Sull’inclusione linguistica: l’inglese afroamericano vernacolare e l’identità afroamericana

inglese afroamericano vernacolare

Nell’ambito dell’istruzione ci si trova spesso ad affrontare il fondamentale problema di come trattare la diversità linguistica all’interno delle aule. Quest’ultima viene presentata come un’opportunità per arricchire l’ambiente educativo. Tuttavia, spesso la realtà è diversa. La diversità linguistica, soprattutto quella relativa all’inglese afroamericano vernacolare (AAVE: African American Vernacular English), è ancora spesso considerata come un errore che è necessario correggere e conformare all’inglese “standard”.

L’inglese afroamericano vernacolare: storia e origini

L’inglese afroamericano vernacolare è un dialetto ricco di storia e significato culturale. Le sue origini risalgono alla complessa e tragica storia degli africani e afroamericani negli Stati Uniti d’America. L’evoluzione dell’inglese afroamericano vernacolare riflette la lotta per l’identità e l’autonomia culturale contro il sistema di oppressione.

I dibattiti sulle origini dell’inglese afroamericano vernacolare sono frequenti tra molti linguisti e storici. Alcuni di loro sostengono che questo dialetto abbia origine dalle lingue africane portate in America dagli schiavi deportati durante il periodo della tratta atlantica. Questa teoria è supportata dalla presenza di strutture linguistiche e fonologiche simili a quelle delle lingue dell’Africa occidentale e centrale. Altri studiosi suggeriscono che l’inglese afroamericano vernacolare sia stato influenzato anche dai dialetti inglesi dei coloni bianchi. L’evoluzione dell’AAVE è avvenuta attraverso secoli di scambi e interazioni tra culture e lingue diverse all’interno degli Stati Uniti d’America.

L’inglese afroamericano vernacolare all’interno del sistema scolastico

Troppo spesso, all’interno del sistema scolastico, gli studenti che parlano l’inglese afroamericano vernacolare sono ingiustamente etichettati come portatori di “disturbi di linguaggio” e vengono indirizzati verso percorsi di educazione speciale senza una valutazione adeguata delle loro effettive necessità o competenze linguistiche. Ciò crea degli stereotipi dannosi che portano alla discriminazione dei parlanti di questo dialetto.

Per risolvere questa problematica, è necessario riconoscere che la sostituzione forzata dell’inglese afroamericano vernacolare con il cosiddetto inglese “standard” non valorizza la diversità linguistica e non prende in considerazione la ricca storia culturale del dialetto in questione.

Educatori e linguisti credono fortemente nel bisogno di adottare, all’interno del sistema dell’istruzione, degli approcci inclusivi che rispettino le varietà linguistiche, promuovendo la diffusione di più registri linguistici attraverso delle strategie didattiche, come quella del code-meshing.



Il code-meshing è un approccio alla comunicazione che presuppone che tutti i dialetti e le lingue abbiano stesso valore e complessità. Mentre il code-switching, il termine che indica il passaggio da una lingua all’altra o da una lingua a un dialetto, considera l’uso della lingua come un aspetto che debba adattarsi a varie situazioni e contesti, il code-meshing promuove l’idea che non esiste un uso corretto o errato della lingua, ma che ogni lingua sia complessa e che tutte le variazioni linguistiche possano coesistere in qualsiasi contesto. Dunque, è fondamentale comprendere l’importanza del code-meshing e della sua integrazione all’interno del sistema d’istruzione, così che questo approccio possa offrire una nuova prospettiva sull’apprendimento linguistico.

La vera competenza non deriva da un adattamento a un unico standard, ma dalla capacità di apprezzare e valorizzare la ricchezza delle diverse espressioni linguistiche. In questo modo, non si ottiene solamente un arricchimento comunicativo, ma anche culturale. Così facendo, si ha l’opportunità di contribuire a un’esperienza di educazione linguistica più inclusiva e rispettosa della complessità e diversità della cultura.

Le influenze dell’inglese afroamericano vernacolare

L’inglese afroamericano vernacolare ha avuto un profondo impatto culturale sulla società americana, influenzando la letteratura e la musica. Nella letteratura, autori afroamericani come Zora Neale Hurston, Toni Morrison e Langston Hughes, attraverso i loro scritti, hanno catturato l’autenticità della vita degli afroamericani con l’utilizzo dell’inglese afroamericano vernacolare. La loro scelta stilistica, offrendo una prospettiva sulla complessa esperienza e identità afroamericana, ha dato la possibilità a storie che, altrimenti, sarebbero rimaste inascoltate, di essere conosciute da un grande pubblico dimostrando che l’AAVE non si riduce a essere un mezzo di comunicazione, ma anche uno strumento di resistenza e affermazione della propria identità.

Nell’ambito musicale, le influenze dell’inglese afroamericano vernacolare sono altrettanto numerose e significative. Generi come il blues, il jazz, l’hip hop e il rap traggono le loro radici profonde da questo dialetto, utilizzandolo per raccontare storie di lotta e resilienza. In contesti di marginalizzazione e oppressione, l’AAVE ha dato la possibilità di esprimere identità collettive e individuali, permettendo agli artisti afroamericani di trasmettere messaggi che hanno contribuito all’empowerment delle proprie origini e della propria cultura.

Per mettere in evidenza l’importanza dell’inglese afroamericano vernacolare, leggiamo le parole di Zora Neale Hurston che, in Their Eyes Were Watching God, utilizza l’AAVE per descrivere l’esperienza afroamericana. Hurston scrive: “Ah didn’t want to be used for a work-ox and a brood-sow and Ah didn’t want mah daughter used dat way neither.” (“Non volevo essere usata come un bue da lavoro e una scrofa da riproduzione e non volevo che anche mia figlia fosse usata in quel modo.”). Questa frase dimostra come l’utilizzo dell’AAVE non si limiti semplicemente a una questione di stile di scrittura, ma è uno strumento che mostra la complessità della realtà afroamericana in un modo che l’inglese “standard” non riuscirebbe mai a fare.

 

Elena Caccioppoli

Exit mobile version