28 marzo 1945 – la partigiana romagnola Ines Bedeschi viene fucilata dai nazifascisti

Ines Bedeschi Partigiane

Torturata e uccisa per non aver voluto tradire i suoi compagni, la partigiana Ines Bedeschi, nome di battaglia Bruna, è una fra le tante vittime della Resistenza italiana.

“Non ho parlato e non parlerò”

Con queste parole Bruna rassicurava i suoi compagni, Gavino Cherchi e Alceste Benoldi, quando tornava in cella dopo ogni interrogatorio. Nel 1945, una volta arrestata, per più di un mese Ines Bedeschi subì terribili torture, finché, all’alba del 28 marzo, i nazifascisti non la fucilarono a Mezzano Rondani (Parma). Subito dopo, il suo corpo fu gettato nel Po e mai più ritrovato, così come quelli dei due compagni, cui capitò la stessa terribile sorte.

Da Ines a Bruna

Nata a Conselice (Ravenna) da una famiglia di contadini nel 1914, fin dalla giovinezza mostrò una forte inclinazione antifascista, che alimentò in lei un’indole impavida e battagliera. Infatti, quando cadde il Fascismo il 25 luglio 1943, era già impegnata nella lotta alla liberazione di Ravenna, che si concretizzerà solo nel gennaio 1945. Tuttavia, durante le giornate calde di quel luglio, non lasciò mai il campo di battaglia, nemmeno dopo l’intervento armato dal maresciallo Badoglio. Firmato l’armistizio di Cassibile, l’8 settembre 1943, Ines Bedeschi prese il nome di Bruna ed entrò a far parte della Guerra di liberazione nelle file della Resistenza emiliana.

L’ingresso nel CUMER

Nell’aprile del 1944, il CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) a Bologna fondò il Comando Unificato Militare Emilia Romagna (CUMER), nel quale Ines militò come staffetta insieme a Enrichetta Cabassa, un’altra eroica partigiana. Ogni giorno Bruna pedalava per chilometri da Conselice a Ravenna, Rimini, Forlì e Bologna per portare informazioni e materiale da stampare nelle tipografie clandestine. Per mesi la sua casa è stata un centro di ritrovo per i partigiani, in cui alla sera trascorreva lunghe ore  a battere a macchina centinaia di documenti e relazioni.

Il trasferimento a Parma

Nell’agosto del 1944, dal momento che c’erano forti sospetti sulle sue attività e sui suoi spostamenti, il Comitato decise di trasferirla a Parma. Qui continuò a lavorare per la Resistenza, affrontando anche una durissima guerriglia insorta tra nazifascisti e partigiani. Nel Parmense il ruolo di Ines fu fondamentale ed estremamente delicato, poiché teneva in collegamento il Comitato di liberazione, i partiti clandestini e i comandi partigiani regionali.

La giornata dell’Apocalisse

Il 23 febbraio 1945, Bruna prese parte a quella che diventerà la sua ultima missione da partigiana. A un solo mese dalla Liberazione, i nazifascisti, particolarmente inferociti dalla constatazione di essere ormai giunti alla fine, arrestarono Ines Bedeschi e i suoi due compagni. A nulla servirono le torture e gli stenti cui fu sottoposta, Bruna non tradì mai la Resistenza, consapevole che il silenzio le sarebbe costato la vita.

28 marzo 1945

Circa un mese dopo il suo arresto, i nazifascisti fucilarono Ines sulle rive del Po per poi gettarne il corpo nel fiume. Oggi il suo sacrifico è ricordato con un cippo commemorativo costruito dal Comune di Colorno (Parma) presso il ponte sul Po in zona Mezzano Rondani. A soli trentuno anni, Ines Bedeschi morì per un sogno di libertà che purtroppo non ha potuto vedere realizzato il mese dopo, in quello storico 25 aprile 1945. A Conselice, in Corso Garibaldi, c’è oggi la sua lapide che recita le parole della scrittrice e partigiana Renata Viganò:

Ines Bedeschi era nel fiore della vita
e tutta intera voleva viverla
invece la dette da partigiana
ad ogni cosa più cara rinunciò che non fosse la lotta
dalle sue valli e monti di Romagna 
andò dove era maggiore il bisogno
la presero i nazisti feroci e spaventati
la tortura non strappò dalla sua bocca rotta
neppure un nome di compagno
infuriati i tedeschi la portarono sulla riva del Po
ma anche in un giorno di primavera che era fatica morire
Ines Bedeschi non sentì la voglia
di salvarsi col tradimento.

La medaglia d’oro al valor militare alla memoria

L’11 settembre 1968, a Ines Bedeschi è stata conferita la massima onorificenza militare, la medaglia d’oro, poiché “spinta da ardente amor di Patria, entrava all’armistizio nelle formazioni partigiane, incurante dei rischi e pericoli cui andava incontro e dell’assidua sorveglianza del nemico.” Ad oggi, le donne italiane insignite di questo riconoscimento sono solo 19, ma l’hanno ricevuto in vita solo quattro, di cui l’unica ancora vivente è Paola Del Din.

