Risposte semplici a problemi complessi: deumanizzazione, guerra e infantilizzazione online dei nuovi adulti

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La questione mediorientale ha reso particolarmente evidenti alcuni meccanismi di banalizzazione per questioni di grande complessità in nome del format, palesando i già esistenti processi di infantilizzazione online dei nuovi adulti all’interno dei social media e della società digitale.

Risposte semplici a problemi complessi: deumanizzazione, guerra, e infantilizzazione online dei nuovi adulti – I cambiamenti dell’information age hanno causato un significativo spostamento nei sistemi di comunicazione e, appunto, di informazione da parte delle nuove generazioni.

In special modo, sono i cosiddetti digital natives a risultare più soggetti alle critiche – spesso poco analitiche – dei processi che hanno portato, giusto per fare un esempio, alle stranezze che appaiono sulla homepage di TikTok live.

Ma dove ci si limita ad osservare Millennials e GenZ additando le tendenze della società digitale a una deriva generazionale, è forse più importante notare come sia lo stesso formato della comunicazione online a sminuire il pensiero critico e a modellare narrative complesse in infantilistiche prese di posizione.

La guerra israelo-palestinese e la semplificazione del messaggio

I fatti dell’ultimo mese hanno fornito un’esemplare dimostrazione di come nell’ecosistema digitale venga richiesta una presa di posizione da parte delle figure di riferimento, inclusi soprattutto influencer che possono (giustamente) non avere qualifiche o capacità necessarie per poter discutere in maniera approfondita di problemi tanto spinosi quale la questione palestinese.

I rischi sono molteplici: in primis, come discusso da Benedetta Lo Zito su Ultima Voce, quello dell’attivismo performativo e promozionale, dove “risulta più complesso rimanere neutrale, più semplice prendere posizione, e più svantaggioso che vantaggioso perdere follower a sinistra; magicamente, tutt3 l3 influencer e le attivist3 digitali che hanno taciuto finora iniziano a postare sulla Palestina”.

Ma la problematica conseguente è la diffusione di opinionismo superficiale, di “giusto contro sbagliato”, di adozioni ideologiche semplificate a più livelli: in cima, l’influencer che, senza (troppa) colpa discute di argomenti che non comprende appieno; ma anche nel messaggio, che per struttura stessa dei social media, della dimensione del dispositivo da cui viene letto, dell’intero design comunicativo sottostante, ha come presupposti quelli di essere semplice, breve, veloce, dritto al punto. E, alla base, un utente consumatore che, proprio in via dell’alta digeribilità di un simile messaggio, tende a riproporlo senza mediazione o ulteriore rielaborazione critica.

Il breve passo dalla propaganda all’infantilizzazione online dei nuovi adulti

Se si notano poche differenze fra un simile sistema di comunicazione e la propaganda di stampo novecentesco, è perché non ce ne sono poi molte. L’utente è trattato come un bambino a cui non viene mai affidata l’immagine di insieme, né tantomeno la fiducia di poterla comprendere.

Si tratta di un problema che per quanto riguarda la guerra in medioriente tocca entrambe le fazioni in conflitto: un esempio lampante di ciò sono le immagini promozionali Hamas Redefines Evil prodotte per il sito filoisraeliano hamas-massacre, dove sono raccolte alcune prove dei crimini compiuti da Hamas durante i loro attacchi. Le immagini mostrano i cattivi della cultura pop orripilati mentre navigano il sito dal proprio smartphone, affiancando così caricature della narrativa per ragazzi a un’organizzazione terroristica.



Il nemico viene trasformato in un diretto parallelo di quel “Male” che esiste solo nella mente dei bambini. Una semplificazione deumanizzante che torna molto comoda alle forme di potere per poter giustificare qualunque guerra, e che riporta alle stesse forme di negazione dei diritti umani che hanno caratterizzato il movimento nazista nella prima metà del ventesimo secolo, quando la popolazione ebraica era paragonata a un virus da estirpare.  In relazione a questo punto, ne La negazione dell’umanità, la psicologa sociale Chiara Volpi afferma quanto segue:

Gli studi psicosociali che hanno indagato i processi di deumanizzazione hanno provato come essi costituiscano un correlato necessario dei comportamenti di esclusione e atrocità sociale: atti negativi estremi nei confronti di un gruppo percepito come nemico sono facilitati dalla riduzione o dalla negazione dell’umanità di tale gruppo. Nei contesti di conflitto inter-gruppi, individuare attributi deumanizzanti può essere quindi estremamente importante perché la loro presenza costituisce un indizio della disponibilità a compiere violenze estreme.

Per deumanizzare l’Altro bisogna ridurlo, banalizzarlo. E per fare ciò, bisogna manipolare il destinatario del messaggio, deresponsabilizzarlo della possibilità di vedere la realtà, ridurre il più possibile le sue visioni del problema al binomio bambinesco di bene contro male.

Un’infantilizzazione online dei nuovi adulti che danneggia tutti

Simili problematiche non riguardano solamente episodi geopolitici capaci di scuotere tutti, riguardando anche aspetti della vita quotidiani e prossimi alla vita personale dei giovani adulti, anche di coloro non interessati a ciò che accade nel resto del mondo o non invischiati in tematiche di appariscenza sui social media.

I nuovi adulti affrontano infatti da più lati i problemi di una società contemporanea poco disponibile nei loro confronti: se da un lato la crisi economica risponde a un aumento del costo di vita con stipendi invariati, dall’altro le critiche degli old timers relativamente all’indisposizione dei giovani di accettare condizioni lavorative quantomeno discutibili hanno causato un ritiro di molti in uno stato di limbo vissuto con ansia e preoccupazione fra quello che viene definito adulting e la vita giovanile.

I media, come loro solito, hanno accentuato tali posizioni, creando un vero e proprio mercato del content per cui ogni narrativa, sia essa fittizia o meno, segue i precetti della banalizzazione e della deresponsabilizzazione individuale. E l’era dell’informazione, con la sua velocità ed effimerità, spinge l’utente a non approfondire argomenti che il giorno successivo potrebbero già essere datati o, peggio, fuori moda in un’incessante corsa al trend.

Se a questo si aggiunge il legittimo desiderio da parte dei giovani di evadere dalle assillanti problematiche sociali ed ecologiche, nella ricerca di un luogo sicuro ed esule dalla smisurata complessità del mondo contemporaneo, ecco che messaggi semplici ed efficaci sono in grado di attecchire e rassicurare con facilità.

Il rinnovato bisogno di un’educazione al digitale

La soluzione esiste, e come sempre è difficile e richiede indubbiamente un impegno individuale per uscire dalle maglie di un sistema disegnato e costruito per dare risposte semplici a problemi complessi. Allo stesso tempo, risulta ormai altrettanto necessario affrontare il problema crescente di una totale mancanza di educazione sul territorio, italiano e non, al mondo digitale e all’informazione.

Roberto Pedotti

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