Noi, infermiere nel Regno Unito di Boris Johnson, al tempo del Covid-19

infermiere nel Regno Unito

infermiere nel Regno Unito

Michela e Alice sono due infermiere che cinque anni e sei anni fa sono partite rispettivamente da Brescia e da Verbania per lavorare nel Regno Unito. Complici contratti non rinnovati in Italia, un pizzico di spirito d’avventura e un post Facebook letto al momento giusto, sono state catapultate nel mondo della sanità britannica e oggi lavorano in un ospedale del Wiltshire, nel Sud est dell’Inghilterra. Le abbiamo contattate per farci spiegare come vivono e lavorano oggi nell’Inghilterra di Boris Johnson ai tempi del Coronavirus, consapevoli di quel che amici e familiari stanno vivendo in Italia.




Partiamo dalle premesse: come funziona il sistema sanitario britannico? C’è qualche aspetto da conoscere per comprendere meglio la situazione?

Michela: Il sistema sanitario nazionale qui si chiama NHS e come in Italia è gratuito. C’è la possibilità di optare anche per una copertura privata tramite assicurazioni, ma a grandi linee è come in Italia. All’interno del sistema, invece la gerarchia è diversa rispetto all’Italia. Ci sono molte più figure professionali e specializzate. Diversi gradi di esperienza e gerarchia vengono chiamati Band con accanto un numero (es. Infermiere generico è Band 5, la caposala è Band 7. Tra I due c’è il Band 6 che in Italia non esiste.

Alice: All’interno è sviluppato in modo un po’ diverso, sia come formazione del personale medico e di “gerarchie” sanitarie, che come ruolo degli infermieri. Ma in generale è un sistema che funziona bene.




Come viene percepito il sistema sanitario britannico dai cittadini e dagli utenti?

Alice: In generale è un sistema efficiente e fruibile a tutti. Ovviamente l’inglese medio si lamenta dei periodi di attesa, dell’inefficienza del personale, della mancanza di risorse ecc. E poi riempiono il pronto soccorso per motivi futili. Come in Italia!

Michela: Ci sono spazi di miglioramento come d’altronde per tutte le cose. Quello che secondo me è meno efficiente rispetto all’Italia è il percorso di studi e di formazione degli infermieri. Il nostro corso di laurea è molto più intensivo e formativo. Un’inefficienza che ho sempre notato poi, e che in questo periodo di crisi peserà molto, è l’approccio al controllo/prevenzione delle infezioni. Questo secondo me è dovuto alla mancanza di formazione ed ignoranza della popolazione sanitaria e non.




Veniamo al dunque: come va al lavoro?

Michela: Al lavoro va bene, sembra la calma prima della tempesta. Noi lavoriamo in ortopedia e letti vuoti non ne vediamo spesso, ma spesso i letti vengono anche occupati in maniera inappropriata per ragioni futili, come ad esempio accelerare i tempi di attesa per procedure come risonanze magnetiche di routine. In questi ultimi giorni invece i letti sono sfruttati adeguatamente. Ogni giorni i vari direttori si incontrano in Covid Briefing dove discutono dei vari step da adottare in relazione alle notizie ricevute giornalmente. Altrimenti per il resto a lavoro non è cambiato nulla, lavoriamo le nostre 12 ore, eat, sleep and repeat!

Alice: Anche gli accessi al pronto soccorso sono diminuiti, perché la gente ora evita di venire in ospedale se non per emergenze reali. Questo è forse l’unico aspetto positivo di questa situazione: spero che la gente si ricordi anche in futuro che gli ospedali non sono parcheggi per persone e il pronto soccorso ha ridotti tempi di attesa se gli accessi sono limitati a chi davvero ne ha bisogno.

Voi avete già svolto il vostro periodo di quarantena a casa, giusto? Per quale motivo?

Alice: Siamo state nel Nord Italia per 10 giorni di ferie, ma al nostro rientro le indicazioni nel Regno Unito non erano ancora molto chiare. Con buonsenso e in accordo con i nostri manager, abbiamo optato per stare in casa per due settimane in isolamento. Noi non siamo state specificatamente nei paesi indicati come primi focolai, ma abbiamo viaggiato avanti e indietro tra Lombardia e Piemonte. Appena atterrate a Londra abbiamo contattato il numero nazionale. 

Michela: Sul sito internet di Public Health England le zone in cui eravamo state erano considerate comunque zone rosse in lockdown. Durante quel periodo la nostra caposala ha iniziato a chiamarci e ad aggiornarci. Poi l’ospedale ha preso posizione in base alle direttive di PHE e ci ha imposto un isolamento preventivo di 2 settimane. Avremmo potuto essere asintomatiche, ma nonostante questo non ci è stato fatto alcun tipo di screening per escludere 100% la presenza del virus ed ora siamo tornate a lavoro, in ospedale, a contatto con il pubblico e persone debilitate e a rischio.

