei pannilani a basso costo, sconfiggendo la concorrenza dei Paesi Bassi,  grazie alla grande affluenza d’immigrati disposti a offrir lavoro di alta qualità a prezzi vantaggiosi. Allo stesso modo gli ugonotti Francesi e i fuggiaschi italiani introdussero l’arte del vetro, l’industria serica e quella orologiera che, in inghilterra, crebbe e si sviluppò fino a divenire la più pregiata d’Europa. Non a caso, ai primi del 1600, John Stow ebbe modo di dire, nei suoi annali, che:

La manifattura degli aghi alla spagnola fu introdotta da un tedesco, certo Elias Crowse.. La manifattura del vetro alla veneziana ebbe inizio durante il regno di Elisabetta, per merito di un certo Jacopo  Venalini.. Nel 1590 Godfrey Box, della provincia di Liegi, introdusse l’uso di lavorare il metallo sfruttando i mulini.. Un tedesco, mastro John Spilman, che fu poi fatto baronetto da Re Giacomo I, introdusse in Inghilterra il primo mulino per la produzione della carta  bianca fine.

Questione di mentalità

L’importantissimo contributo dato dagli immigrati allo sviluppo inglese non deve però farci scordare il grandissimo merito britannico. La popolazione dell’isola, infatti, ha avuto il pregio non scontato di comprendere fin da subito le potenzialità di chi giungeva sul suo territorio. Gli inglesi dimostrarono un’enorme apertura mentale per quanto riguarda l’adozione di nuove tecniche, metodi e mestieri. Ovviamente non mancavano i conservatori. Coloro che temevano che la cultura inglese sarebbe stata spazzata via da quelle folle impuzzolentite. Coloro che volevano respingere i barconi per tornare alla vecchia e sconveniente economia della lana. La maggior parte della gente, però, cominciò a guardare all’estero con un occhio diverso. Non con curiosità o sguardo critico, bensì con l’esplicito intento di apprendere il più possibile.

La lavorazione del ferro

Alla fine del 1500 l’Inghilterra si trovò in grande difficoltà per quanto riguardava la produzione di cannoni. Essi venivano fatti in bronzo e l’isola, non possedendo rame, era costretta ad acquistarli dall’estero. Con il tempo divenne però sempre più difficile metter le mani sul rame fornito, in prevalenza, dai propri rivali e per alcuni anni l’intera produzione di armamenti si trovò bloccata.

Ecco allora che gli inglesi misero in atto due azioni di straordinaria lungimiranza. In primo luogo mandarono dei tecnici in Svezia, al fine di studiare la lavorazione del ferro, di cui il suolo inglese era ricco. In secondo luogo invitarono tecnici svedesi con l’obiettivo di avviare un’intensa produzione, mentre i colleghi inglesi erano in Svezia a formarsi. Si tratta in questo caso di un vero e proprio scambio di competenze mediato dal capitale umano. La produzione di ferrò prese dunque il volo e in pochi anni i cannoni prodotti, molto più convenienti di quelli di bronzo, si diffusero su tutte le navi europee portando altra ricchezza nelle casse londinesi.

Le avvisaglie di una rivoluzione

Nel corso del 1500 le verdi foreste inglesi cominciarono a scomparire. L’aumento della popolazione per fattori interni e per la costante immigrazione costrinse ad un sempre maggior utilizzo del legname a scopi edili e di combustibile. Fu proprio la scarsità di legname e un carico di popolazione crescente a convincere gli inglesi ad utilizzare una fonte di energia conosciuta ma ritenuta inquinante e poco affidabile fin dal medioevo. Ovviamente sto parlando del carbone.

Lo sviluppo della lavorazione del ferro, così come l’industria del carbone, difficilmente si sarebbero sviluppate senza il costante afflusso di immigrati. Immigrati, ovvero persone, con bisogni, necessità e, in taluni casi, conoscenze specializzate.  Fu così che l’Inghilterra si ritrovò, già alla metà del 1600, con una struttura economico-produttiva che, nel giro di un secolo, sarebbe esplosa nella “rivoluzione industriale“.

Il commercio

Anche lo sviluppo commerciale britannico non può sottrarsi a questo costante scambio dialettico tra inglesi e migranti. Nel periodo preso in esame (1500-1700) le esportazioni inglesi aumentarono di circa sei volte. Questo enorme sviluppo non sarebbe stato possibile senza due fattori: in primo luogo il commercio oltre oceano che, tuttavia, fino ai primi del 1700 resterà modesto e spesso più simile ad un contrabbando specializzato. In secondo luogo è importante notare che i mercanti stranieri a Londra, inizialmente giunti come migranti in fuga, fecero valere i rapporti di sangue con chi, invece, era rimasto in patria, generando imponenti flussi di merci e di denaro che sarebbero stati impensabili senza possedere, a monte, i “contatti giusti“.

Londra si riempì di banche, il cui stile fu appreso dagli italiani e di assicurazioni nautiche sul modello olandese, mentre l’enorme sviluppo navale fu in parte dovuto alla presenza di manodopera a basso costo, immigrata dall’Europa, disposta a lavorare nei cantieri navali e come marinai.

Questi ulteriori sviluppi contribuirono a creare, sul suolo inglese, una certa etica del lavoro, del commercio, dell’investimento e dell’accumulazione di capitali che, rapidamente, ebbero i loro effetti anche sul suolo nazionale. Il commercio interno aumentò costantemente mentre si diffondevano attività economiche di ogni tipo, che consentirono di elevare il reddito medio inglese, in confronto a tutto il resto di Europa, con conseguenti effetti positivi sul tenore di vita dei suoi variegati abitanti.

Inglesi e migranti, una storia che si ripete

Questa peculiare storia inglese, in realtà, di peculiare non ha proprio nulla. Dinamiche simili, in tempi differenti, le ritroviamo in tutte quelle formazioni politiche che, superando la diffidenza nei confronti del diverso, hanno saputo accogliere e ascoltare le folle di immigrati. Così è stato per l’Olanda e la Svezia del XVII secolo, per la Russia di Pietro il grande, l’impero arabo del VIII secolo e quello ottomano del 1400. Inglesi e migranti. Russi e migranti. ottomani e migranti. Cambia la formazione politica ma l’immigrato, nella sua fondamentale natura di diverso, è sempre lo stesso.

Ciò che possiamo affermare è che il processo di respingimento delle ondate migratorie è, spesso e volentieri, una possibilità mancata. Una possibilità di assimilare un determinato know-how, di acquisire nuovi concetti metodologici e culturali ma anche e soprattutto, una possibilità relativa al collegarsi al mondo che ci circonda. Perché in fin dei conti è proprio questo a fare il benessere e la ricchezza di una nazione: una costante capacità di ascolto e assimilazione interna che fornisce i mezzi e gli strumenti per dialogare, in maniera profittevole, con il mondo intero. Il miglior augurio che possiamo dunque farci riguarda, quindi, proprio il fatto che in questo secolo, forse, potremmo essere noi i protagonisti della storia che qui, in questo caso, ho semplicemente chiamato: Inglesi e migranti.

Andrea Pezzotta

 

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