I conflitti mondiali e le donne

Già durante la Prima guerra mondiale (1914-1918) la figura della donna era cambiata molto. In mancanza di uomini, poiché impegnati al fronte, molte madri, figlie e sorelle iniziarono a lavorare nelle fabbriche o si trovarono a gestire da sole le proprietà agricole. Un’evoluzione drastica e improvvisa che, però, si limitò strettamente al periodo della guerra in ottemperanza alle imminenti esigenze belliche.

Tuttavia, durante la Seconda guerra mondiale (1939-1945) le donne tornarono ancora una volta a stravolgere la loro quotidianità. In particolare, assunsero un ruolo determinante con l’avvento della Resistenza, divenendo le “staffette partigiane”, quale fu Ines.

I GDD

Nel novembre 1943, a Milano e Torino il Partito Comunista istituì l’organizzazione dei Gruppi di Difesa della Donna (GDD) con l’obiettivo di sostenere la Resistenza e aiutare le famiglie “dei partigiani, dei fucilati, dei carcerati e degli internati in Germania”. Le fondatrici, tutte antifasciste, venivano da correnti politiche diverse: Lina Fibbi (comunista), Pina Palumbo (socialista) e Ada Gobetti (azionista). In breve tempo i GDD si diffusero in tutta Italia con un fine, almeno all’inizio, prettamente assistenziale; tuttavia, nel 1944 l’impronta dei gruppi cambiò radicalmente, focalizzando di fatto le iniziative sulla lotta attiva delle donne.

Inoltre, nell’aprile del 1944, i GDD inaugurarono un proprio organo di stampa clandestino, “Noi donne”, le cui pubblicazioni vertevano principalmente sul ruolo delle donne nella Resistenza. La rivista venne pubblicata con tale nome sino alla Liberazione, raggiungendo anche una tiratura di 10.000 copie per alcuni numeri.

Ines Bedeschi e le altre donne della Resistenza

Dal lavoro di informazione allo scontro armato, dall’approvvigionamento alle staffette, all’assistenza sanitaria e alla propaganda, le donne partigiane hanno assolto ogni genere di compito. Giovani e anziane, ricche e povere, armate e disarmate erano tutte unite da un forte desiderio di libertà e democrazia, ma anche di emancipazione.

Infatti, la Resistenza offrì loro una prima concreta possibilità di partecipare alla vita politica e di rivendicare i propri diritti. Fu un periodo di grandi conquiste, come il diritto di voto con il Decreto Bonomi (1945), ma anche di assurde contraddizioni, prevalentemente dettate dalla conservazione di “archetipi culturali”. Non a caso, bisognerà aspettare molti anni prima di parlare di parità di genere a livello sia giuridico sia sociale e su quest’ultimo la battaglia continua ancora oggi.

 Capiva quelle che allora chiamava “cose da uomini”, il partito, l’amore per il partito, e che ci si potesse anche fare ammazzare per sostenere un’idea bella.

All’epoca le partigiane con il loro carattere sicuro, coraggioso e poco incline al farsi assecondare, destabilizzarono gli uomini che combattevano al loro fianco. Infatti, in più occasioni alle donne si impedì di sfilare nelle città liberate e, inoltre, non mancarono le critiche maschiliste verso coloro le quali avevano deciso di abbandonare la casa per combattere in prima linea.

Tra il 1943 e il 1945 per liberare l’Italia si unirono 35 mila donne (accertate), di cui più di 4.500 subirono torture e condanne per le loro idee e attività. Molte, circa 3.000, sono state deportate in Germania e 623 sono morte fucilate, impiccate o cadute durante le guerriglie. Eppure, solo una trentina hanno ottenuto dei riconoscimenti ufficiali, in quella che non vuole essere una gara di supremazia tra uomo e donna, ma semplicemente la constatazione di un problema culturale. Di un’incapacità generale di riconoscere alle donne un ruolo attivo politico e militare e un contributo non marginale, ma complementare a quello maschile.

25 Aprile. Una data che è parte essenziale della nostra storia: è anche per questo che oggi possiamo sentirci liberi. Una certa Resistenza non è mai finita.

La Resistenza è stato un momento storico senza precedenti, durante il quale centinaia di persone si sono battute per un obiettivo comune: liberare l’Italia dal nemico. Un movimento nato dal confronto di ideologie diverse, talvolta distanti, ma unite nella lotta al nazifascismo. Un sogno di libertà e di democrazia che il senso civico dovrebbe indurci a ricordare e conservare, quale migliore difesa dalle pericolose idee negazioniste in cerca di consenso.

Percepire un’Italia tanto unita in un periodo così difficile è forse la risposta più forte data dal nostro paese alla tragedia. Una lezione di vita che va oltre la politica e le ideologie, invitandoci a riflettere su quanto oggi forse si confonda il coraggio di andare contro corrente con il mero desiderio di opporsi e di dividere.

Carolina Salomoni

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