Com’è leggere da lontano la preoccupante situazione italiana e, al tempo stesso, dover lavorare come infermiere nel Regno Unito di Boris Johnson?

Michela: Leggere e vedere al tg la drammatica situazione in Italia ci preoccupa, soprattutto pensando ai nostri cari.  Al tempo stesso però consola il fatto che rientrare a casa da lavoro non comporti alcun pericolo per loro. Per quanto riguarda le dichiarazioni di Johnson non saprei che dire, è un incapace e si nasconde dietro la scrivania. L’Italia e la Cina sono esempi da seguire per come i governi hanno reagito e per le strategie di contenimento. Sembra che il governo inglese stia reagendo a rilento.

Alice: Quello che fa rabbia è che si sarebbe potuto e dovuto fare molto prima per ridurre ulteriormente la diffusione e il carico di lavoro sugli ospedali. La sensazione è davvero che l’aspetto economico abbia più importanza rispetto alla salute della persone. E questo fa paura. 

In questi giorni, dopo numerosi restrizioni, in Italia la gente sembra essersi adeguata. E’ cambiato qualcosa nella vita quotidiana dei britannici? Vengono imposte delle regole?

Michela: La metropolitana di Londra non ha ancora chiuso, i ristoranti e i pub e tutti gli altri negozi non indispensabili sono ancora aperti. La gente non mantiene le distanze, va ancora in palestra. Le scuole hanno chiuso solo venerdì 20 marzo e si parla di chiudere i pub solo a partire da lunedì. Hanno sospeso le manifestazioni sportive come in Italia quasi subito, ma quello se vuoi era il problema minore. E’ apprezzabile però che un sacco di negozi, supermercati e bar stiano facendo sconti importanti ai lavoratori NHS. Magari aprono un’ora prima per agevolare la spesa alle categorie di lavoratori a rischio.

Alice: Le regole stanno arrivando, piano piano. Per ora però sono per lo più raccomandazioni, quindi la gente è ancora in giro e ancora la stragrande maggioranza deve lavorare. Con la differenza che saccheggia i supermercati e si fatica a trovare anche i beni primari

Da professioniste del settore, cosa pensate della strategia di “non contenimento” inizialmente portata avanti dalla Gran Bretagna?

Michela: È una cavolata. Il non contenimento con la speranza di raggiungere l’immunitá di gregge è un’illusione.  La cosa preoccupante però è la loro conoscenza del controllo delle infezioni. Noi vediamo in Italia gli infermieri bardati da capo a piedi con occhiali e mascherine Ffp3 e copri scarpe. Qui forniscono a malapena mascherine chirurgiche nei reparti “normali” e solo in terapia intensiva hanno le protezioni adatte. Questa cosa spaventa. Leggo però che anche in Italia i dpi non sono abbastanza e in alcuni ospedali sono anche in situazioni peggiori.

Alice: Il primo pensiero sono state una serie di parolacce! È da irresponsabili e altamente rischioso. È stato fatto un discorso di immunità di gregge per un virus che non si conosce. Innanzitutto l’immunità di gregge si ottiene con i vaccini, non con la malattia stessa. È come dire immunizziamoci dal morbillo con i morbillo party. Peccato che non per tutti sia così facile guarirne. Tanto più se si parla di una patologia provocata da un virus di cui sappiamo pochissimo. In secondo luogo, non si sa nemmeno se sia possibile immunizzarsi per Covid-19.

Avete magari discusso con qualche collega o amico inglese della situazione in Italia? Se sì, ci ritengono eccessivamente preoccupati? Oppure, primeggia lo stereotipo sugli italiani indisciplinati?

Alice: Io personalmente non ho sentito critiche né positive né negative rispetto alle misure prese in Italia. Quando se ne parla è più a livello personale, su come sta la mia famiglia, ad esempio. E anzi viene espressa stima e sostegno vedendo i video degli italiani che cantano dai balconi! Credo che almeno tra colleghi in ospedale si sia tutti molto consapevoli che il peggio debba ancora venire e che le misure che il governo dovrà prendere dovranno essere molto restrittive. Per questo, vedere come sono le cose in Italia è per loro un esempio di quello che potrà accadere anche qui.

Michela: Discusso con i colleghi, sì. Ogni giorno. C’è chi pensa che siamo eccessivi, c’è chi la pensa come Johnson. Poi c’è chi pensa sia la selezione naturale e chi pensa sia la fine del mondo. Ci si divide in chi ha il buon senso di seguire le direttive e chi no. Proprio come in Italia. Gli idioti sono sempre dappertutto!

Elisa Ghidini, con Michela Leone e Alice Gagliardi

 

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