Avvicinare i giovani visitatori attraverso queste strategie di influencer marketing culturale è condannabile senza appello o un segnale da valorizzare?
Nonostante l’incremento nel numero di giovani visitatori, il binomio influencer e musei ha suscitato molto scalpore nel mondo della cultura, che non vede di buon occhio le star dei social nella veste di ambasciatori culturali.
Influencer e musei: un sacrilegio!
Il 17 Luglio le Gallerie degli Uffizi, nella speranza di rilanciare l’immagine del museo in vista delle riaperture post covid-19, hanno ospitato nelle proprie sale la nota imprenditrice milanese Chiara Ferragni che, approfittando di un photoshooting per la rivista Vogue, organizzato nelle prestigiose sale del museo fiorentino, si è concessa una visita in compagnia di una guida d’eccezione. Niente di meno che il direttore, Eike Schmidt.
Non sarà stata certamente solo la cordialità teutonica né tantomeno la grazia di Chiara a motivare la disponibilità del direttore che, oltre ad aver accompagnato in visita la giovane influencer, ha suggerito la condivisione di un post sui canali social del museo. Cortesie per gli ospiti? Non solo.
È evidente che le Gallerie degli Uffizi, così come molte realtà culturali del nostro paese, si stanno muovendo per avvicinare il target dei più giovani difficilmente attratti dalla visita al “polveroso museo”, attraverso operazioni di marketing che sfruttano l’immagine delle icone social contemporanee, per promuovere il patrimonio che custodiscono.
“Venere contemporanea”, proprio così è stata definita Chiara Ferragni dai social media manager degli Uffizi. Definizione che, insieme alla pubblicazione delle foto di Chiara immortalata davanti ai capolavori rinascimentali, ha scatenato una grande polemica.
Influencer e musei: è possibile schierare gli influencer al servizio del mondo della cultura?
I “puristi” del mondo dell’arte non vedono affatto di buon occhio questo rapporto fra influencer e musei in quanto i primi non sarebbero rappresentativi del valore artistico e indegni di comunicarlo, criticando così anche le scelte intraprese dai Musei e ritenute eccessivamente commerciali.
È di parere opposto la politica di avvicinamento adottata da Christian Greco, direttore del Museo Egizio che è solito citare Philippe de Montebello, storico direttore del Metropolitan Museum di New York secondo cui
Nessun museo può avere l’arroganza di pensare di esistere per diritto divino
Le “ingerenze” degli influencer hanno riscosso grande successo. Lo dimostrano i numeri che registrano incrementi dei flussi dei visitatori, ma nemmeno questo ha fermato le rivendicazioni degli haters. I numeri sono considerati un’aggravante in quanto visitatori passivi e “inconsapevoli” , attirati solo dalla reputazione dell’influencer di turno.
Quello di Chiara Ferragni agli Uffizi e al MArTa – Museo Archeologico di Taranto non è che un esempio, forse il più discusso, della strada che molti personaggi pubblici stanno percorrendo in collaborazione con le realtà museali del nostro paese.
Ricordiamo tra i più recenti il rapper Mahmood che ha girato il suo singolo “Dorado” nelle sale delle Gallerie dei Re al Museo Egizio di Torino (non nuovo ad iniziative di rottura per attirare nuovi target), il cantante Marco Mengoni negli ambienti di Palazzo Madama sempre a Torino, l’infuencer Cristina Fogazzi (in arte Estetista Cinica) che è stata etichettata come “shampista” per aver osato diffondere le bellezze della Cappella Sistina e molti altri.
Gucci agli Uffizi, Dior al Louvre.. impossibile dimenticare il mondo della moda e i brand che scelgono i musei come location per impreziosire le proprie sfilate come ha fatto di recente Valentino Garavani nella sala Grande di Palazzo Colonna, gioiello del barocco romano.
Influencer e musei. Contaminazione o evoluzione?
I puristi si indignano che venga conferito a personaggi “frivoli” il ruolo di portavoce di messaggi culturali o ambasciatori di patrimonio in rispetto a un’oligarchia del sapere che vede alcuni più degni di altri di comunicare un valore.
Tutto ciò sarebbe assolutamente comprensibile essendoci fior di esperti con conoscenze e competenze adatte ad approfondimenti in merito, ma non è questo il caso. Blogger e influencer, immortalando la propria esperienza, non si dichiarano storici dell’arte. Stanno semplicemente condividendo la propria personalissima idea di visita, la propria visione di museo.
Attraverso questo linguaggio narrativo in molti sono incuriositi e stimolati alla visita. Inizialmente forse alcuni sono spinti dall’emulazione delle gesta di quelli che sono diventati le icone, i beniamini del nostro tempo. Ma è poi grave? Per nulla di fronte al merito di aver incuriosito un nuovo visitatore e avergli fatto varcare il portone del polveroso museo. Museo dentro cui potrebbe entrare da inconsapevole, ma uscirne certamente migliore.
La domanda giusta in relazione al rapporto fra influencer e musei potrebbe essere: “chi impreziosisce chi?”. La visibilità dei personaggi in voga sui social o il fascino immortale degli ambienti del nostro patrimonio?
Potrebbe essere saggio non fare ingiuste comparazioni ragionando sul fatto che due diverse realtà, strumento e messaggio, possano rispettosamente servirsi l’una dell’altra.
Il personaggio pubblico ha un grosso seguito e un forte appeal, ma ha necessità di nutrirsi di contenuti sempre nuovi che deve rinnovare incessantemente. Quale migliore fonte di approvvigionamento del nostro immenso, spesso poco valorizzato patrimonio culturale?
Serena Oliveri
Argomento interessante!
Grazie Giacomo