Notizie preoccupanti arrivano dall’università del Nord Carolina a Chapel Hill e da un team di ricerca che comprende ricercatori dalla Clinical Research Management in Ohio e dall’ospedale ELWA in Liberia. La scoperta è a proposito dell’infettività del virus Ebola per via sessuale e ne è stata data notizia nell’Open forum infectious diseases, il seme di alcuni sopravvissuti all’Ebola è risultato positivo all’RNA virale anche oltre due anni dopo l’infezione.
Perché la scoperta sull’infettività del virus ebola è preoccupante
I ricercatori hanno immediatamente pubblicato la propria scoperta e si sono direttamente appellati all’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS o WHO in inglese) perchè la raccomandazione della stessa OMS per gli uomini sopravvissuti alla terribile malattia è di astenersi dal sesso o almeno usare un profilattico per almeno un anno o fino a che il proprio seme non risulti negativo alla ricerca dell’RNA dell’ebola per due volte. Naturalmente l’appello è perchè l’OMS consideri di modificare la sua raccomandazione estendendo il periodo in cui applicare la precauzione.
Lo studio e i risultati
Lo studio ha coinvolto 149 sopravvissuti all’ebola a Monrovia (capitale della Liberia) che hanno donato il proprio seme, di questi 13 sono risultati positivi per l’RNA del virus Ebola. 11 di questi avevano avuto la malattia da oltre due anni.
Altra cosa interessante è che alcuni di questi uomini erano stati testati in precedenza e avevano dato risultato negativo, ma questa forse non è una assoluta sorpresa se già nelle attuali raccomandazioni dell’OMS, come abbiamo visto, si parlava di due esami negativi per stare sicuri.
Per quel che riguarda la salute dei soggetti quelli risultati positivi lamentavano problemi alla vista ed erano mediamente più vecchi, segno che la senescenza del sistema immunitario (con l’età perde di efficacia) permette al virus di andarsi a insediare in siti del corpo in cui sopravvive.
Per quel che riguarda l’infettività del virus ebola per via sessuale non sappiamo se la presenza dell’RNA indichi un reale rischio di trasmissione (da qui il condizionale usato nel titolo, sul fatto che l’RNA virale sia presente non ci sono dubbi) ma certamente, dicono i ricercatori, bisognerà investigare ulteriormente su entrambi gli aspetti, persistenza del virus nell’organismo per lunghi periodi di tempo (e cosa comporti in termini di salute) e come sia legata all’infettività.
Un’ultima non secondaria raccomandazione dei ricercatori è che gli ulteriori studi dovranno essere condotti in modo da aiutare la comunità dei sopravvissuti al virus piuttosto che aumentare lo stigma sociale generato dalla paura.
Roberto Todini